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La natura umana della massa esposta nel De Civitate Dei di Agostino - II

 






L'essere né caldo né freddo è un altro aspetto della natura umana della massa, che concerne quella parte dei boni, quelli che noi chiamiamo gli ignavi, che non prendendo posizione e perciò conducendo un'esistenza unicamente volta al mantenimento del loro status, li rende predisposti alla schiavitù del proprio egoismo personale in vista della salvaguardia del piacere che gliene deriva.

E in ciò si associa (simul) ai mali, ai corrotti e criminali, che invece operano di proposito per far andare il mondo in una certa direzione, che in ultima analisi ha come mira la schiavizzazione dei boni, deboli e incapaci di uscire dal proprio stabulum.
E per questo sono paragonabili ai mali, perché non opponendovisi ma dando loro direttamente o indirettamente il consenso, acconsentendo ai loro diktat, divengono parimenti colpevoli e non meritano trattamento diverso.
L'Apocalisse (3:15-16) in questo è tranchant

Scio opera tua, quia neque frigidus es neque calidus. Utinam frigidus esses aut calidus!
Sic quia tepidus es et nec calidus nec frigidus, incipiam te evomere ex ore meo.

"Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Oh fossi tu pur freddo o caldo!
Così, perché sei tiepido, e non sei né freddo né caldo, io ti vomiterò dalla mia bocca."

Anche qui, nel passo sotto,  Sant'Agostino individua bene, con il suo linguaggio che ovviamente rispecchia i tempi e riferimenti della sua formazione culturale e spirituale, la natura ignavia di chi acconsente per codardia o infingardaggine.

Non mihi itaque videtur haec parva esse causa, quare cum malis flagellentur et boni, quando Deo placet perditos mores etiam temporalium poenarum afflictione punire. Flagellantur enim simul, non quia simul agunt malam vitam, sed quia simul amant temporalem vitam, non quidem aequaliter, sed tamen simul, quam boni contemnere deberent, ut illi correpti atque correcti consequerentur aeternam, ad quam consequendam si nollent esse socii, ferrentur et diligerentur inimici, quia donec vivunt semper incertum est utrum voluntatem sint in melius mutaturi.***

"Non mi sembra una ragione di poco rilievo che anche i buoni siano colpiti con i cattivi dal momento che Dio vuole punire la immoralità anche con la calamità delle pene nel tempo. Sono puniti insieme non perché conducono insieme una vita cattiva ma perché amano insieme la vita nel tempo, non in maniera eguale, comunque insieme. I buoni dovrebbero averla in minor conto affinché i malvagi efficacemente ammoniti conseguano la vita eterna. E se non volessero esser compagni nel conseguirla, dovrebbero esser sopportati e amati come nemici, giacché finché vivono, non si sa mai se non muteranno in meglio il proprio volere."

***De Civitate Dei I, 9-3

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