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Essere mio padre - I

Per me questo blog è sempre stato un laboratorio di scrittura. Ho sempre postato parti dei miei romanzi in fieri.
E' un laboratorio di scrittura a disposizione per quei pochi che amano le idee, la verità e un modo di scrivere che non sia quello uniformato e piattificato dalla folta schiera dei polli d'allevamento (di questo concetto ne ho parlato QUI, in riferimento a Michel Houellebecq).
Comincio oggi a pubblicare parti di un nuovo romanzo in elaborazione "Mio padre - chi era?"

Qui il primo capitoletto.



Cara Silvia,
mi sei mancata tanto. Quante volte avrei voluto abbracciarti sentire la tua voce. Toccarti.
Mi sono sentito solo. Avrei voluto almeno parlare con te, non dico tutti i giorni, ma spesso.
Ma da parte tua non c'era interesse a parlare con me.
Ne ho sofferto molto.
Non so che dire. Una grande disperazione e desolazione sentirsi così abbandonato. Ti ho sempre amato, fin da piccola. Non sarò stato il padre perfetto ma nemmeno un delinquente. Quando mi hai cercato c'ero sempre. Forse non sempre con i soldi, soprattutto. Ma ho sempre avuto un rapporto difficile con i soldi.

Ti auguro ogni bene.

Babbo


Fu un incubo da quando lo seppe. Non poté più vivere.
Piangeva spesso. Invocava il suo nome e chiedeva perdono. Ma ormai non c’era più.
E ti accorgi sempre degli errori, dopo. Purtroppo.

In realtà quando ricevé quella email, non capì bene. Al momento non gli dette peso. Suo padre talora era melodrammatico. E un po’ questo l’aveva sempre disturbata.
Passò un mese, senza pensarci più di tanto. Poi...una domenica mattina mentre lavava le tazze del caffè una voce gli fulminò il cervello.
E’ morto. E’ morto...
Corse al computer, rispose all’email e attese.
Passarono due giorni. Nessuna risposta.
Silvia, cominciò a sentire le ali di un qualcosa sbattere sopra di lei. Il cuore prese a palpitarle. Sudò freddo. Ed era il 15 di agosto.
Da quel Ferragosto fu la certezza, che era morto. Ma come allora quella email?
Chiamarlo al telefono? Non ne aveva il coraggio. Ma provò.
Ma una voce metallica in una lingua sconosciuta rispondeva e lei non capiva nulla. Provò ancora e fu lo stesso.
Fece così una cosa che non avrebbe mai pensato di fare. Si sentiva umiliata, ma lo fece.
Il morso allo stomaco e il dolore nel cuore non le concedevano altro.
Andò su Facebook e cercò il nome di lei. Di sua moglie.
Lo trovò. Entrò in messenger e le scrisse.

Non ricevé subito la risposta. Passò qualche giorno. Poi una mattina, appena svegliatasi trovò un messaggio.

Sì, tuo padre è morto, a maggio. L’email l’ho mandata io. L’aveva preparata quando ancora era in vita e mi aveva pregato di inviartela dopo che sarebbe morto. Ma senza aggiungere nulla di più di quello che lui aveva scritto.
Onestamente non volevo inviartela. Quando ci siamo incontrate in Italia, prima che tuo padre partisse con me, hai fatto di tutto per mostrarmi la tua antipatia.
Ma che ti avevo fatto io?
Ero così felice di conoscerti. Eri la figlia dell’uomo che amavo e volevo conoscerti. Ma che delusione è stata vedere il disprezzo con cui mi hai trattata...
Alla fine te l’ho mandata. Me l’aveva chiesto con tutto il cuore...te l’ho mandata per rispetto verso di lui...ma io penso che non meritavi il suo amore.
Perché hai smesso di scrivergli? Perché non rispondevi ai suoi messaggi e alle sue chiamate?
Che ti aveva fatto? Che ti abbiamo fatto? Perché ci siamo sposati e non te l’ha detto subito?Mi ricordo che tutto è incominciato da lì...
Va bene, avrà sbagliato, ma era un motivo per tagliare i ponti con lui?
Ma che hai al posto del cuore? Un pezzo di ghiaccio?


Silvia sbiancò. Un pugno in piena faccia sarebbe stato meno doloroso.
E’ morto. E’ morto. E’ morto...il mio babbo è morto e per sempre...babbo, babbino...
E piangeva e singhiozzava.
Rachele la piccolina si avvicinò.
Mamma...perché piangi?
E’ morto il mio babbo.
Il tuo babbo. Ma avevi un babbo mamma?
Sì, amore. Lo avevo.
Ma non me lo hai mai detto.
No, Rachele. Non te l’ho mai detto.
Perché?

Perché? Perché non gliel’aveva mai detto? Perché si era comportata così? Se lo chiedeva anche lei.
Qualche volta nella vita si finisce in luoghi, in stati mentali che ti sembrano naturali ma sono mostruosità invece. E vivi poi per anni in armonia con quelle mostruosità.

Ma di che è morto? Riuscì solo con quella domanda a replicare a quel messaggio, fra le lacrime e con Rachele che la abbracciava da dietro le spalle.

A chi scrivi, mamma?
Non importa, Rachele. Non è importante.
Mamma non piangere. Ci sono io. Io sarò sempre con te.
Gesù! Anche lei avevo detto quelle parole a suo padre.
Gesù! Come aveva potuto vivere gli ultimi anni in quella nebbia?
Aveva davvero un pezzo di ghiaccio al posto del cuore?

Non voleva più vivere. Rispose quasi subito. Aveva perso la voglia di vivere.
Non voleva più vivere? Replicò Silvia. Ma come si può morire di ciò?
Sì può. Le rispose. Si può. Se decidi di morire, puoi morire. Quando non vuoi più vivere, puoi morire. Gli ultimi anni non sono stati facili. Il covid, i lockdown, la guerra, i prezzi   impazziti, la povertà...spesso nemmeno sapevamo se il giorno dopo avremmo avuto i soldi per mangiare...tutto questo gli ha fatto capìre che non era più il suo mondo. E ha preferito andarsene.
E tu, come farai ora? Le erano scivolate le mani sulla tastiera del telefono per quelle parole. Nemmeno poteva credere di averle scritte quelle parole
Non è un problema che ti riguarda. Non ti è mai interessato nulla di me...di noi. Ho provato a perdonarti ma ancora non ci sono riuscita. Ti auguro di trovare pace, ma non credo che ci riuscirai.

E quelle furono le ultime parole di lei, di Živilė, la moglie del padre.

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