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Segnali di primavera

 



Da "Il piacere di sentirsi cane" libro in fase di scittura.



Non sempre era stato facile con Carlotta.
Ora era un’altra donna, quasi. Ma i primi anni della loro relazione ricordava bene come erano stati travagliati, dai suoi continui tradimenti.
E tutto si legava a quel suo piacere di essere cane.
Lei lo tradiva e lui amava essere tradito, umiliato. Provava un piacere infinito. E si sentiva, finalmente, al centro della vita, al centro di quel mondo a cui aspirava fin dalla creazione del suo essere.
Aveva vissuto in quel sogno, “in quel mondo” per chiamarlo nel modo che gli competeva, per tutta la vita. E ora, solo ora, si era svegliato e lo aveva vinto. E più strano ancora lo aveva vinto insieme a Carlotta, che tanto dolore e piacere gli aveva procurato.
Ma a quale mondo doveva credere? A quello in cui aveva finora vissuto? O quello in cui era ora pervenuto dopo aver seguito quello a cui aveva creduto?
Erano in verità diversi? O erano il medesimo?

Carlotta era stata ossessionata dall’idea di essere puttana. La eccitava sentirsi carne. Un pezzo di carne con cui provare piacere. L’idea di sottomissione, come prostituta. Essere usata, sottomessa, pagata. Usata e poi dismessa.
Una notte in particolare, ricordava Luca, lo aveva fatto soffrire.
Non tornò. Era uscita per andare al cinema con Stefania, un’amica dell’ufficio export di un cliente per cui lavorava.
Rientrò la mattina presto verso le sette.

Luca non aveva dormito tutta la notte. Era su una poltrona con una tazza di caffè in mano quando lei rientrò. Lui, sconvolto.

- Dove sei stata tutta la notte? Ti ho chiamato, tante volte, avevi il telefono spento. Dove sei stata? Mi hai fatto soffrire.
- Sono stata al cinema con Stefania.
- Tutta la notte?
- No.
- E allora?
- Dopo il cinema siamo andate in un bar a bere qualcosa. Ho conosciuto uno...
- Naturalmente...
- Sì. Mi ha portato a casa sua. Ho passato la notte a casa sua.
- E’ normale per te, questo?
- Luca, io te l’ho detto prima di sposarci, che io sono così. Io se vedo uno che mi piace ci devo andare a letto, è più forte di me.
- E io? A me non pensi?
- Ma lo sai, che io amo solo te. Tu sei un’altra cosa. Con quelli è solo carne. Nulla di più. E poi anche a te piaceva. Ti eccitava...ora no?
- Si, ma quando so dove sei. Non quando sparisci che non so nulla e mi preoccupo.
- Mi dispiace. E’ stata una cosa improvvisa, non ho avuto tempo di avvertirti...

Com’era cambiata Carlotta da allora.
Quanta strada aveva percorso per arrivare dove ora era arrivata.
Quella notte fu simile all’ultima notte. Molto simile. L’ultima notte che...che tutto era cambiato. Che aveva dormito con il turco. Che tutto era giunto fin dove doveva giungere, partendo da una lunga via preveniente ciò che sarebbe poi venuto. Ed era venuto. Alla fine. La via li aveva menati, venendo da un prima che loro fossero, a dove ora si trovavano. E la via continuava. Era prima ed era dopo. Infinita. Loro ne avevano percorso solo un tratto.
Avevano entrambi seguito l’istinto della vita lungo quella via. La loro vita. Nel seguirlo avevano pensato di conoscere la vita. L’avevano fiutata, respirata. O almeno avevano creduto.
La vita non chiede. Ti prende.
E loro si erano lasciati prendere. Si erano in essa riconosciuti. O almeno avevano creduto. Ogni volta.
E ora anche.
E’ un istinto. E qualcosa che ti chiama e ogni giorno è diversa quella voce che ti chiama, eppure credi sempre sia la stessa, perché viene da dentro. Da dentro te.
E se quella voce non ci fosse, se quella voce mancasse, sarebbe l’assurdo. Niente avrebbe senso. Satebbe il Nulla. Assoluto.
Lui e Carlotta avrebbero potuto cadere in quel Nulla, ma l’istinto, il rendersi disponibili all’istinto, li aveva portati nella direzione in cui erano ora situati.

- Portami qualcosa da bere, Luca.

Il suo tono fu anche forte. Ma stavolta Luca non provò niente. Non ci fu quell’acuto lancinante piacere doloroso che lo infiammava.
Niente. Era guarito.

- Che vuoi bere, Carlotta?
- Un whisky? Abbiamo whisky?
- No, forse del cognac.
- Bene portami del cognac. E preparami qualcosa da mangiare. Ho fame.
- Che vorresti mangiare, Carlotta?
- Un piatto di pasta, come fai tu. Sei bravo a fare la pasta, tu. Decidi tu.

Stava seduta e lo osservava, come si osserva una statua. E Luca si sentì una statua, in cui viveva in attesa del mondo che girava attorno a lui, che lui osservava e rimaneva ai margini di quello e lo osservava.

- La primavera si avvicina – disse Carlotta, mentre lui le porgeva il cognac, lei seduta sulla poltrona con le gambe accavallate.
- Vero – rispose Luca che stava in piedi davanti a lei, E guardò fuori dalla finestra.
- Tempo di cambiare il guardaroba...quando ero bambina...a primavera...andavamo al lago di Como...tutta la mia famiglia...mio padre, mia madre ed io...eravamo felici...mi pare...allora. Era bello. Erano belle giornate...allora... – parlava a strattoni, Carlotta. Distratta. Sorseggiava il cognac, pareva fissare il bicchiere, ma inveve fissava un passato, che non c’era più.

Luca la guardava. Lei parlava.
Poi volse gli occhi alla finestra piena di luce: verrà la primaverà ma non mi troverà più lo stesso di prima. Pensò. Ma non lo disse a Carlotta.

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