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Giovannino Guareschi la degenerazione del comunismo e la speranza dell' Italia contadina (paleoindustriale, per dirla con Pasolini)

Nel dopoguerra due giganti dell'Italia intellettuale, Pasolini e Guareschi, colgono i sintomi di una globalizzazione incipiente("omologazione" Pasolini - "degenerazione comunista" Guareschi) entrambi esaltando invece l'Italia rurale e preindustriale. Riporto qui sotto le parole di Guareschi che introducono la storia "Il compagno don Camillo" e le faccio mie. Istruzioni per l’uso Questo racconto - ultimo, in ordine di tempo, della serie "Mondo Piccolo-Don Camillo" - lo pubblicai a puntate negli ultimi quattordici numeri (annata 1959) di Candido, l’ebdomadario milanese da me fondato nel 1945, e che ebbe una riconosciuta funzione propagandistica nelle importantissime elezioni politiche italiane del 1948, contribuendo validamente alla sconfitta del partito comunista. Candido non esiste più, deceduto nell’ottobre del 1961, a causa soprattutto del totale disinteresse che gli italiani del miracolo economico e dell’apertura a sinistr

La Bianchina

Silvano ricordava bene lo stile di vita di suo nonno, e quello stile di vita lo aveva sempre impressionato fin da piccolo. E quando il partito gli aveva ventilato quella possibilità, si era ricordato di suo nonno e si era detto, “Perché no?”. Il suo sogno era comprare il 1100. Gli piaceva molto il 1100/103 ma era troppo caro per cui optò per la Bianchina. Silvano era orgoglioso di quella macchina, acquistata a suon di debiti, di cambiali, ma il commento di Sabatina fu, al solito, dissacrante. - Ma che hai comprato? Una scatoletta di sardine? Ma come fai a entrare lì dentro? Con Sabatina si era creata una distanza. Silvano capiva che Sabatina era sempre meno la donna che faceva per lui. Una donna che non sapeva presentarsi. Che non poteva adeguatamente rappresentarlo negli incontri, nelle cene, e nelle celebrazioni a cui aveva cominciato a prendere parte per via del lavoro. Era una donna semplice. Spesso aveva uscite fuori luogo, che potevano anche metterlo in imba

Il doppio stato e la doppia fedeltà

A distanza di anni, Silvano odiava certe cose. Quando la lucidità glielo permetteva ripensava in modo quasi violento indietro alla sua vita passata. La rabbia, la violenza che in lui faceva fremere il suo essere, gli ridava forza e lucidità. Silvano aveva compreso bene la infelicità della sua esistenza. Un’infelicità costante che per tutta la vita lo aveva perseguitato, senza dargli pace. “Era meglio che partorisse un gatto nero mia madre, invece di me”, era la sua frase ogni volta che pensava a quanto infelice fosse stata la sua vita. E comunque quei pensieri gli ridavano forza, gli riattivavano la visione che diversamente si sarebbe spenta. Per reagire alla demolizione continua della malattia, per mettere in atto un tentativo di arrestare quella rottamazione costante dei pezzi che componevano il suo io e il suo corpo (quel che ancora rimaneva di un qualcosa che potesse ancora chiamarsi “corpo”) ripensò alla sua vita negli anni Cinquanta, agli anni dedl boom economico, a com