Dal capitolo XXVII del mio romanzo "Gli ultimi incredibili anni prima di morire", in fase di elaborazione
Credo che sia effetto
della luna piena. Durante la luna piena si fanno sogni che non hanno
significato. Gli disse lei in
risposta al suo: Sai da varie notti sogno cose orribili.
Cosa? Gli aveva chiesto lei. Spririti orribili, strani esseri, che
mi stanno davanti e mi fanno paura. Le aveva risposto lui. Ma non aveva avuto il coraggio di pronunciare la parola, diavolo. Non aveva avuto il coraggio di
dirle che lui sapeva chi erano quegli
strani esseri che sognava la notte e che gli mettevano terrore e sparivano solo
quando pronunciava, Ave Maria gratia
plena...
Non le aveva detto che la
prima volta che le era apparsa una di quelle orribili visioni, lui aveva
tentato di urlare e la voce gli era morta in gola e che la solita voce dentro
che di tanto in tanto gli parlava, gli aveva ordinato: Abbraccia lei. Ti salverà! Non le aveva detto che lui subito l‘aveva abbracciata e subito si
era calmato. E lei dormiva, beata, e
di nulla si era accorta.
Non le aveva detto che anche già all‘inizio dell‘ inverno sentiva una presenza nella notte e solo vicino a lei tutto si calmava.
Ora era estate,
finalmente.
Un‘estate venuta tardi,
solo ad agosto, e dormivano con le finestre aperte. E lui guardava sempre in quella
direzione impaurito, oltre le užuolaidos,
le tende trasparenti, che erano l’unico schermo fra sé e la paura.
E temeva la figura nera farsi dietro inquieta.
Poi ebbe dei giorni di
pausa.
Le notti erano
ridiventate tranquille. E tiepide. Finalmente si respirava l‘estate, così breve in Lituania. Fra poco si sarebbe
di nuovo lasciata la luce e ricaduti nel buio e nel freddo dell’autunno e
dell’inverno a venire, che mai trova fine.
E stava quasi
dimenticando tutto, quando, come spesso succedeva appena entrato in bagno sentì
la solita voce di donna.
Sopravviverai!
Fu sorpreso.
Sopravviverò? Si chiese. Sopravviverò a che?
Ma la voce non rispondeva e non rispose più.
Di nuovo
passarono i giorni e si era ormai al Ferragosto. Era conveniente, si disse, che
riprendesse allora le sue passeggiate lunghe che da Justiniškės lo portavano al centro di Vilnius. E così
fece.
Tutti i giorni perciò attraversava
il semaforo dell‘incrocio che da Spaudos Rūmai mena dall‘altra parte, a
Karoliniškės.
E‘ un passaggio pedonale
abbastanza ampio, che taglia la doppia arteria di traffico costante che senza
sosta percorre quella doppia arteria.
Fu attraversando, mentre guardava
il telefono, distratto, che non vide il rosso. E non vide più nulla poi. Solo sentì,
un botto, forte, violento, e il corpo sollevarsi, in aria. In un volo dolce e
piacevole. Leggero.
Silenzio. Tenebra.
Poi, una luce, si
accese.
Una luce
innaturale che mai aveva veduto.
In quella luce si
trovò avvolto. Stava in alto. E in basso stava il corpo.
Su di un lato,
accanto si spandeva una grande macchia di sangue.
Un piccolo
capannello di gente e in lontananza già si udiva l’urlo di sirene.
Più avanti in
mezzo alla strada, che bloccava il traffico una macchina, con la parte
anteriore ammaccata e vetri dalla parte del guidatore spaccati e i frantumi
erano ricaduti su di un lato nella strada. E mentre guardava senza capacitarsi
si sentì tirare su verso l’alto, più in alto ancora, e man mano che saliva il
colore della luce cambiava e si faceva meno torba, più intensa e quasi
carezzava.
Si sentì bene, meglio
di quanto non si fosse mai sentito in tutta la sua vita. Era felicissimo,
stupito, elettrizzato, eccitato. I suoi sensi erano acuiti. Poteva vedere
meglio, sentire meglio, avere un sapore migliore. Si sentiva meglio, molto
meglio di quanto non avesse mai avuto modo di esserlo.
E mentre saliva
continuava e vedere quel corpo sulla strada, che ora era messo in un sacco blu
e veniva caricato su un carro funebre, ma poteva vedere oltre il sacco blu. E
si vide dentro quel sacco . E vide qualcuno che somigliava a se stesso. Capiva
che era lui ma allo stesso tempo si dispiaceva nel riconoscersi in lui.
Ma mentre saliva,
l‘ascesa si interruppe a un punto. E allora si sentì precipitare giù verso il
basso. Come se ci fosse stato un cambiamento di programma.
La discesa
sembrava non finire mai e più scendeva e più tutto attorno si faceva tetro.
A un certo punto
la discesa terminò e udì persone che lo chiamavano. Vide un gruppo di persone
in un corridoio angusto e buio, forse otto, che gli dissero: ‘Sappiamo tutto di
te, ti stiamo aspettando da molto tempo, ed è ora che tu venga con noi.'”
Voleva credere
che fossero amici, perché avevano nonostante tutto il tono di chi è amico, ma
mentre seguiva il gruppo lungo il corridoio buio che diveniva un largo budello scuro,
il loro comportamento amicale cambiò, il loro numero aumentò e le loro parole
divennero crudeli, blasfeme, beffarde, vituperanti. Allora ebbe paura. E urlò
“Torno indietro!”
Ma le figure nere
non volevano, glielo impedirono. A quel punto seppe chi erano. Erano persone
che avevano vissuto di piacere, di prevaricazione, di crudeltà. Quelle che lui
aveva voluto combattere e annientare. E ora avevano trasferito lì in quel luogo
abietto il loro modo di vivere e cercavano di attirare persone come lui dal mondo per convertirle al loro credo: coloro
che in vita non avevano potuto convertire, coloro che in vita si erano a loro
opposti.
Era orribile. Non
voleva ora diventare come loro. Non lo era stato in vita, come accettarlo ora?
Ma la forza della
loro mente era violenta, ineludibile.
Le sue labbra mormorarono d’istinto:
Sancte Michael Archangele,
Defende nos in proelio
Contra nequitiam et insidias diaboli esto
Praesidium
Imperet illi Deus...
Quelle figure
nere presero ad urlare “Che preghi? Smetti o sarà ancora peggio per te! Che
preghi? Non verrà nessuno in tuo aiuto, idiota!”.
Ma lui continuò
e quelle si straziarono. E si disperarono ancor che mai.
E finalmente una
luce. E gli apparve l‘Arcangelo Gabriele con la spada rivolta contro i neri
esseri. E quelli urlando parole oscene, irripetibili, si ritirarono.
“Che succede?” Chiese
lui.
“Dovevi vedere”.
Rispose l‘Arcangelo.
“Vedere cosa?”
“Vedere come il
mondo in cui vivi qua continua e si riproduce, vive qua di quella stessa luce
ma in modo aumentato. Il mondo in cui vivi anticipa quello che poi sarà, ma con
meno forza e nitidezza. Perciò dovevi vedere e capire.”
Parlava con
dolcezza l’Arcangelo anche se la sua voce era perentoria e non ammetteva il
contrario.
Lo toccò poi con una mano sulla spalla e gli disse: “Va‘ adesso. Torna a casa. Ti aspettano.”
Aprì gli occhi.
Si guardò attorno. Fu accecato dalla luce al neon che veniva dal soffitto. Era
una stanza bianca e fredda. Si trovò disteso su un tavolo di ferro. Freddo
anch’esso. Si guardò attorno. Non c‘era nessuno.
Si alzò. Con sua
sorpresa si accorse di essere vestito con gli stessi abiti di quando era uscito
di casa.
Vi era uno
specchio. Si guardò. I vestiti erano puliti. Non vi erano macchie di sangue. Né
erano rotti o strappati. La sua faccia, le sue mani non avevano ferite. Non
aveva ematomi. Non aveva lividi. Niente. Stava bene e camminava bene. Meglio di
quando era uscito.
Uscì da quella
stanza e si trovò in un corridoio. Il corridoio era deserto.
Seguì le
indicazioni ed uscì dall‘ospedale.
Appena fuori un
taxi aspettava. Salì. Senza pensare.
Quando entrò il
taxista gli Chiese. Ponas...
(menzionando il suo cognome) e lui rispose: Taip!
Il taxista gli profferì un indirizzo dove portarlo. Era quello dicasa. Di nuovo
rispose: Taip!
Il taxi partì. Si
accorse che accanto a lui sul sedile posteriore vi era un sacco della spesa
pieno di cose.
Nel mentre suonò
il telefono. Era lei. Ma dove sei? Ti ho chiamato due volte ma non rispondi.
Tutto bene?
Scusami, avevo il
telefono in tasca e lo avevo silenziato senza accorgermene, rispose. Ho preso
un taxi. Fra poco arrivo.
Hai fatto spesa?
gli chiese lei.
Taip! Rispose, ancora, senza accorgersene.
Guardò fuori dal
finestrino e vide un grande cartello con fondo amaranto, con scritte in
rilievo, bianche: Vilniaus Universiteto
Ligoninės Santariškių Klinikos.
Capì che era
finito dall’altra parte della città, nel quartiere ospedaliero di Vilnius
all’inizio della città.
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