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Pirandello è la naturale evoluzione di Kundera - o Kundera è l'appiattimento della profondità di Pirandello

 



Mi è capitato di leggere Kundera, dopo un girovagare di anni in cui iniziavo molti autori e li abbandonavo in un atto di grande delusione. La legge di Sturgeon che il 90% di quello che viene pibblicato è merda, è purtroppo vero. Lo confermo.

Kundera in verità lo avevo iniziato a leggere molti anni fa, all'epoca del suo famoso bestseller "L'insostenibile leggerezza dell'essere", che confesso non avevo disprezzato ma nemmeno mi aveva impressionato.

Avevo provato a leggere altri suoi libri, ma alla fine il mio interesse per lui era decresciuto e si era alla fine estinto.

Si deve arrivare alle cose, sempre quando le cose sono pronte per noi.

Ebbene dopo molti e molti anni sulla scia di Kazuo Ishiguro, "The Bruried Giant", il tema della memoria mi ha affascinato e mi ha portato di nuovo a Kundera. A sua volta l'istrionismo, il surrealismo che talora rasenta il limite della follia, mi ha fatto piano piano deviare a Luigi Pirandello. Altro autore che confesso avevo a malapena letto alcune pagine del "Il fu Mattia Pascal" e di "Uno nessuno e centomila", trovandolo noioso. Non parliamo poi del suo teatro. Che allora trovavo di un tedio mortale e ora lo trovo invece geniale.

Ecco, credo che per una più profonda comprensione dei temi di Kundera si debba necessariamente ritornare a Pirandello.

Kundera porta alla superficie il tema dell'istrionismo, dei molti volti dell'uomo, delle sue variazioni, ma non scende mai nella profondità della follia dell'uomo che in Kundera rimane sempre a livello epidermico e scivola via da una variazione all'altra.

Pirandello ha un'arte così capace di frantumare la realtà delle apparenze e di esasperarla per rispecchiare il nulla interiore dell'individuo, che che Kundera non ha.

Il brano seguente, preso da "L'immortalità" di Kundera, ci fa vedere come lo stesso tema di "Uno nessuno centomila" di Pirandello, che scende molto più in profondità, è presente anche in Kundera:

Aprì di nuovo la rivista e disse: “Se metti accanto le fotografie di due facce diverse, il tuo occhio è colpito da tutto ciò che le distingue una dall’altra.
Ma se hai una accanto all’altro centosessanta facce, d’improvviso scopri che si tratta solamente di un’unica faccia in tante varianti e che non è mai esistito alcun individuo”.
“Agnes” disse Paul, e la sua voce era improvvisamente seria. “Il tuo viso non somiglia a nessun altro”.
Agnes non colse il tono serio della voce di Paul e sorrise.
“Non sorridere. Lo penso seriamente. Quando ami qualcuno, ami il suo viso, che diventa così completamente diverso da tutti gli altri”.
“Sì, tu mi conosci per il mio viso, tu mi conosci come viso e non mi hai mai conosciuto diversamente. Non poteva neanche sfiorarti l’idea che io non sono il mio viso”.
Paul rispose con la paziente premura del vecchio medico: “Come sarebbe, non sei il tuo viso! Chi c’è dietro al tuo viso!”.
“Immagina di vivere in un mondo dove non ci sono specchi. Il tuo viso lo sogneresti e lo immagineresti come un riflesso esterno di quello che hai dentro di te. E poi, a quarant’anni, qualcuno per la prima volta in vita tua ti presenta uno specchio. Immagina lo sgomento! Vedresti un viso del tutto estraneo. E sapresti con chiarezza quello che ora non riesci a comprendere: tu non sei il tuo viso”.


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