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Contra clarissimam veritatem tanta quisquam dementia mirae caecitatis obnititur - ci si oppone ad una verità di per sé tanto evidente tramite una follia completamente cieca (riflessioni sull'attualità del De Civitate Dei di Sant' Agostino)

 







Quando le civiltà cadono, certi meccanismi si ripetono.

Sant'Agostino nel De Civitate Dei testimonia che la caduta di Roma del 410 d.C. fosse colpa del fatto che il cristianesimo, il Dio dei cristiani avesse sostituito il culto delle divinità (pagane) dei romani quorum cultu prohibito has generi humano clades isti opinantur infligi*** (i nostri accusatori ritengono che siano inflitte al genere umano queste calamità perché è stato proibito il loro culto)

Agostino nel De Civitate Dei si sforza di dimostrare che fu invece tutto il contrario, ma ciò fu certamente un elemento divisivo (come oggi accade del resto tra cultori del Dio Vaccino e non) fra cristiani e pagani del dopo caduta di Roma, cur calumniantur temporibus Christianis, ideo dicentes Urbi accidisse illam calamitatem, quia deos suos colere destitit?*** (perché insultano la civiltà cristiana dicendo che a Roma è capitata quella sventura perché ha cessato di onorare i propri dèi?)

Non si imputa oggi, forse, il fatto che l'economia (civitas quae olim fuit) non possa ripartire sia colpa di coloro che non si sono piegati al culto del Dio Vaccino, che essi lo rinneghino e non lo riconoscano?
E per quanto i rinnegatori del Dio Vaccino e degli altri idolatrismi artatamente propagandati si sforzino di spiegare che in realtà coloro che si sottomettono al culto non fanno altro che peggiorare ulteriormente la situazione non vengono creduti e vengono invece derisi e screditati sebbene l'evidenza sia tutt'altra e siano accusati di essere criminali perché non hanno rispetto del bene comune che di diritto pertiene alla maggioranza del cui bene comune si occupa e garantisce lo stato.

Nisi forte contra clarissimam veritatem tanta quisquam dementia mirae caecitatis obnititur, ut contendere audeat universam civitatem deos colentem infelicem esse non posse, unum vero hominem posse, quod videlicet potentia deorum suorum multos potius sit idonea conservare quam singulos, cum multitudo constet ex singulis.***

Non ci si oppone forse ad una verità di per sé tanto evidente tramite una follia talmente ceca da sostenere che uno stato che onori [per il bene comune]i suoi dèi non cada nell'infelicità, ma un singolo individuo sì, per il fatto che la potenza dei propri dèi guarda al bene comune dei molti e non dei singoli, anche se i molti sono fatti di singoli.


***De Civitate Dei, I, 15,1

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