A volte ritornano, senza spiegazione, i fantasmi. E quando meno te lo aspetti ecco che il passato a cui piú pensi di interessare ti cerca. E ti vuole. E magari ti rapisce.
Fui rapito, infatti, non so come, ne da chi. Non saprei. Fu una forza che mi prese, come nei sogni, e in un attimo mi ritrovai migliaia di chilometri lontano.
E' difficile crederci, lo so. Ma fu così.
Mi ritrovai alle pendici di un monte che conoscevo, dove avevo vissuto molti anni prima. Il monte Albano. In un piccolo villaggio di nome Artimino, sulla collina che divide la provincia di Prato da quella di Firenze e da lassù si gode la vista della valle dell'Arno, che viene giù da Firenze e corre verso Pisa.
Era forse settembre. A giudicare dall'odore delle piante e dal colore della luce vespertina, doveva essere settembre. Al più tardi i primi giorni di ottobre.
Beh, lo confesso, la meraviglia fu tanta. E provai gioia ad essere lì. Il posto è bellissimo.
Mi ricordai del ristorante, Biagio Pignatta, dove avevo lavorato molti anni prima.
Ci sarà ancora? mi chiesi con un certo grado di agitazione.
Così presi di lena a piedi per il lungo viale alberato leggermente in salita che dal centro del villaggio porta alla villa medicea, La Ferdinanda, alla cui sinistra si trova il ristorante.
Avvicinandondomi cominciai a sentire il rumore delle voci dei clienti delle macchine che arrivavano, dei piatti e il tintinnare delle posate e dei bicchieri.
Allungai il passo. Il cuore accelerò.
Finalmente fui all'inizio del vialetto che conduce al ristorante. Che gioia rivedere quel luogo in modo cosí inatteso.
Era tutto come anni prima. Constatai.
I loggiati fuori erano apparecchiati nello stesso modo di prima e sedevano ai tavoli i clienti che avevo più o meno conosciuto tutti.
I camerieri erano gli stessi. Vi era Rocco, Gagliano, Pietro, Cinzia...C'era anche Paolo, il direttore del ristorante che noi camerieri chiamavamo Uncino, per come arpionava le mance lasciate dai clienti sul tavolo.
Corsi vero di loro, felice di rivederli, di abbracciarli. Ma non mi sentivano. Non mi vedevano. Tiravano diritto nei loro lavori.
Fui impotente.
Ciao! Sentii allora una voce.
Mi voltai, era M. una ragazza che avevo conosciuto molti anni fa.
Sembrava l'unica che mi vedesse. Nessuno realizzava che ero lì. Nemmeno i due giovani che sedevano al tavolo con M.
Come stai? mi chiese.
Bene. Risposi.
E che ci fai qui? Ci chiedemmo in contemporanea.
Sono qua per studiare, di nuovo, la lingua e il canto. Rispose lei. E tu?
Beh io...mi fermai. Potevo dire che una forza mi aveva rapito e da Vilnius mi aveva portato in Italia in un attimo? ...io sono qua...volevo rivedere questi luoghi, ho fatto un giro in macchina e sono qua. Conclusi con un sorriso.
Ma siediti con noi. Ceneremo insieme.
A quel punto anche i due ragazzi sembrarono uscire dal loro mondo lontano e vedermi finalmente. Mi sorrisero infatti e si presentarono.
Ciao sono A.
Ciao sono B.
Ciao, risposi, sono F,
Io la conoscevo bene M. Una ragazza ricca e viziata. Sicuramente avrebbe scelto i cibi più costosi e i vini quelli più cari e ricordando i prezzi sapevo bene che sarebbero costati.
Non avevo soldi. In quei giorni ero poverissimo. Erano i giorni della pandemia. A Vilnius non sapevo nemmeno se il giorno dopo avrei mangiato. E se non fosse stato per mia moglie Ž, forse non avremmo mangiato davvero.
Erano i giorni della pandemia che ad Artimino non c'era. Perché non c'era? perché era tutto come prima, come l'estate caldissima del 2003?
Fui preso dal panico.
Va bene, risposi con mia sorpresa. Devo solo arrivare un attimo in bagno. Poi vengo.
Ok, rispose M. Ti aspettiamo.
E mi guardò con occhi dolci da gatta in calore che già pregusta il piacere.
Attraversando il giardino pensieroso su come fare, rimanere o fuggire, andando verso la toilette incontrai un giapponese dalla faccia butterata con un cappello nero calcato che quasi nascondeva gli occhi.
Conosco il tuo problema, mi disse.
Lo guardai.
Prego? lo rimbeccai, ma avevo capito bene.
Conosco il tuo problema. Non hai i soldi.
Rimasi di stucco.
Ma io posso darteli. Di quanto hai bisogno?
Sorrisi. Ero così pieno di debiti.
Almeno ventimila euro mi ci vorrebbero. Risposi ílare.
Beh, già ce li hai sul tuo conto corrente. Puoi riusare ora la tua carta di credito, non è più bloccata.
Ma Lei è pazzo? gli risposi.
Controlla, mi disse. Puoi vederlo dal tuo telefono?
Sì, certo.
Digitai il pin sull'app ed entrai nel conto. I debiti erano spariti e c'erano ventimila euro.
Non credevo a quello che vedevo.
Ma Lei chi è? Gli domandai.
Non importa. Rispose.
Non importa? Ma come non importa? Io non potrò mai restituirli.
Non importa. Ma potrai se vorrai.
Potrò se vorrò?
Lei ti ama. Non ti ha mai dimenticato. Ti ha sempre aspettato. Aggiunse guardando verso il tavolo dove sedeva M. Che già beveva vino. Come sempre carissimo. Vidi che Gagliano le aveva appena portato una bottiglia di Ornellaia. 250 euro. Ricordai il prezzo.
Devi sposarla. Sposala e avrai tanti altri soldi. Lei è mia figlia, disse il butterato.
Guardai meglio il butterato.
Non mi pare che Le assomigli, come può essere sua figlia?
E' mia figlia nello spirito. La voglio felice.
Non posso, risposi. Io sono già sposato.
Non è importante, qui siamo in un altro tempo. In un tempo anteriore. Sposala e si annullerà tuttto quello che è stato il tuo futuro.
Non posso, io amo mia moglie. Non importa il passato il presente e il futuro. Io amo lei, al di là del tempo.
Beh, in questo caso, dovrò convincerti. Ti ingannerò con i miei fantasmi.
Molte immagini di piacere cominciarono subito a invadere la mente e il corpo e me lo rendevano estraneo al mio essere. E cercavano di fascinarmi. Una fascinazione potente verso cui cominciavo a sentirmi portato. Trascinato.
Nell'impotenza sorse dal nulla la voce dell'Apocalisse oculi eius velut flamma ignis. E guardai quegli occhi. Mi ci ficcai dentro e mi ci persi.Da quegli occhi emerse una luce che invase tutto di me. Il mio essere intero.
E quella fu la pietra che lanciai contro Golia.
E vidi la faccia del butterato contorgersi e cambiare. E piangere. E urlare. E bestemmiare e imprecare guardando in alto verso il cielo dove si erano stampati nel buio della notte i due occhi simili a fiamma.
E fu un urlo un grandissimo urlo.
E io fui pervaso di forza ed ebbi la certezza che quella forza può vincere tutto il male del mondo per quanto ammalato di bene piacere e vanità, e convinca la maggior parte della gente a farsene schiava.
Quella forza esiste ma non è per tutti.
E ora lo sapevo. La conoscevo come dono di quegli occhi venuti dall'Apocalisse.
Fui rapito, infatti, non so come, ne da chi. Non saprei. Fu una forza che mi prese, come nei sogni, e in un attimo mi ritrovai migliaia di chilometri lontano.
E' difficile crederci, lo so. Ma fu così.
Mi ritrovai alle pendici di un monte che conoscevo, dove avevo vissuto molti anni prima. Il monte Albano. In un piccolo villaggio di nome Artimino, sulla collina che divide la provincia di Prato da quella di Firenze e da lassù si gode la vista della valle dell'Arno, che viene giù da Firenze e corre verso Pisa.
Era forse settembre. A giudicare dall'odore delle piante e dal colore della luce vespertina, doveva essere settembre. Al più tardi i primi giorni di ottobre.
Beh, lo confesso, la meraviglia fu tanta. E provai gioia ad essere lì. Il posto è bellissimo.
Mi ricordai del ristorante, Biagio Pignatta, dove avevo lavorato molti anni prima.
Ci sarà ancora? mi chiesi con un certo grado di agitazione.
Così presi di lena a piedi per il lungo viale alberato leggermente in salita che dal centro del villaggio porta alla villa medicea, La Ferdinanda, alla cui sinistra si trova il ristorante.
Avvicinandondomi cominciai a sentire il rumore delle voci dei clienti delle macchine che arrivavano, dei piatti e il tintinnare delle posate e dei bicchieri.
Allungai il passo. Il cuore accelerò.
Finalmente fui all'inizio del vialetto che conduce al ristorante. Che gioia rivedere quel luogo in modo cosí inatteso.
Era tutto come anni prima. Constatai.
I loggiati fuori erano apparecchiati nello stesso modo di prima e sedevano ai tavoli i clienti che avevo più o meno conosciuto tutti.
I camerieri erano gli stessi. Vi era Rocco, Gagliano, Pietro, Cinzia...C'era anche Paolo, il direttore del ristorante che noi camerieri chiamavamo Uncino, per come arpionava le mance lasciate dai clienti sul tavolo.
Corsi vero di loro, felice di rivederli, di abbracciarli. Ma non mi sentivano. Non mi vedevano. Tiravano diritto nei loro lavori.
Fui impotente.
Ciao! Sentii allora una voce.
Mi voltai, era M. una ragazza che avevo conosciuto molti anni fa.
Sembrava l'unica che mi vedesse. Nessuno realizzava che ero lì. Nemmeno i due giovani che sedevano al tavolo con M.
Come stai? mi chiese.
Bene. Risposi.
E che ci fai qui? Ci chiedemmo in contemporanea.
Sono qua per studiare, di nuovo, la lingua e il canto. Rispose lei. E tu?
Beh io...mi fermai. Potevo dire che una forza mi aveva rapito e da Vilnius mi aveva portato in Italia in un attimo? ...io sono qua...volevo rivedere questi luoghi, ho fatto un giro in macchina e sono qua. Conclusi con un sorriso.
Ma siediti con noi. Ceneremo insieme.
A quel punto anche i due ragazzi sembrarono uscire dal loro mondo lontano e vedermi finalmente. Mi sorrisero infatti e si presentarono.
Ciao sono A.
Ciao sono B.
Ciao, risposi, sono F,
Io la conoscevo bene M. Una ragazza ricca e viziata. Sicuramente avrebbe scelto i cibi più costosi e i vini quelli più cari e ricordando i prezzi sapevo bene che sarebbero costati.
Non avevo soldi. In quei giorni ero poverissimo. Erano i giorni della pandemia. A Vilnius non sapevo nemmeno se il giorno dopo avrei mangiato. E se non fosse stato per mia moglie Ž, forse non avremmo mangiato davvero.
Erano i giorni della pandemia che ad Artimino non c'era. Perché non c'era? perché era tutto come prima, come l'estate caldissima del 2003?
Fui preso dal panico.
Va bene, risposi con mia sorpresa. Devo solo arrivare un attimo in bagno. Poi vengo.
Ok, rispose M. Ti aspettiamo.
E mi guardò con occhi dolci da gatta in calore che già pregusta il piacere.
Attraversando il giardino pensieroso su come fare, rimanere o fuggire, andando verso la toilette incontrai un giapponese dalla faccia butterata con un cappello nero calcato che quasi nascondeva gli occhi.
Conosco il tuo problema, mi disse.
Lo guardai.
Prego? lo rimbeccai, ma avevo capito bene.
Conosco il tuo problema. Non hai i soldi.
Rimasi di stucco.
Ma io posso darteli. Di quanto hai bisogno?
Sorrisi. Ero così pieno di debiti.
Almeno ventimila euro mi ci vorrebbero. Risposi ílare.
Beh, già ce li hai sul tuo conto corrente. Puoi riusare ora la tua carta di credito, non è più bloccata.
Ma Lei è pazzo? gli risposi.
Controlla, mi disse. Puoi vederlo dal tuo telefono?
Sì, certo.
Digitai il pin sull'app ed entrai nel conto. I debiti erano spariti e c'erano ventimila euro.
Non credevo a quello che vedevo.
Ma Lei chi è? Gli domandai.
Non importa. Rispose.
Non importa? Ma come non importa? Io non potrò mai restituirli.
Non importa. Ma potrai se vorrai.
Potrò se vorrò?
Lei ti ama. Non ti ha mai dimenticato. Ti ha sempre aspettato. Aggiunse guardando verso il tavolo dove sedeva M. Che già beveva vino. Come sempre carissimo. Vidi che Gagliano le aveva appena portato una bottiglia di Ornellaia. 250 euro. Ricordai il prezzo.
Devi sposarla. Sposala e avrai tanti altri soldi. Lei è mia figlia, disse il butterato.
Guardai meglio il butterato.
Non mi pare che Le assomigli, come può essere sua figlia?
E' mia figlia nello spirito. La voglio felice.
Non posso, risposi. Io sono già sposato.
Non è importante, qui siamo in un altro tempo. In un tempo anteriore. Sposala e si annullerà tuttto quello che è stato il tuo futuro.
Non posso, io amo mia moglie. Non importa il passato il presente e il futuro. Io amo lei, al di là del tempo.
Beh, in questo caso, dovrò convincerti. Ti ingannerò con i miei fantasmi.
Molte immagini di piacere cominciarono subito a invadere la mente e il corpo e me lo rendevano estraneo al mio essere. E cercavano di fascinarmi. Una fascinazione potente verso cui cominciavo a sentirmi portato. Trascinato.
Nell'impotenza sorse dal nulla la voce dell'Apocalisse oculi eius velut flamma ignis. E guardai quegli occhi. Mi ci ficcai dentro e mi ci persi.Da quegli occhi emerse una luce che invase tutto di me. Il mio essere intero.
E quella fu la pietra che lanciai contro Golia.
E vidi la faccia del butterato contorgersi e cambiare. E piangere. E urlare. E bestemmiare e imprecare guardando in alto verso il cielo dove si erano stampati nel buio della notte i due occhi simili a fiamma.
E fu un urlo un grandissimo urlo.
E io fui pervaso di forza ed ebbi la certezza che quella forza può vincere tutto il male del mondo per quanto ammalato di bene piacere e vanità, e convinca la maggior parte della gente a farsene schiava.
Quella forza esiste ma non è per tutti.
E ora lo sapevo. La conoscevo come dono di quegli occhi venuti dall'Apocalisse.
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