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Vedere i morti

 




Questo è un capitoletto del mio nuovo libro in fase di scrittura "A New Normal". Che si svolge a Vilnius, in Lituania. E' LEGGIBILE LA PRIMA PARTE IN ACADEMIA


Aprì gli occhi e la porta di aperse.

Entrò.

Che emozione rientrare dopo quattro anni di assenza. Lì dentro il tempo era veramente fermo.

Appena entrato vide che la luce della sala che si trovava subito a destra, dopo la porta di ingresso, era accesa, la serranda della vetrata per il terrazzo e quella della finestra adiacente completamente abbassate. La televisione gracchiava in modo debole e passavano le immagini di un talk show con Giletti.

Fu colto di sorpresa, tuttavia. Quella casa era stata chiusa nel gennaio del 2018, e da allora non era più stata riaperta.

Vi era un certo odore di muffa e un’aria pesante.

Notò che la luce della cucina, che si trovava subito a sinistra rispetto alla porta da dove era entrato stava spenta e la stanza era completamente buia, a causa degli avvolgibili tirati completamente giù.

Il corridoio, che gli rimaneva dinnanzi, anch’esso completamente buio.

Non vide nessuno. La porta si richiuse alle sue spalle, con un leggero rumore, come chiusa da una mano invisibile.

Vide solo la TV, e una sedia a dondolo davanti alla tv che si muoveva avanti e dietro, lentamente, ma non c’era nessuno.

Ma era sicuro che erano lì. Non li vedeva ma erano lì.

Dove siete? Domandò.

Nessuno rispose.

Ma sentiva il loro odore. Erano lì.

Veni, Sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium... O lux beatissima, reple cordis intima tuorum fidelium…Mormorò.

Chiuse gli occhi. E sentì.

O[1]! Una voce maschile.

Sei tornato? Una voce femminile.

Aprì gli occhi. Erano li.

Lei sedeva sulla sedia a dondolo. Indossava una maglietta con il collo alla ciclista, porpora, e un paio di pantaloni marroni lunghi ma arrotolati fino alle ginocchia per lasciare le gambe arrossate scoperte e lenire il bruciore. Portava un paio di occhiali da sole. E con un braccio appoggiato sul bracciolo della sedia si sosteneva la testa leggermente piegata. Ma non guardava lui, guardava avanti come persa. E sapeva che dietro quegli occhiali scuri i suoi occhi erano chiusi e assonnati. I capelli arruffati, soprattutto dietro, alla nuca, dove erano radi e traspariva la cute grigia.

Lui, il marito, le sedeva davanti, su una poltrona, stava leggermente inclinato in avanti. Appoggiava entrambi gli avambracci sui braccioli delle poltrone e teneva i pugni delle mani stretti, in modo quasi violento.

Nessuno dei due lo guardava. Entrambi parevano guardare la TV ma in realtà nemmeno la vedevano.

Sì, sono venuto. Rispose lui.

Tacquero.

Tanto che siete qui? Insisté.

Sì. Rispose lui. Dal gennaio 2018.

Tuo fratello non viene mai. Aggiunse lei.

Da quando eravamo all’ospedale che non l’abbiamo più visto. Aggiunse lui.

Lavora sempre. Ribadì lei.

Poveraccio. Esclamò lui. So, che vuol dire lavorare, essere sempre in viaggio. Anche io ho lavorato tanto nella mia vita…continuò lui. Ero un cavallo. Mi alzavo alle 4 della mattina per andare a Roma e ritornavo la sera a mezzanotte. E ripartivo la mattina dopo alle 4.

E’ in pensione, ora. Gli rispose ad entrambi.

Mamma mia come passa il tempo. Disse lei.

A noi non passa mai. Rispose lui.

Mi mancavate. Tanto. Si rivolse a loro due con le lacrime agli occhi.

Te ne sei andato, vigliacco. Gli rispose lei. Ci hai lasciati soli.

Mi dispiace, ma non ce la facevo più. Vi chiedo perdono. Non ce la facevo più credetemi…tre anni a lavorare tutti i giorni senza mai dormire la notte, e accudire voi due tutt’e due, da solo, settimana dopo settimana, mese dopo mese.... Non ce la facevo più…mi dispiace. Ero distrutto. Forse impazzito…

Tacquero.

Rimarrete sempre qua? Domandò loro.

Non dipende da noi. Voi non pregate mai per noi. Disse lei.

Non è vero…le rispose. Io prego per voi quasi ogni giorno.

Tacquero.

Io ho cominciato a credere troppo tardi. Disse lui.

Io ho perso la fede alla fine. Non ci credevo più alla fine. Disse lei.

Ma che succede fuori? Chiese lui.

Che vuoi dire? Gli rispose il figlio.

Non capisco. Parlano sempre di morti alla TV. La gente è chiusa in casa. Non possono uscire.  Vive impaurita. Hanno chiuso bar, ristoranti, alberghi…ma che sono tutti acciucchiti?

Sì, babbo, più o meno, il mondo è diventato pazzo.

Per fortuna non ci siamo più. Disse la madre.

Sì, mamma, avete vissuto gli anni migliori. Siete stati fortunati.

Le bambine, come stanno? Chiese il padre.
Non lo so non le ho più viste. La più grande non mi parla più. Non capisco bene che le ho fatto. La più piccola la sento ogni tanto, per telefono. Ho paura per loro, si sono vaccinate tutt’e due. Ogni giorno prego la Madonna e Dio, che le proteggano, che non gli accada nulla. Ho tanta paura per loro…

Eh! Sospirò il padre.

Ritornerai a Vilnius?

Sì, mamma.

Ti sei sposato? Chiese il padre.

Sì.

Sei felice, ora?

Sì, ora sono felice.

All’inizio non mi piaceva lei. Ma un giorno mi si è avvicinata e l’ho vista bene. La vedevo sempre da lontano, da lontano non ci vedevo…com’era bellina! L’ho guardata negli occhi e ho visto che era buona…le ho accarezzato la faccia…hai fatto bene a sposarla. Hai trovato la donna giusta finalmente. Lei penserà a te.

Grazie, mamma.

Ritornerai a trovarci? Siamo qui sempre soli. Non ci viene mai nessuno a trovare.

Non dipende da me babbo. Lo sai.

Lo so. Rispose.

Prega per noi, ti prego. Chiese la madre. Solo le tue preghiere ci salveranno.

Prego, mamma. Prego per voi quasi ogni giorno. Pregherò ancora di più…Sapete, tutti i giorni cammino per una foresta vicino casa…come vorrei incontrarvi lì, improvvisamente svoltando da un sentiero…

Anche noi vorremmo…rispose il padre. Vorremmo, tanto ma non dipende da noi…

Poi lui si avvicinò al padre. Lo abbracciò. Sentì il suo buon odore, lo stesso del giorno che lo aveva abbracciato a letto, prima di partire per sempre. Si abbracciarono forte, tutt’e due. E piansero come bambini.

Mi mancherai, ragazzo. Gli disse il padre, pulendosi le lacrime con le mani rattrappite. Torna presto.

Poi andò dalla madre e abbracciò anche lei. E piansero, abbracciati stretti. Mamma e figlio.

Perdonami, mamma!

Ci provo. Ci provo…ma quando sei andato via, ho capito che sarei morta presto. Eri la nostra unica forza…ci davi la forza di vivere. Quando te ne sei andato, abbiamo perso la voglia di vivere. Io soprattutto. Tuo padre era rinciucchito, non capiva…ed è stato meglio così che se avesse capito….porta un bacio a tua moglie, e alla bambine di lei. Non le abbiamo mai viste. Come avrei voluto vederle…

Sono belle mamma. E brave.

Come si chiamano.

A… e E...

Che bei nomi…c’è la neve a Vilnius?

Tanta mamma, tanta. Ti sarebbe piaciuto se fossi venuta a trovarmi.

Peccato ero troppo vecchia, sono morta prima.

Ma io spero di incontrarvi ancora nella foresta, da me a Vilnius.

Ci garberebbe anche noi. Rispose il padre.

Vado, ora. Fra poco si sveglieranno tutti a Vilnius. E se non mi vedono in casa si impauriranno.

Ma non andrai un po’ nel centro di Empoli? Non vuoi vederlo, dopo tutto questo tempo? Chissà come sarà cambiato? Ma ci sarà sempre la pasticceria del Vezzosi? Oh, come mi piaceva andarci la mattina a fare colazione quando ero più giovane e lavoravo a casa della Scozzi a fare le pulizie.

Non credo, mamma, non ho molto tempo. Mi piacerebbe. Ma ti ho detto, tra poco a Vilnius si svegliano tutti e se non mi trovano nel letto si impauriranno.

Abbassarono la testa. Si ammutolirono. E ripresero la posa, di quando, lui, il figlio, era arrivato.

Si avvicinò alla porta, che si aprì. La varcò. La sentì chiudersi di nuovo leggera alle spalle e un macigno si posò sul suo cuore.

Avvertì un movimento verso l’alto e come essere rubato via.

La vita non è quello che pare. Peccato che lo sai solo dopo. Fu il suo ultimo pensiero.

 

Mi si presentano dei defunti o degli angeli e mi accompagnano nei luoghi dove è necessaria la mia presenza. Vedo perfettamente i luoghi dove vado, posso parlare, essere udita, posso compiere delle azioni come aprire o chiudere le porte. Rimango sul posto il tempo necessario. Io sono cosciente che il mio corpo è a Paravati, ma è come se avessi un altro corpo.

(Natuzza Evolo)

 



[1] Il tipico saluto, poco educato, dei toscani. Ha la stessa pronuncia del francese eau

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