Lo chiamerò. Disse lei. Farò anche questo. Che altro posso fare non lo so.
La pandemia e la conseguente distruzione del lavoro si faceva sentire.
In una settimana erano entrati cento euro. Poco più.
Dovremo lasciare l’ufficio e lavorare da casa. Ormai i debiti sono troppi dobbiamo provare a non farne di più. Già dobbiamo due mesi di affitto. Un altro mese sarebbe troppo. Ti dispiace? Gli chiese.
No, ormai non saprei che altro fare, seguo solo il flusso. Faccio il possibile per riuscire nel lavoro. Metto tutto l’impegno. Rispose lui.
Ho fatto di tutto per ripulire la mia energia, ora non mi rimane che fare anche quello. Tutta la mia vita è sempre stato così. Problemi di soldi, non sono mai riuscita a cambiare la situazione. Disse lei a sua volta.
La strada pareva presa.
Avevano un deposito versato all’inizio quando erano entrati nell’ufficio. Con quello avrebbero pagato gli affitti arretrati. E se ne sarebbero andati. In questo mondo mai devi attaccarti a nulla e nessuno, ancor meno a quattro pareti, anche se confortevoli e benevole.
Questo era il loro universo, di quei giorni. Universo dei loro amori, degli odi, delle sofferenze, delle gioie e dei dolori, della loro quasi fame, che cominciava a profilarsi e della conseguente disperazione, che principiava.
Lui che era venuto dalla terra del sole, dal profondo sud delle spiagge della Calabria, ora aveva conosciuto la monotonia del lungo inverno, della neve senza fine, del vento, della pioggia che durava mesi, di un cielo grigio e deprimente che mai finiva e si ripeteva giorno dopo giorno.
E ora, lui che veniva da un paesino che si diceva povero, finalmente conosceva la vera fame, che nel sud in realtà mai aveva patito.
Giù al paesello aveva almeno i santi a cui aggrapparsi, qui anche quelli erano stranieri.
Ora nemmeno più si distingueva la vita vera da quella falsa, era divenuta tutta uguale, monotona, sotto una cappa di bugie.
E una nuova razza rinasceva, una di cui aveva una volta sentito parlare dai nonni, giù al sud. Quella dei cafoni. Quelli che non hanno nulla, neanche un po’ di sole a cui scaldarsi, perché in quel posto di sole non ce n’era.
Quelli che come i maiali prendono ciò che gli viene gettato e devono stare in branco e ubbidire in attesa del macello.
La pandemia e la conseguente distruzione del lavoro si faceva sentire.
In una settimana erano entrati cento euro. Poco più.
Dovremo lasciare l’ufficio e lavorare da casa. Ormai i debiti sono troppi dobbiamo provare a non farne di più. Già dobbiamo due mesi di affitto. Un altro mese sarebbe troppo. Ti dispiace? Gli chiese.
No, ormai non saprei che altro fare, seguo solo il flusso. Faccio il possibile per riuscire nel lavoro. Metto tutto l’impegno. Rispose lui.
Ho fatto di tutto per ripulire la mia energia, ora non mi rimane che fare anche quello. Tutta la mia vita è sempre stato così. Problemi di soldi, non sono mai riuscita a cambiare la situazione. Disse lei a sua volta.
La strada pareva presa.
Avevano un deposito versato all’inizio quando erano entrati nell’ufficio. Con quello avrebbero pagato gli affitti arretrati. E se ne sarebbero andati. In questo mondo mai devi attaccarti a nulla e nessuno, ancor meno a quattro pareti, anche se confortevoli e benevole.
Questo era il loro universo, di quei giorni. Universo dei loro amori, degli odi, delle sofferenze, delle gioie e dei dolori, della loro quasi fame, che cominciava a profilarsi e della conseguente disperazione, che principiava.
Lui che era venuto dalla terra del sole, dal profondo sud delle spiagge della Calabria, ora aveva conosciuto la monotonia del lungo inverno, della neve senza fine, del vento, della pioggia che durava mesi, di un cielo grigio e deprimente che mai finiva e si ripeteva giorno dopo giorno.
E ora, lui che veniva da un paesino che si diceva povero, finalmente conosceva la vera fame, che nel sud in realtà mai aveva patito.
Giù al paesello aveva almeno i santi a cui aggrapparsi, qui anche quelli erano stranieri.
Ora nemmeno più si distingueva la vita vera da quella falsa, era divenuta tutta uguale, monotona, sotto una cappa di bugie.
E una nuova razza rinasceva, una di cui aveva una volta sentito parlare dai nonni, giù al sud. Quella dei cafoni. Quelli che non hanno nulla, neanche un po’ di sole a cui scaldarsi, perché in quel posto di sole non ce n’era.
Quelli che come i maiali prendono ciò che gli viene gettato e devono stare in branco e ubbidire in attesa del macello.
Era difficile in quei giorni anche il pensare
Si affidavano alla preghiera per prendere decisioni.
Limitarsi a guardare la realtà non aiutava, anzi, essendo che era una realtà falsificata in tutto, fuorviava.
Una decisione presa nella preghiera era un atto certo.
E le ore dei giorni che talora sembravano disperate, improvvisamente si aprivano e schiudevano il mistero di una realtà che si manifestava come normale eppure loro sentivano che erano altro da quello che manifestavano nel loro fluire.
Così alla fine ogni volta che sembrava la fine, magicamente qualcuno chiamava per l‘olio o la pasta o il caffè e quel po‘ subentrava per continuare.
E una certezza di fondo conseguiva: ce la faremo.
Si affidavano alla preghiera per prendere decisioni.
Limitarsi a guardare la realtà non aiutava, anzi, essendo che era una realtà falsificata in tutto, fuorviava.
Una decisione presa nella preghiera era un atto certo.
E le ore dei giorni che talora sembravano disperate, improvvisamente si aprivano e schiudevano il mistero di una realtà che si manifestava come normale eppure loro sentivano che erano altro da quello che manifestavano nel loro fluire.
Così alla fine ogni volta che sembrava la fine, magicamente qualcuno chiamava per l‘olio o la pasta o il caffè e quel po‘ subentrava per continuare.
E una certezza di fondo conseguiva: ce la faremo.
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