Foto Živilė Abrutytė |
Il mio cuore era a pezzi a causa delle mie figlie e dei miei genitori. Ma ho già parlato delle mie figlie. I miei genitori invece erano morti due anni prima. E la mia vita presente, senza di loro, era diventata misera come la vita di un uomo che vive senza una gamba dopo che è stato amputato a causa della cancrena e tuttavia cerca la gamba che una volta possedeva e perché non la trova piange questa perdita, incapace di superare quella sensazione di fondo di esserne stato privato e di non crederci tuttavia.
Ho dovuto riprogrammare il mio sistema. Ho dovuto superare la negatività. Ho dovuto prendere il controllo dei miei geni e cambiare la mia vita in positivo. Ho imparato che i pensieri positivi producono nel corpo una chimica diversa rispetto ai pensieri negativi. E allora se avessi voluto aprirmi alla positività, avrei avuto bisogno di pensieri positivi. Perché i pensieri negativi chiudono. Ti mettono in una posizione difensiva. Se volevo crescere, dovevo dunque aprirmi.
Mi sentii meglio. Sembrava che il mondo fosse cambiato. Ma proprio nel momento in cui percepivo il cambiamento, mia moglie, la mia adorata moglie, per WhatsApp, invò una foto che mi aveva fatto la notte prima. Mi ero addormentato, il portatile acceso sulla pancia.
Ero in pantaloni sportivi corti neri e indossavo una maglietta nera.
Parevo morto.
Oh, come non sono niente – solo una povera cosa! Ho esclamato a vedermi come un cadavere su quel divano. Immediatamente mi sono reso conto che non ero niente in questo mondo, in questo universo. Solo carne, ossa e sangue. Niente di più.
Ho perso di nuovo fiducia in me stesso e ho adorato la visione dei miei capelli bianchi dai riflessi biondi dato che sembravano così morbidi da accarezzare. Ho avuto pietà di me stesso. Ho avuto pietà per quel corpo snello, sdraiato sul divano.
Smise di fare business, voleva diventare una massaggiatrice.
Iniziammo a fare trading con il mio paese. Compravamo pistacchi da Bronte, in Sicilia, olio d'oliva da San Miniato, in Toscana. Cosmetici dall'Emilia Romagna.
Mia moglie aveva sempre avuto il sogno di lavorare con l'Italia. E ora i suoi sogni si erano avverati.
Quando era giovane, durante l'occupazione sovietica, quando aveva undici anni, scrisse, istintivamente, una composizione sull'Italia. Forse aveva sentito parlare solo una volta di questo paese, ma fu affascinata da ciò che questo paese echeggiava di lontano. Un sogno di libertà, a quel tempo, forse. Un sogno di un altro mondo pieno di sole e gioia per la vita.
Il che fu confermato il giorno in cui ascoltò Romina e Albano cantare "Felicità". Fu il giorno che seppe. Quale sarebbe stato il suo destino.
Due anni prima di comprare Toskanos Dovanos, volle aprire una pagina su Facebook, era determinata a fondare una comunità italiana. La sua prima idea fu di chiamarla "Comunità Italo - Lituana".
Osservai che in italiano "comunità" non suona come in "bendruomenė" in lituano, dal momento che usiamo principalmente questo termine per comunità religiosa, comunità scolastica, comunità di recupero per tossicodipendenti ... alla fine diverse tonalità che non riescono a esprimere lo stesso concetto.
Dopo aver cavillato un po’ sul tema, seguendo un mio suggerimento, decidemmo di chiamarlo "Residenti Italiani a Vilnius".
Mia moglie era entusiasta dell'idea di iniziare questa "comunità". Era così ansiosa di organizzare eventi per e con italiani. Aveva un tale entusiasmo per gli italiani che era al limite della frenesia e dell'assurdità.
Io ero meno entusiasta. E dopo un anno di organizzazione di eventi con e per gli italiani, anche lei divenne meno entusiasta. Era quasi profondamente delusa.
Perché?
Credo che non sia riuscita a esprimere la sua forte delusione per la mancanza di parole adeguate. Le parole più adeguate per chiarire la delusione furono pronunciate da uno chef italiano che era diventato famoso in Lituania. Lo incontrammo nel suo atelier gastronomico, il giorno che lo visitammo per vendergli i nostri prodotti.
- Io gli italiani di qua, li schifo. Li evito. Preferisco lavorare con i lituani. Gli italiani sono troppo difficili. Sempre infelici, sempre inclini a dimostrare insoddisfazione. I lituani sono persone veloci e dinamiche. Gli italiani sono lenti, vecchi, appiccicosi, fastidiosi ... chiedono sempre favori. Allora, io qua, in Lituania, sono famoso, ma quando il presidente della Repubblica italiana è venuto a Vilnius per visitare la comunità italiana, non sono stato invitato. Ho incontrato il presidente e l'ambasciatore d'Italia a Vilnius alla cena ufficiale del presidente della Repubblica lituana. Ti rendi conto? Che figura di merda hanno fatto!
La mia esperienza con gli italiani a Vilnius fu del pari deludente. Persone inutili, inaffidabili e senza istruzione il cui unico scopo vitale era solo quello di mangiare.
Gli italiani considerano la pancia come il centro del loro mondo, dentro. Fuori hanno il sole.
Spesso dicono - non c’è rimasto altro. E con questo, pensano al fatto che la loro storia li ha privati anche della speranza di cambiare. Cosa rimane allora? Cibo e sole.
Hanno pance senza fondo. Mangiano molto (e cagano molto, probabilmente) perché hanno costantemente bisogno di riempire il loro intestino fino all'orlo. Sono vuoti Vuoto di speranza e a corto di idee.
Mes, italai, nuolat kalbame apie tai,
Ką valgėme vakar,
Ką valgome dabar,
Ką valgysime rytoj[1]
Ha detto un famoso ristoratore italiano che gestisce due
ristoranti italiani a Vilnius.
Ma di nuovo ci rendemmo conto che per ottenere una risposta da un’azienda siciliana era necessario telefonarle o inviarle email almeno cinque, sei volte e arrivare persino al punto di raccomandarsi che fossero così così gentili da inviarci la fattura per effettuare il pagamento. Dovevamo quasi supplicarli. Era assurdo. E tuttavia facendo questo forse dopo tre settimane potevamo ottenere una risposta. O forse no.
Giuseppe Prezzolini diceva che per poter amare l'Italia era necessario prendere un piroscafo e partire dal Bel Paese .. Bisogna guardare l'Italia da molto lontano per amarla, aveva detto. Ecco, lontano dalla mia patria, non odiavo l'Italia ma non amavo nemmeno l'Italia. Mi mancava il sole, ovviamente, il clima ovviamente, ma ero felice di essere lontano dalla popolazione globalizzata, meticcia, che ora stava colonizzando il mio paese. A volte mi mancava però quella tensione sociale che è alta in Italia. A volte mi mancavano i colori della Toscana, la mia terra, a volte la casa dei miei genitori che ora era vuota. Molte volte mi mancava l'amore delle mie figlie ... Ma tutto il resto no, non mi mancava.
Tutto è così complicato in Italia. Tutto è così lento e contorto. Vecchio. Tutto è socialmente complesso, ti riduce quasi all'inerzia. Ti svuota. Alla fine, perdi la tua coscienza personale e ti rendi conto di come gli italiani sono solo un popolo di pecoroni.
In quei giorni iniziai a leggere un libro di un filosofo lituano, Alvydas Jokubaitis, che aveva scritto il libro Politinis idiotas[1]. Riguardava il declino dell'Homo Interior nella nostra società. Uno studio parallelo tra l'Homo Interior della tradizione agostiniana e l'interpretazione di Dostoevsky., entrambi destinati a scomparire nell'attuale società dominata dalla stupidità politica.
Ubi homo? Ubi homo interior? Galima sakyti kad jie žmogų išstūmė į pogrindį, kaip rašė Dostojevskis. Si può dire che sia stato spinto nel sottosuolo, come scrisse Dostoevsky. Rispondeva Jokubaitis.
Dopo aver letto il libro provai a porre la stessa domanda a Corrado. Corrado era un pittore italiano che viveva a Vilnius ed era uno dei pochi (italiani) che incontravo di tanto in tanto.
L'uomo, una volta, era il centro del mondo e dell'universo. Era un essere spirituale. Era compassionevole, misericordioso, doveva essere altruista. E quello era l'uomo cattolico, Corrado. Ma esiste ancora questo uomo spirituale tipico del cattolicesimo? O a sopravvivere invece è un opaco cattolicesimo gnostico e quindi un opaco uomo gnostico? È una grande domanda, Corrado.
E oggi? Oggi è il nichilismo assoluto dettato dal globalismo meticcio prevalente, che rifiuta l'uomo spirituale.
Qual è la differenza tra un uomo e un animale oggi? Non c'è differenza, Corrado.
Sai, siamo considerati solo una parte della catena alimentare, non siamo stimati più essere in cima alla catena alimentare, come una volta credevamo. Questa è l’opinione prevalente, al giorno d'oggi, e sai cosa significa?
“No.” Di solito rispondeva Corrado.
Significa che non siamo nulla, siamo esseri fatti di carne e sangue, non abbiamo scintille divine dentro.
Corrado ovviamente non poteva aiutarmi. Nel profondo stato di sgomento in cui ero caduto, solo mia moglie poteva mitigare il mio dolore. Mi baciava sulla tempia e mi accarezzava i capelli, come per calmare la mia turbolenza all'interno.
Senza di lei mi sarei sentito perso. Mi sarei definitivamente perso.
Mi sentivo come se fossi stato gettato nel sottosuolo, anche io. Ero in quel sottosuolo, gettato in un angolo, fuori dalla mia vita, tormentando me stesso per la mancanza di una vita reale. Sentivo che mi mancava il senso di appartenere a. Non appartenevo a niente. Questa era stata la mia tragedia.
Per caso, in You Tube sentii uno scienziato quantistico che diceva che andava ogni domenica in chiesa, era cristiano solo perché la chiesa, la comunità cattolica, gli dava un senso di appartenenza al cristianesimo. Aveva trovato il modo di appartenere a qualcosa. Io no. Io ero isolato, limitato al mio modo di vivere incapsulato. Perché?
Dostoevskij aveva una risposta pronta per me: un uomo del diciannovesimo secolo doveva e deve essere moralmente e preminentemente una creatura priva di carattere; un uomo di carattere, un uomo attivo è principalmente una creatura limitata.
Ma di cosa può parlare un uomo perbene, con maggior piacere?
Di se stesso, ovviamente.
Ma percepivo il suo viso come un ostacolo, un ostacolo alla verità che sentivo nascosta dietro il viso che amavo. Una verità eterna e immutabile di una materia che non era materia, ma pura energia, forse. Stavo cercando un dialogo con quell'energia, ma ne ero respinto ... Era una materia sorda a qualsiasi richiesta.
[1]
Noi italiani parliamo sempre
Di quello che abbiamo mangiato ieri,
Di quello che mangiamo oggi,
di che cosa mangeremo domani
[2] L’idiota politico
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