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Autobiografia di un poeta - da lui medesimo scritta (scendere nelle viscere e portare in superficie la poesia)

Fu orribile vedere Bettino Craxi fischiato all‘uscita dell‘hotel Rafael di Roma. Lui da solo, praticamente, affrontare una folla assurdamente costituitasi per sfogare un odio indotto e lanciare monete verso il Presidente del Consiglio. Certo era difficile in quegli anni scorgere la farsa che stava dietro l‘operazione mani pulite. Molti ci credevano davvero che avrebbe portato più onestà. Pochi sapevano. O forse non erano poi così pochi. Ma sapevano e agivano. Allora riuscivano a coprirsi bene. Riuscivano a non manifestarsi. E tutto quello che appariva in superfice sembrava vero. In quei giorni era giovane, aveva diciotto anni. Era all‘ultimo anno del classico. Quelle scene lo avevano sconvolto. L‘Italia era un paese che aveva perso il senso del sangue e dello scontro. Gli anni Settanta, erano alle spalle e quelli della guerra ancora più lontani. Non riusciva nonostante tutto a vedere in Craxi quel criminale che i giornali e le televisioni dipingevano. Nonostante tutto gli pareva onest

Gli ignavi

Non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, ... Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna (Dante Alighieri) Li sfidava uno per uno passandogli innanzi la piccola coraggiosa e minuta donna, proprietaria di una torteria che quei 40, come i ladroni, aveva inviato uno stato che da tempo aveva dichiarato guerra al suo popolo su tacito consenso di una maggioranza del popolo altrettanto ignava. Erano lí infatti per chiudere il negozio di torte di quella donna minuta che davanti alla follia del male di uno stato guidato da figli di Satana resisteva e chiedeva solo di lavorare. Lei, luce davanti alla tenebra, che i 40 ignavi rappresentavano. "Ma non vi vergognate !" E li fissava uno ad uno. Loro gli occhi volevano nasconderli a se stessi. Guardavano innanzi, al loro nulla. Non conoscevano le parole di Cristo sic quia tepidus es et nec calidus nec frigidus, incipiam te evomere ex ore meo. Ed era una gran fortuna, perché alla vergogn