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Sentirsi estensione di una mente che morendo cerca di connettersi a un’altra



Foto via 06Blog


Il testo è una parte di "Il giorno che l'Italia morì". L'intero testo è leggibile su Academia; https://www.academia.edu/42083218/Il_giorno_che_lItalia_mor%C3%AD


“Dico io, perché a volte sembra che nel mondo tutto accada per me
(Ričardas Gavelis – Poker a Vilnius) 

E' la teoria del mondo di mezzo, compa'. Ce stanno i vivi sopra i morti sotto e nel mezzo ce stamo noi...Il mondo di mezzo è il mondo dove tutti si incontrano. E tu dici, come cazzo è possibile che quello...che ne so...un mondo dove può essere che io domani sto a cena con Berlusconi è un mondo dove si incontrano le persone per una questione di merito. Perché le persone del soprammondo anche loro c'hanno interesse che quelli del sottomondo gli fanno delle cose, che nessuno può fare...e tutto si mischia...e tu dici, che cazzo c'avete i progetti? Perché voi c'avete i progetti, perché voi siete la politica...teneteci presenti nei progetti che c'avete. Che te serve? Che cosa posso fare per te? che te serve? Movimento terra? Che te serve? Che t'attacco i manifesti? Che te pulisco il culo? Ecco, te lo faccio io. perché se poi vengo a sape' che te lo fai fa' a un altro, è una cosa sgradevole...

Il giornalista aveva mostrato il video, una ricostruzione con attori di una intercettazione fatta dai carabinieri a uno dei “Quattro Re di Roma” come li aveva definiti il suo giornale nella copertina.
Faceva il giornalista era ovvio, riportava notizie. Era ovvio. Era il suo lavoro.
L’altro era un criminale, violento. Era ovvio.
Eppure quel giornalista non gli piaceva. Avea un’aria prefabbricata, simulata. Antipatica.
Indossava una maglietta sotto la giacca, con una scritta “Il Cecato [il soprannome del malavitoso] la vede la mafia a Roma”. Al polso destro portava un braccialetto rosso da frikkettone.
Ma perché quella acrimonia contro il criminale? – si chiese.
Era chiaro che un criminale è un crimale. E questo era forse uno dei peggiori. Ma quel giornalista puzzava di fake lontano un chilometro. E questo non gli piaceva. Era come se quell’aria falsa fosse il viatico che accompagnava il senso della sua lotta alla mafia, che professava come suo scopo principale, accusando la gente di Roma di non voler vedere il marcio che aveva sotto gli occhi e quel viatico gli servisse per incitare all’assoluzione della classe dei giornalisti dall’evidente scadimento in cui versava.
Il criminale era certamente sgradevole, come appariva in una intercettazione, dove manifestava tutta la sua rabbia.
Per mostrane la virulenza fece vedere, durante la conferenza, un video, divenuto virale, del crimanale che intimidava un impiegato della compagnia telefonica che tardava nell’allacciamento dellla linea telefonica, con il chiaro intento di affermarne l’animalità. Che vi era. Ed era indiscuttibile.

Aho aho… senti…ascolta a me. Io me chiamo Massimo Carminati. Segnatelo questo nome: Massimo Carminati! Segnatelo! Capito? Segnatelo! Io sono quello che abita là. Se mi venite a fare questo impianto bene. Se no, non me ne frega un cazzo di niente! Capito? Me chiamo Massimo Carminati. Segnatelo! Così vai su internet e vedi chi sono io! Segnati 'sto nome! Ascolta me! Segnati 'sto nome! Così vai su internet e vedi chi cazzo sono io! Se non m’attaccate il telefono entro domani a me non me ne frega un cazzo…poi vengo a cerca' te!

Ma il giornalista sembrava eterodiretto. Sembrava che recitasse un copione. Seguisse uno schema. Magari in modo spontaneo al sessanta per cento. Ma il resto stonava.
In un'altra trasmissione, in uno scontro in TV con Alemanno, indagato per Mafia Capitale - “Lei che è il grande esperto di mafia capitale si informi” gli aveva detto l’ex sindaco a proposito di un capo d’accusa nei suoi confronti decaduto, a fronte di un untuoso tentativo di conciliazione fra le due parti provato dal giornalista.
Anche questo adombrava una realtà elaborata dietro la facciata, che non appariva in TV. E tuttavia vi era.

“Vorrei rispondere a una cosa che ho sentito prima, che a Roma c’è la mafia, che Buzzi sarebbe un mafioso…Io La invito a trovarmi un solo episodio di minaccia che abbia contraddistinto l’attività imprenditoriale di Salvatore Buzzi…La invito a trovarmi un atto dove è intervenuto Carminati nella giunta di Alemanno, dove, tramite Carminati, è riuscito a ottenere un risultato positivo. In Ente Euro eveva dei debiti milionari…le cooperative di Buzzi avevano tanti crediti nei confronti delle municipalizzate. Non sono mai riuscite a riscuotere questi crediti colle vie legali, neanche con gli avvocati…si è rivolto a Carminati…qual è la fine di questa storia? Che Buzzi i soldi non li ha avuti neanche in questo modo, neanche con l’intervento di Carminati e ha dovuto accettare una transazione giugulatoria, dovendo rinunziare a gran parte del credito…”


Fu l’osservazione dell’avvocato di Buzzi, all’insistere sul fatto che a Roma ci fosse la mafia.
Era ispirato quel giornalista, senza volere fare sconto ai criminali, quel giornalista era però ispirato nel voler passare una tesi che si basava solo sull’atteggiamento mafioso di Carminati.
Ma l’accusa di mafia nella sentenza del processo decadde nei confronti di Carminati, l’unico al 41bis.

Silvano era ormai fuori da questi giochi. Guardava la tv ma pareva che non la vedesse. Guardava e non aveva reazioni.
Roma non lo toccava. Eppure vi aveva lavorato gran parte della sua vita.
Come se Roma, non fosse che un nome.
Aveva abdicato. Stava ai margini e non più al centro. La mente si disconnetteva. Si perdeva. Non aveva più energia. L’energia si era persa. La mente si era raffreddata. Stava per giungere al punto in cui avrebbe finito il movimento in avanti, di espansione all’infinito. Ma prima di spengersi, prima di raffreddarsi completamente, aveva trasmesso tutta l’informazione nei mesi passati, nei rari momenti di intermittenza della propria lucidità.
L’informazione non si perde, i bits sono indistruttibili. E il disordine entropico che proveniva da quel cervello, aveva da qualche parte trasportato quella informazione. L’aveva codificata da qualche altra parte.

Fabrizio quel giornalista di primo acchito l’aveva rifiutato. Non gli piaceva.
In quegli ultimi anni di convivenza con i genitori seminfermi, con il padre soprattutto, aveva scoperto un nuovo lato di se stesso.
E chi aveva quell’aria, chi portava quei segni inconfondibili della falsità piegata a motivi ideologici, chi voleva ad ogni modo sbandierare la purezza morale del proprio operato, come l’unica che andasse accettata e promossa, istintivamente lo rifiutava.
Vi era un’affettazione in quel modo di proporsi che lo urtava. E subito era portato a schierarsi con chi invece facesse dell’immediatezza, del proprio disperato modo di vivere, l’unica faccia che aveva da proporre a questo mondo. Anche se era una faccia sbagliata.
L’Italia aveva perso l’onore per troppi di questi mestatori lobbisti. Avevano responsabilità loro se l’Italia era una colonia e non un paese sovrano.
Di questo, negli ultimi tempi, ne era sempre più convinto.

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