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Una notte di fantasmi e ossessioni (da "Il piacere di sentirsi cane")





Il sonno è cosa che chiede rispetto. Pensò Luca mentre guardava Carlotta che dormiva, travolta dalla stanchezza di quella notte che mai sembrava finire.
Dormiva dolce. Come bambina. Aveva una mano poggiata sulla guancia.
Nel rispetto che lui proiettava su di lei, lei dormiva come una regina.
Davanti a quella bellezza che dormiva, intese come il mondo suo fosse sempre più lei. Il mondo quello vero. L’altro, quello che era fuori da quell’appartamento, diveniva giorno dopo giorno orribile. Cattivo. E Luca era giunto al punto che non sopportava la cattiveria. Era divenuto allergico alla cattiveria e all’egoismo. L’Italia si era mutata in un paese di cattivi, di persone senza anima. Di grande egoismo.
Italia brava gente? Sorrise. Forse una volta. O forse mai. Forse era un autoconvincimento con cui gli italiani avevano sempre nascosto il loro immenso egoismo.
Era divenuto un popolo senza sostanza. Vuoto. Sembrava che gliel’avessero succhiata via.
Era ormai tutto e solo apparenza quello che la gente mostrava. Dentro non era rimasto niente.
Il vuoto completo. Un’assenza totale, dal senso vero della vita.

Avrebbe voluto illudersi. Ingannarsi. Continuare a immaginare che la gente là, fuori da quell’appartamento, fosse ancora la gente che aveva conosciuto e aveva stimato. Ma ora quelli a cui si riferiva, quelli che erano stati la direzione della sua vita, non erano più lì a testimoniare la loro presenza.
E vivevano, tuttavia, ma vivevano come ricordi, ossessioni, ombre, approssimazioni di quello che lui era stato e ora era divenuto. E per vivere chiedevano, chiedevano a lui energia, per essere tenuti in vita. Non erano neutri. Erano quasi vampiri. Vivevano perché si nutrivano di lui.
Come liberarsene? Ma davvero avrebbe potuto liberarsene? E soprattutto, voleva liberarsene? 
Forse sì, un giorno, quando anche lui sarebbe divenuto come loro. Un’approssimazione. Anche lui sarebbe rimasto, nutrendosi di energia, dell’energia di chi lo teneva in vita. Allora forse anche lui sarebbe divenuto come loro, sarebbe passato dalla loro parte. E sì, allora, solo allora, veramente sarebbe stato libero.

Lui e Carlotta ora mangiavano poco. Il cibo era divenuta la parte più inessenziale della loro vita.
Controllavano così meglio quelle forme intelligibili che per approssimazione si nutrivano della loro energia. Li privavano di ciò che più avevano bisogno: corpi sazi, gonfi, ripieni, su cui meglio aderire. Meglio esercitare la loro influenza.
E sorprendentemente il corpo diveniva più leggero, di entrambi, perché ogni eccesso, quell’eccesso che attira quelle forme che mai muoiono, eterne, e incapaci di andarsene, nel digiuno si allenta, e più male vi aderiscono per approssimazione quelle forme alla nostra anima, alla nostra pelle. Gli viene a mancare ciò che le tiene in vita. Il sostentamento dell’eccesso.
E lui e Carlotta si sentivano sollevati, sollevati dagli incubi, dall’ossessione di averle sempre addosso. Gli davano un po’ di abento.
In un certo senso erano felici. Felici di avere un corpo leggero, un’anima più pulita, priva delle loro incrostazioni. Delle cancrene per cui aderivano.
Nel tempo aveva convinto Carlotta al digiuno. Perché conosceva la gioia a cui un digiuno prolungato porta, conosceva il senso di liberazione e di libertà che ti apre innanzi.

In verità, aveva un solo obiettivo: lasciare Carlotta felice quando lui non ci sarebbe stato. E non avrebbe voluto poi tormentarla. Non avrebbe voluto starle vicino dopo, e debilitarla con il ricordo di lui. Oh sì debilitano quei ricordi. Quanto dolore energia tempo e sofferenza procurava a lui il ricordo dei suoi genitori, che mai lo avevano lasciato dopo la morte.
Li amava, troppo, e quel troppo amore li univa anche dopo, non si interrompeva perché loro non se ne andavano ma stavano lì, anche ora in quella camera al buio con lui, mentre lui teneva la mano di Carlotta e la guardava.

-  Vedete mamma e babbo com’è bella Carlotta? Peccato che non abbiate avuto il tempo di conoscerla...vi sarebbe piaciuta...lo vedi mamma...ho trovato la donna che mi ama finalmente. Che ha cura di me...ti preoccupavi tanto. E tu babbo sarai contento immagino che Carlotta ha voluto prendere il cognome della nostra famiglia? Oh sì lo so, che sei contento. Lo so, a te questa cosa avrebbe fatto immenso piacere. Lo so...

Guardò la finestra. Cominciava a fare l’alba. Era rimasto tutta la notte a guardare Carlotta dormire. Non potyeva dormire. Un grande cambiamento si stava producendo.

- No, non è solitudine la nostra. Noi insieme non saremo mai soli. Non ci coglierà la pazzia, che coglie chi vive una vita di silenzio e solitudine. Insieme siamo la nostra stessa resurrezione. Insieme siamo felici. E gli spettri che ci circondano, le voci che mi tormentano, non potranno divorare la nostra resurrezione. Mai.

Sentì finalmente gli occhi farsi pesanti e chiudersi. Si coricò accanto a Carlotta. E per un attimo guardò ancora alla finestra. 

Già il sole appariva.

Come quel sole di un’unica luce fatti erano, in due distinti.


Fu l’ultimo pensiero.

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