Babbo, sono perfettamente consapevole che è te, di cui vuoi sentire parlare, non di me. Ma l'unica storia che ti riguarda e che posso raccontare, o l'unica che sono disposta a raccontarti, è questa, cioè la storia della mia vita, che è ben diversa, tutta un'altra cosa da quello che pensi, dalla storia di ciò che hai pensato che fosse la mia vita e dove c’eri tu.
La mia storia, la storia di me, il modo in cui penso, agisco e reagisco, è iniziata anni prima di quello che è successo, prima di arrivare alla scena finale in cui stavi recitando il tuo ultimo atto ed è andata avanti per anni finché non ne sei uscito. Per sempre.
Babbo, commetteresti un grave errore se pensassi che la differenza tra le due storie, la storia che volevi sentire e la storia che ascolterai, non sia altro che una questione di prospettiva. Penso di essermi sentita manipolata come tu hai manipolato molte delle donne che hanno attraversato la tua vita. Non è così. Non è così. Lo so. Ma ho davvero sofferto a non essere il personaggio principale della tua vita. La mia prospettiva era che fossi un personaggio minore. Capisci?
Ecco perché ho smesso di parlarti.
Avevo bisogno di essere il personaggio principale della tua vita, babbo, non minore, dove mi hai messo: dietro le quinte. Volevo essere sul palco con te, non dietro, dove mi hai messo.
Capisci babbo, ovunque tu sia?
Sono sorpresa, babbo, di parlarti come ti parlo ora. Non me lo sarei mai sognato.
Bene. Ti racconterò la mia storia, babbo, ascolta...
Nel mio crescere con te, babbo, ora penso che ci fosse una qualità autistica, che ha reso radicalmente incompleto il mio amore verso di te. Offro questo non come una critica ma come una diagnosi se ti interessa.
Da bambina, naturalmente, mi hai amato e io ho amato te.
Ma, anche allora, mi hai trattato come aspettavi di essere trattato. Forse è iniziato inconsciamente, ma piano piano mi hai tradotto in un oggetto imperscrutabile della tua visione.
E infatti, in quei giorni perfetti, avevamo un commercio imperscrutabile con il cuore dell'un l’altra.
Così mi sono sentita davvero anno dopo anno, soprattutto dopo aver compiuto i diciotto anni. Dopo quel punto, infatti, mi sono resa conto di quanto eravamo separati, due direzioni in movimento, la tua e la mia. Quale fosse la tua direzione non potevo dire, ma per me era opaca. Più guadagnavo la mia vita, più la sentivo opaca e distante.
Mi dispiace dirlo babbo, ma era questo che mi inquietava, e non potevo confessarlo. Mancava la determinazione. Eri come un'immagine lontana che svanisce e che non riuscivo a fermare e afferrare.
Smise di scrivere. Era buio. Era notte fonda. La casa era silente. Alessandro e i bambini dormivano. La migliore ora per scivere a suo padre. Per confessare tutto quello che non aveva mai avuto il coraggio di confessare a se stessa, prima di allora.
La mia storia, la storia di me, il modo in cui penso, agisco e reagisco, è iniziata anni prima di quello che è successo, prima di arrivare alla scena finale in cui stavi recitando il tuo ultimo atto ed è andata avanti per anni finché non ne sei uscito. Per sempre.
Babbo, commetteresti un grave errore se pensassi che la differenza tra le due storie, la storia che volevi sentire e la storia che ascolterai, non sia altro che una questione di prospettiva. Penso di essermi sentita manipolata come tu hai manipolato molte delle donne che hanno attraversato la tua vita. Non è così. Non è così. Lo so. Ma ho davvero sofferto a non essere il personaggio principale della tua vita. La mia prospettiva era che fossi un personaggio minore. Capisci?
Ecco perché ho smesso di parlarti.
Avevo bisogno di essere il personaggio principale della tua vita, babbo, non minore, dove mi hai messo: dietro le quinte. Volevo essere sul palco con te, non dietro, dove mi hai messo.
Capisci babbo, ovunque tu sia?
Sono sorpresa, babbo, di parlarti come ti parlo ora. Non me lo sarei mai sognato.
Bene. Ti racconterò la mia storia, babbo, ascolta...
Nel mio crescere con te, babbo, ora penso che ci fosse una qualità autistica, che ha reso radicalmente incompleto il mio amore verso di te. Offro questo non come una critica ma come una diagnosi se ti interessa.
Da bambina, naturalmente, mi hai amato e io ho amato te.
Ma, anche allora, mi hai trattato come aspettavi di essere trattato. Forse è iniziato inconsciamente, ma piano piano mi hai tradotto in un oggetto imperscrutabile della tua visione.
E infatti, in quei giorni perfetti, avevamo un commercio imperscrutabile con il cuore dell'un l’altra.
Così mi sono sentita davvero anno dopo anno, soprattutto dopo aver compiuto i diciotto anni. Dopo quel punto, infatti, mi sono resa conto di quanto eravamo separati, due direzioni in movimento, la tua e la mia. Quale fosse la tua direzione non potevo dire, ma per me era opaca. Più guadagnavo la mia vita, più la sentivo opaca e distante.
Mi dispiace dirlo babbo, ma era questo che mi inquietava, e non potevo confessarlo. Mancava la determinazione. Eri come un'immagine lontana che svanisce e che non riuscivo a fermare e afferrare.
Smise di scrivere. Era buio. Era notte fonda. La casa era silente. Alessandro e i bambini dormivano. La migliore ora per scivere a suo padre. Per confessare tutto quello che non aveva mai avuto il coraggio di confessare a se stessa, prima di allora.
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