ea, quae remota sunt a sensibus nostris, quoniam nostro testimonio scire non possumus, de his alios testes requirimus eisque credimus, a quorum sensibus remota esse vel fuisse non credimus [1]
Poiché non possiamo conoscere per testimonianza diretta ciò che non è disponibile ai nostri sensi, per queste cose cerchiamo allora dei testimoni a cui crediamo, per il fatto che non dubitiamo che quelle stesse cose [che non sono disponibili ai nostri sensi] siano o siano state indisponibili ai loro sensi.
In questo latino di Sant'Agostino, in se stesso a mio avviso una lingua che non può non essergli stata ispirata nella sua perfetta tortuosità per esprimere l'inesprimibile, ci fa capire una cosa: che l'intervento di Dio nella storia non è mai dai più colto direttamente ma per lo più indirettamente attraverso l'evidenziarsi di un tertium datur. Ed è comunque sempre e solo a disposizione di chi è in grado di tenere attive e sviluppare quelle componenti che gli permettono di concepire la percezione del tertium datur, QUI dove ne trattiamo..
L'esempio più tipico di tertium datur sono le scritture, i santi, le profezie, le locuzioni interiori (che si situano sempre in uno stato intermedio fra la soggettività di chi percepisce la locuzione e l'alterità della locuzione che parla dentro e che lascia sempre l'impossibilità di una testimonianza diretta e certa se non legata a un credere): mundum esse conspicimus, Deum esse credimus [2] "Che il mondo esiste lo vediamo, che Dio esiste lo crediamo"
Poiché non possiamo conoscere per testimonianza diretta ciò che non è disponibile ai nostri sensi, per queste cose cerchiamo allora dei testimoni a cui crediamo, per il fatto che non dubitiamo che quelle stesse cose [che non sono disponibili ai nostri sensi] siano o siano state indisponibili ai loro sensi.
In questo latino di Sant'Agostino, in se stesso a mio avviso una lingua che non può non essergli stata ispirata nella sua perfetta tortuosità per esprimere l'inesprimibile, ci fa capire una cosa: che l'intervento di Dio nella storia non è mai dai più colto direttamente ma per lo più indirettamente attraverso l'evidenziarsi di un tertium datur. Ed è comunque sempre e solo a disposizione di chi è in grado di tenere attive e sviluppare quelle componenti che gli permettono di concepire la percezione del tertium datur, QUI dove ne trattiamo..
L'esempio più tipico di tertium datur sono le scritture, i santi, le profezie, le locuzioni interiori (che si situano sempre in uno stato intermedio fra la soggettività di chi percepisce la locuzione e l'alterità della locuzione che parla dentro e che lascia sempre l'impossibilità di una testimonianza diretta e certa se non legata a un credere): mundum esse conspicimus, Deum esse credimus [2] "Che il mondo esiste lo vediamo, che Dio esiste lo crediamo"
La parola di Dio allo stesso modo opera nella quotidianità delle piccole cose quotidiane che formano la storia. I sensi quasi mai percepiscono l'intervento di Dio nel momento che interviene, ma si affida sempre a uno sguardo a posteriori che permette di rivolgere il proprio stato d'animo dal punto di arrivo (terminale, nel momento che si rivolge lo sguardo a posteriori) a quello di partenza che si ritiene abbia dato inizio al processo di cambiamento percepito però retrospettivamente, e credere che quel tragitto non sarebbe stato possibile senza l'intervento di ciò che è intervenuto e di cui i nostri sensi non erano in grado di darne rilievo fino al momento dello sguardo retrospettivo. Che è ciò che rafforza "il credere".
[1] Sant'Agostino, De Civitate Dei, XI, 3
[2] Sant'Agostino, De Civitate Dei, XI, 4.1
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