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Natale 1966 - il Natale dopo l' alluvione








Quel Natale fu diverso. Vollero sia Silvano che Sabatina che fosse diverso.
L'alluvione li aveva prostrati, ridotti in ginocchio, ma erano riusciti a riprendersi. Silvano aveva ricominciato subito a lavorare alla Federazione, più di prima. Sabatina aveva raddoppiato le forze e come per un effetto magico era riuscita quasi a competere con Rosina. Anche Rino aveva smesso di prenderla in giro e la riempiva adesso di complimenti.

- Brava Sabatina. Ora sí che mi garbi. A te, ti ci voleva la piena dell'Arno per datti una smossa. Se continui cosí superi Rosina.

Era probabilmente nell'aria di quel Natale del 1966 il voler reagire. Si respirava un clima di voglia di uscire dalla calamità che si era abbattuta sulla Toscana
Sarà un Natale "duro" dicevano a Firenze, ma i fiorentini non mollavano. Riaprivano i negozi, decoravano la città, facevano gli alberi di Natale in casa, li addobbavano di palline colorate e lucine, ricominciava la vita.
Nel chiostro di Santa Maria Novella e nella cappella della Adorazione dei Magi fu allestito un singolare presepe per dimostrare la reazione della città. Gli allievi della scuola sottufficiali dei carabinieri truccarono e rivestirono duecento manichini con abiti rinascimentali prestati della Scuola dagli organizzatori del Palio di Siena. Un presepio nuovo, suggestivo, originale, il cui allestimento aveva richiesto più di venti giorni di lavoro.
In TV Sabatina vide un'intervista a una pittrice inglese che era venuta in Italia con una borsa di studio per studiare all'Accademia di Belle Arti e si era trovata poi a spalare la melma insieme agli altri Angeli del Fango calati a Firenze da ogni parte del mondo, senza nulla chiedere. Era felice la pittrice perché durante il servizio volontario aveva conosciuto un ragazzo che era diventato il suo fidanzato. Per lui sarebbe rimasta in Italia, a Firenze. Forse lo avrebbe sposato.
Vi era un clima positivo, diverso dalla tragedia dei giorni di Novembre.

Paolo VI venne a celebrare la Messa di mezzanotte. Voleva essere vicino alla città e alla sua popolazione.
Quando il Papa entrò in città, la folla di gente accorsa per strada fermò il pontefice che salutò e benedisse tutti. Il lungo percorso del Papa che, quella notte, toccò i vari punti più colpiti dall'alluvione, fu costellato di gente che si stringeva a lui per ritrovare la speranza. L'omelia di Paolo VI fu un vero inno alla speranza. "Siamo qua venuti - disse - nel giorno della tenerezza e della fortezza dell'amore per piangere con voi. Fiorentini, ai cento titoli che voi potete avanzare per la nostra affezione, si è aggiunto un altro titolo che ci ha messi in cammino: il vostro dolore, così grande, così singolare, così fiero e degno".
Quel Natale fu metereologicamente uno dei più freddi. Ma non nel cuore. Nel cuore ardeva il fuoco della speranza e della reazione. La volontà di ritornare come prima e meglio di prima.

Silvano e Sabatina non amavano molto le festività. Non celebravano mai i compleanni. Il Natale e la Pasqua si riducevano spesse volte a una misera riunione di poche persone. O venivano Ida e Beppe e o al massimo si andava a Castelfiorentino dalla sorella di Silvano. Nulla di più.
Le festività comandate erano per loro giorni di assoluto disturbo, dei quali avrebbero ben fatto a meno. Giorni che non vedevano l'ora finissero.

- Anche quest'anno è arrivato il Natale. In quest'anno di tragedia voglio riunire il mio sangue, tutto intorno ad una tavola - pronunciò drammaticamente Silvano.

Sabatina lo guardò. Talvolta la pomposità di Silvano la spiazzava. E non capiva.

- Voglio invitare tutti i miei parenti, a Natale! - aggiunse irato davanti alla evidente faccia spaesata di Sabatina.
- Ma chi vuoi invitare?
- Mio padre, mia madre, mia sorella, mio fratello con sua moglie, Livio e Giacco, Nella, Dosolina, Mauro...tutti i parenti di Poggibonsi e Colle Val d' Elsa...è tanto che non li vedo. Voglio fare una riunione prima che muoia qualcuno.
- Saremo una ventina. Chi lo fa da mangiare? Io da sola non ce la faccio.
- Farò venire mia madre ad aiutarti.
- Meglio di no. Farò da me. Quel demonio di donna non ce lo voglio. E che si fa da mangiare?
- Le bistecche. Io voglio le bistecche.
- Le bistecche? Ma c'hai presente che vuol dire fare le bistecche per venti persone? E poi io non le so coce. Mi vengano o troppo dure o troppo al sangue. E poi dove le facciamo?
- Dietro, sul terrazzino.
- A quel freddo? Entra esci, mi ci ammalo. Già ho avuto un broncopolmonite. Un altro non lo voglio.
- Te le cocio io.
- Ma che vuoi cocere te, nemmeno sai come si coce un ovo.
- Ecco, lo sapevo che s'andava a finí co soliti discorsi!

Il 25 verso mezzogiorno il campanello cominciò a suonare.

- Buon Natale!
- Buon Natale!
- Buon Natale!
- Buon Natale!
...

Arrivò Livio e Nella. Poi Giacco da solo, la moglie gli era morta un anno prima. Arrivò Silvana con il marito e Fabio, il cuginetto di Fabrizio e Luigi. Arrivò Loriano con Edy, la moglie. Arrivò Dosolina con il marito e i due figli, ormai grandi ma ancora giovanotti. Arrivò Mauro e la seconda moglie. Arrivò Beppe e Ida.
Sabatina aveva iniziato a cucinare la vigilia, e la mattina di Natale si era svegliata alle quattro. Ma aveva vinto lei questa volta. Le bistecche no, non si facevano.
Il menù prevedeva come antipasti, crostini col ragù di carne, crostini con fegato di pollo pasta d'acciughe e capperi. Affettati e sottaceti.

- Ma che bei crostini Sabatina. Meno male dicevano che non sai far da mangiare!
- Come un so far da mangiare? Vorrei sape' chi l'ha detto - Sabatina d'istinto guardò Silvano e Silvana.
- Eh Sabatina, si dice il peccato ma non il peccatore - rispose Nella guardando in aria.

Poi due primi: brodo di cappone con tortellini di carne e a seguire spaghetti al ragù.

- Fabrizio, vieni a aiutammi a gratta' i cacio pei tortellini e la pasta.
- No, mamma. Un c'ho voglia.
- Moviti, bighellone! Vieni a aiutammi.
- T'aiuto io Sabatina - Si alzò Silvana - Lascialo fa' c'ha da giocare con Fabio, che vuoi che gli importi di gratta' i' formaggio.

Come secondo, cappone bollito con peperoni verdi sottaceto e sottoli vari; cappone in umido e patate in forno rifatte nell'umido del cappone. Coniglio cotto nel forno con insalata verde.

- Oh Beppe che un lo mangiate i' coniglio?
- No, Mauro. Di conigli ne ho mangiati tanti che mi son venuti a noia.
- Beppe, lo potevate dire che i' coniglio un vi garba. V'avrei fatto qualcos'altro - si mise in mezzo Sabatina un po' risentita.
- Un ti preoccupare Sabatina, mangio un'attra cosa.
- Tu sei i' solito uggioso - gli disse Ida.

Noci, datteri, fichi secchi, mandarini, arance e banane l'aveva comprati Ida il sabato al mercato a Montelupo. Il parmigiano l' aveva portato Mauro da Poggibonsi: Mauro faceva i mercati e vendeva formaggi.

- Ve lo porto io, il formaggio bono, Silvano! Non lo comprate...a quello ci penso io - aveva detto al telefono quando l'aveva chiamato per invitarlo.

Poi ci fu la zuppa inglese e un dolce arrotolato chiamato "salame" fatto di crema e Alchermes. Panettone, cavallucci, panforte e ricciarelli.

- Sabatina, che un ti piace il panettone?
- Nella, a me l'uvetta e i candito mi s'allegano ai denti un lo posso mangia'.
- Dio Bono, tu sei un po' difficile anche te - aggiunse Silvana.
- O che a te ti piace tutto?
- Ma i datteri vedo che li mangi. O che quelli un ti s'allegano ai denti?

Il pranzo fu accompagnato da vino di Villambosco, spumante Gancia, Cinzano, Strega e Cynar. Acqua gassata e naturale, più caffè con la moka.


- Silvano, lo fai te il caffè?
- Si, ci penso io. Ve lo fo io un caffè bono. Me l'hanno insegnato i compagni di Napoli come si fa i caffè. Vi leccherete i baffi, dopo che l'avrete bevuto.

Tutto era stato preparato sulla cucina economica a legna, che aveva reso la cucina un forno e Sabatina sudata come un fochista.

Avevano apparecchiato nel lungo corridoio che dalla cucina portava all'uscita passando davanti al bagno, alla stanzina dove lavorava Sabatina e alle camere da letto. Era un luogo dove generalmente faceva sempre freddo. Ma quel giorno fin dalla mattina presto avevano acceso la stufa a cherosene, che di solito tenevano spenta per risparmiare, e lasciato la porta della cucina aperta perché penetrasse il calore. E venti persone, tutte insieme, finirono per riscaldare anche troppo quel corridoio di solito sempre freddo e umido, soprattutto ora dopo l'alluvione. Sembrava che l'acqua che aveva penetrato le pareti mai ne uscisse. Continuava a trasudare in macchie e funghe.
A tavola si parlò di politica e si urlò tanto. A parte Silvano, Beppe e Ida che come Sabatina non si interessavano di politica, gli altri erano tutti comunisti. Silvano si arrabbiò. Volarono bestemmie e cazzotti sul tavolo, insieme ai nomi di Nenni, Saragat, Togliatti, Longo e Moro...Ma alla fine erano tutti contenti e si salutarono con abbracci e baci.
Fu un bel Natale.

- Speriamo di rivederci presto.
- Sí, speriamo.
- Bisogna vedersi più spesso.
- Davvero!
- Per Pasqua venite da me!
- Il prossimo Natale lo faremo da noi a Colle.
- Ciao! A presto.
- Dammi un bacio, Sabatina!
- Mamma mia, Sabatina, quanto hai cucinato. Ma che sei pazza!
- Ma che vuoi che sia! Quattro cosine...Uh ci siamo dimenticati di mangiare il tiramisù che avevi portato!
- O che vuoi che sia. Lo mangerete voi domani.


Tutti se andarono. Il sangue della famiglia si sciolse e ognuno prese le sue strade. Come erano arrivati scomparvero. Del Natale 1966 rimase una montagna di piatti, pentole, bicchieri, forchette, cucchiai e coltelli da rigovernare che coprivano la cucina in ogni dove ammucchiati e impilati qua e là.
Sotto la tavola era pieno di ossi, pelle di cappone e pezzi di pane. Quelli di Colle, contadini, in casa avevano due cani e un paio di gatti e quando mangiavano erano abituati e buttare gli ossi sotto il tavolo per dar da mangiare agli animali.

- Sei contento ora? - chiese Sabatina a Silvano.
- Eh son tutti comunisti. Abbiamo parenti tutti comunistacci. Bella parentela!





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