Il mio metodo di scrittura lo paragonerei un po' a quello di uno scienziato che studi il mondo quantico. Che tenta di indagare la realtà visibile, quella newtoniana, partendo da quella invisibile, ovvero quella quantica, sapendo che se riuscirà a spiegare la realtà newtoniana con quella quantica, se riuscirà a trovare il punto di incontro fra le due realtà, riuscirà a spiegare meglio, a comprendere in profondità le correlazioni fra quelle due realtà.
Avevo iniziato a fare questo lavoro nel 2007 allorché pubblicai, "Albert Richter, un'aquila fra le svastiche". In quel libro parlando del ciclismo tedesco a cavallo fra le due guerre, cercavo di individuare come il nazismo avesse influenzato il ciclismo, e lo sport in generale, cambiandolo. E come in realtà il nazismo dipendesse a sua volta da influenze esoteriche.
Ne "Il sorriso della meretrice", libro del 2011, cercavo invece di analizzare come il globalismo (le elites finanziare) imponendo una realtà di crisi ai popoli, procurasse negli individui sofferenze che si ripercuotevano nella loro interiorità a livello intestinale, batterico, producendo individui di pancia, egotici, ipersensibili, schizzati.
In "Cecilia" storia di un'aliena inviata in missione a Firenze v'era soprattutto una critica ad una differente realtà, quella emanata dal deep-state USA, guidato da alieni. In missione a Firenze avrebbe conosciuto l'amore, e perciò si sarebbe mutata in umana, fallendo la sua missione.
In "Rugile", 2017, un testo frainteso in quanto lo avevo concepito come una risposta esistenzialista all'istinto in generale (a quello sessuale in particolare) ma che alla fine era stato accolto come la risposta italiana a Fifty shades of gray. Cercavo di spiegare l'istinto, che apparentemente è illogico e inspiegabile, ma rivela l'individuo per quello che è, per la sua condizione, ponendolo nudo davanti a se stesso, come ciò che unisce l'individuo fra i due mondi, quello newtoniano e quello quantico. Si origina in quello quantico ma prosegue in quello classico, newtoniano. L'istinto ha la stessa natura di una programmazione che avviene a livello quantico ma si riflette in ultima analisi in quello visibile.
Per spiegare i due mondi mettevo a punto un tipo di scrittura, che mi fu rimproverata da molte case editrici a cui avevo inviato il testo.
Alla fine di ciascun capitolo aveva messo un' appendice (sunti) in cui in termini quantici spiegavo quello che era avvenuto nella storia e nei personaggi che facevano parte del capitolo in oggetto. Così facendo riuscivo a dare maggior profondità alle storie di "superficie".Mi permettevo di indagare una reraltà piu' profonda, dove l'impossibile e l'inspiegabile divengono possibili e spiegabili.
Questa aggiunta, in un mondo bacchettone come quello editoriale italiano (con pochissime eccezioni) non fu ben accolta.
Ma io non inventavo nulla. Elsa Morante, ne "La storia", aveva già posto all'inizio di ciascun capitolo dei sunti storici in cui si illustrava ciò che avveniva nella Storia del mondo nel lasso di tempo in cui si evolveva le storie personali dei personaggi del libro. Per dare maggior prospettiva alle misere vicende personali del quotidiano.
Da questa genesi è nata la mia tecnica di scrittura. Scrittura rivolta a far pensare, scrittura tesa a rivelare la realtà invisibile che costituisce quella visibile e superficiale.
Il mio non è tanto un cercare la verità ma un individuare quei meccanismi che mettono in moto la realtà, la manipolano, la modificano e la creano secondo le narrative programmate.
Quello che mi interessa, non è schierarmi dall'una o dall'altra parte, dar ragione a uno e torto all'altro, ma come un ricercatore, uno fisico quantico, individuare le ragioni, le cause, alla base di un fenomeno di superficie. Che non sono mai quelle che si manifestano o vengono date per vere dalle vulgate (narrative) dei media.
E' una posizione mediana da tenere, per mantenere un atteggiamento di indagine non partecipatorio
E' una posizione mediana da tenere, per mantenere un atteggiamento di indagine non partecipatorio
Comments
Post a Comment