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Il compimento della profezia

 



Il capitolo probabilmente finale del mio libro in corso di scrittura "Gli Ultimi Incredibili Anni Prima di Morire"

Passavano.
Si era appoggiato sul parapetto di Žvėryno tiltas, il ponte che mena a Gedimino Prospektas dalla parte dove si trova il Seima, il parlamento, venendo da Žvėrynas, e li guardava passare. Uno ad uno. Ed erano tanti. Alcuni erano gonfi di acqua. Altri avevano facce irriconoscibili. Altri mezzi sommersi.
E sfilavano lugubri. In silenzio.
La gente stava mesta penzoloni al parapetto guardava e non parlava, come ipnotizzata da quella processione di un corteo silenzioso ma che urlava forte l’orrore della guerra che ancora non era arrivata nella capitale.
Si dicevano che venissero dal confine con la Bielorussia, dove gli scontri erano stati violenti e il fronte si era aperto.
La città pareva ancora volere ignorare ma ormai era quistione di ore. Fra poco sarebbero arrivati i carrarmati russi e avrebbero sfilato per la città.
Non gli apparteneva quella guerra. Non era di quel popolo. Non era nemmeno più del suo popolo.
Era un apolide, un senza patria. Un déraciné . Uno straniero. Uno che era estraniato al mondo, ma anche a se stesso ormai, in quella città che non era la sua città.
Si chiedeva dov’era la sua città finalmente. Era quella di cui parlava Sant’Agostino?

Quei morti portati dall’acqua parevano gusci vuoti ed erano ormai indifferenti al mondo. L’unica differenza fra lui e quei gusci galleggianti ripieni di sola acqua era l’anima, che ancora era in lui. In lui ancora viveva quel soffio vitale che invece aveva abbandonato loro.
Li contemplava dall’alto e pareva che gli parlassero tuttavia.
E gli parlavano della morte che era sempre più vicina. E gli parlvano della morte che era iniziata il giorno che loro erano morti.
Loro che prima di morire si erano aggrappati a lui come l’ultima forza per vivere, disperatamente. E gli avevano succhiato via la vita. L’unica che aveva. E dopo lui se n’era andato. Sperando di vivere in un mondo nuovo. Ma inutilmente lo aveva sperato.
Quella vita, l’unica che aveva, gliel’avevano succhiata via in modo tormentato, prima che partisse. Volevano vivere ancora, non volevano morire. Si attaccavano a lui. Unica loro forza. Lui era giovane ancora. Loro vecchi. Gusci vuoti ormai...
Non poteva fargliene una colpa. Li aveva sempre amati. Suo padre e sua madre. Come accusare qualcuno a cui hai voluto bene tutta la vita e anche dopo la vita?
Aveva dato la sua  in fondo. Per salvare loro.
Come Cristo.
Ora gli fu chiaro perché quel giorno aveva desiderato vivere appeso a quel grande crocifisso che pendeva dalle volte di quella grande chiesa dove era andato per accompagnare lei dal padre esorcista.
Era un piccolo Cristo, alla fine. Un martire minore, che aveva testimoniato la sua fede nel martirio nel modo che poteva.
Per quello forse Nostra Signora lo aveva scelto e gli aveva concesso le grazie che aveva avute.
Questo gli dicevano quei cadaveri di soldati che sfilavano silenti portati dalla corrente del Neris, che attraversava Vilnius.
Ed erano il simbolo che annunciava l’arrivo di una grande catastrofe. Le cui dimensioni nessuno poteva prevedere.

Fu allora che capì. Il tempo era arrivato. Il buio stava per arrivare. Per tre giorni sarebbe stato.
Per tre giorni il mondo fuori avrebbe pianto e urlato. Per tre giorni il sangue sarebbe corso. Per tre giorni la tenebra e il fuoco avrebbe divorato quella parte del mondo. Ma questo non sarebbe stato il suo problema.
Ormai lui più non faceva parte di quel mondo.
Era pronto. In casa era tutto pronto.
Per tre giorni lui e la famiglia si sarebbero chiusi e avrebbero atteso senza mai guardare fuori.
E il quarto giorno il sole sarebbe arrivato. La luce di nuovo sarebbe stata. E un mondo più pulito e bello si sarebbe mostrato. Ma molti saranno gli uomini che non lo vedranno più.

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