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Silvia si interroga: Il suo piacere di vivere si era da allora spento e come una foglia in balia della corrente del fiume in piena, come un palloncino tra le volute del vento, aveva cominciato a fluttuare verso la propria fine?

 


Da "Essere mio padre" Paragrafo XIV
romanzo in fase di scrittura.


Babbo, non hai mai avuto paura di seguire i tuoi pensieri lungo i loro sentieri tortuosi, e io, io che ora ti sto incarnando su questa terra, ho paura di questa eredità che mi ha generato come tua materia vivente diretta a testimoniarti, al mondo .
Sono così spaventata, perché non so su cosa posso contare e cosa no.
E sento, in questo regno del tuo lascito, quanto è inquietante che siamo finalmente in grado di parlare ora, ora che sei oltre il regno in cui mi hai lasciata e tuttavia riempi il mio cuore con il tuo spirito perché non vuoi io vi vaghi, da sola, senza di te.

Svegliarsi la notte e cominciare a scrivere a suo padre era divenuta un’abitudine che acquisiva il tono dell’impellenza. Non poteva dire che le piacesse o le dispiacesse. Era un imperativo. Una chiamata a cui non poteva disubbidire.

Apriva gli occhi nel mezzo della notte. I primi attimi non rifletteva. Poi capiva e ubbidiva. Andava in cucina, si faceva il caffè, prendeva il diario, lei che mai aveva avuto un diario, e principiava a scrivere in quella lingua che non era la sua.

E finito di scrivere provava piacere. Piacere di essere in pace con se stessa, e con il mondo (forse). Ed era una buona sensazione. Una sensazione che non sentiva da tanto. Nemmeno ricordava di aver mai sentito. E le piaceva. E quel silenzio della notte e quella tazza di caffè caldo, quel mondo notturno che la avvolgeva la ispirava ad una vita migliore. E le dava abento, in cui finalmente intendeva cose che mai durante il giorno aveva tempo di intendere. In particolare, che la siua vita aveva bisogno di cambiare. Che necessitava un cambio.

Solo gli stupidi non cambiano mai. Le ricordava la voce interiore.

E che poteva cambiare?

Era così lineare, strutturata la sua vita, che cambiare anche un piccolo componente avrebbe fatto crollare tutto il resto.

Voleva che crollasse tutto? Il lavoro, la famiglia, la vita che si era costruita negli ultimi venti anni, con fatica e...volontà...?

Non ne era sicura. Ma capiva che qualcosa doveva cambiare. Altrimenti che senso aveva svegliarsi la notte, tenere un diario e scrivere a un padre morto, ma vivo dentro di lei? Altrimenti che senso aveva quella tazza di caffè fra le mani, fumante? che si preparava alle tre del mattino, lei che di caffè ne beveva pochissimo durante il giorno?

Erano i segni che qualcosa si preparava, e magari lei ancora non vedeva, ma si preparava indipendentemente da che lei volesse o no?

Poi si lluminò. E trovò in quella calma notturna una sua colpa, dopo che di colpe al padre ne aveva trovate molte.

Man mano che un padre invecchia si volge sempre di più verso la figlia. Cerca in lei la sua salvezza.

Eppure lei gli aveva chiuso la porta in faccia. Gli aveva impedito di volgersi a lei, come forse aveva cercato - e si ricordò di tanti momenti in cui aveva avuto quella sensazione, che suo padre cercasse in lei conforto.

E si era rifiutata.

In particolare si ricordò di un giorno che l’aveva chiamata dall’aeroporto di Vilnius, mentre aspettava l’aereo per tornare in Italia.

Voleva parlare. Si sentiva.
Lei invece. provava disturbo. Lui insisteva, e si percepiva il suo bisogno di trovare parole di conforto in lei. Lei però si indispettiva e si negava.

Non ce la faccio più, disse lui, ad andare avanti e dietro. Mi devo trasferire qua. E’ un dolore immenso essere qua con Živilė e poi dover tornare, ogni volta. Il mio animo è a pezzi.

Lui pensava forse di poter parlare a lei a cuore aperto, e rifugiarsi in quello di sua figlia, la maggiore, e invece il cuore di lei si chiudeva davanti alle confessioni del padre, disperato.

Anzi si infastidiva. Soprattutto il nome di lei, detto così allo scoperto le generò quasi disgusto. Un urto di vomito.

Era gelosa? Allora nemmeno si era posta questa domanda. Ma ora sì, capiva che era gelosa.

E deve aver trovato un modo per troncare la comunicazione.

Non si ricordava come, ma qualcosa doveva aver fatto.

Perché poi lui mandò qualche messaggio via whatsapp, a cui lei non rispose, e poi lui tacque.

Forse ancora più disperato.

E lei non si curò mai più della sua disperazione.

Quando lui si sposò in Lituania senza dirle nulla, e lei troncò ogni rapporto, lui continuò a cercarla, a tentare un dialogo.

Ma lei fu irremovibile, e ora si rendeva conto dell’ostinata stupidità in cui aveva vissuto.

Provò, provò tante volte suo padre a riprendere il dialogo interrotto. Ma poi alla fine si arrese e non la cercò più.

Doveva aver capito quello che lei solo ora, dopo la sua morte, capiva, che non poteva più cercare il suo sostegno. Che lei avrebbe dovuto da sola nel suo muto accanimento contro di lui doveva trovare da sola il giorno e l’ora in cui sarebbe riuscita ad uscire da quel buco nero in cui era deplorevolmente caduta.

E lui certamente aveva intuito che quel giorno e quell’ora sarebbero stati solo dopo che lui se ne sarebbe dipartito.

Forse era stato anche quello che aveva influito nella sua decisione di non voler più vivere, un modo per abbreviare un’agonia, che per il padre, ripudiato dalla figlia maggiore, non deve essere stata leggera.

Il suo piacere di vivere si era da allora spento e come una foglia in balia della corrente del fiume in piena, come un palloncino tra le volute del vento, aveva cominciato a fluttuare verso la propria fine?

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