Quando Badoglio annunciò l’armistizio, tutti credettero fosse la pace. L’impulso fu di una gioia sfrenata. Di ritornare a casa. L’Italia si dissolse, l’Italia militare soprattuto.
Anche Silvano fuggí. Tutti fuggivano. Il sentiment d’ordine generale era: ritornare a casa.
Che altro fare davanti a quel sentiment collettivo che anteponeva la propria pelle a ogni onore? Davanti alla sfaldamento generale di qualsiasi apparente ideologia
A Bologna Silvano prese finalmente il treno. Riuscí a prendere quel treno per Firenze.
Non vi erano stati controlli particolari a Bologna. Con sua grande sorpresa tutto filò abbastanza liscio.
Nello scompartimento, nella panca di legno davanta lui stava un ragazzo di circa vent’anni, che mangiava avidamente pasta asciutta da una specie di gavetta.
Il ragazzo si senti osservato.
— Che vuoi? — gli chiese senza mezzi termini.
Silvano notò il suo sguardo. Non era lo stesso sguardo di tutti i disertori che aveva finora incontrato. Non era lo sguardo di chi fugge. Era lo sguardo fiero di chi ha solo fame ma ancora crede in qualcosa.
— Guardavo la tua pasta non te.
Il ragazzo lo osservò.
— Hai fame?
— Sí?
— Prendi! — gli disse porgendogli la gavetta, rinunciando al suo pasto.
— Ma...davvero posso?
— Certo camerata.
Silvano, un po’ trasilí alla parola “camerata”.
— Non fuggo come te, io — gli disse il ragazzo — vado a Firenze. Ci stiamo riorganizzando.
— Ci stiamo riorganizzando?
— Noi della Decima Mas.
Silvano, aveva sentito partlare della Decima Mas, come di un reparto di pazzi fascisti esaltati.
Ma quell gesto di rinunciare al proprio cibo per darlo a uno sconosciuto lo trattenne dal giudizio.
— Tu non hai disertato?
— No. Ero in licenza a Bologna, quando i tedeschi hanno bloccato ogni ingresso a La Spezia, dove si trova il mio comando. Il comandante Borghese ha firmato un patto con i tedeschi, continueremo a combattere al fianco dei tedeschi. Noi abbiamo un onore da difendere, non siamo come I disfattisti che sono fuggiti. A Firenze ci stiamo radunando per ricompattarci e metterci a servizio di Borghese di nuovo. Noi non ci arrendiamo come hanno fatto i tuoi comandanti.
L’atteggiamento del ragazzo, la fierezza del suo sguardo, diverso da quello di tutti gli altri soldati che come lui pensavano solo a ritornare a casa, il tono deciso della sua voce, gli entrò dentro.
— Sei fascista? — gli chiese Silvano.
— No.
— Allora perché vuoi continuare a combattere con I tedeschi?
— Noi abbiamo un onore da difendere, una fedeltà alla bandiera…
— Ma se tutti scappano, generali compresi…perchè vi ostinate a combattere ancora? Non capisco…
— Perchè siamo diversi dagli altri. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo. Il nostro comandante è rimasto, non è fuggito come tutti gli altri. Noi rimaniamo con lui. Continueremo a combattere, non con i tedeschi ma contro gli anglo-americani...non si passa al nemico così in questa maniera...
Silvano non capiva bene per quelle parole. Che onore poteva esserci ancora in un paese dove tutti, Badoglio e Re compreso scappavano e pensavano solo a salvare le loro vite?
Tuttavia si rese conto che davanti a se aveva un uomo, anche se non più di venti anni. Uno che parlava una lingua diversa. Robusta, autoritaria. Non esaltata però; perchè un affamato che si toglie il cibo di bocca per darlo ad un altro affamato non è un esaltato.
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