Questo è il paese alla rovescia, dove le persone per bene, gli onesti, vengono perseguitate e le cricche, diciamo, premiate come …beh questo è un segnale devastante. (Elio Lannutti – giornalista e politico)
La prima cosa che fece Sabatina fu di prendere la bicicletta che da anni teneva in cantina e sulla quale mai era più salita.
Da anni non vi era più salita sopra e, infatti, all'inizio cominciò a traballare. Ma dopo una trentina di metri fu come se la memoria le ritornasse e andare in bici fu di nuovo la cosa più naturale del mondo.
Spingere i pedali non fu difficile. Era così grande la rabbia dentro che a ogni pedalata sembrava volare.
Da casa all'ufficio vi era la distanza di un paio di chilometri.
Si sentiva un gigante. Si sentiva di un altro mondo, tanta era la forza che aveva dentro. La forza immensa della rabbia.
Silvano aveva tradito lei e i figli, era una vergogna alla sua età. La vergogna era più scandalosa perché l’aveva tradita con una ragazza dell’età di una nipote. Ma a lui sembrava non essere un problema, preso da quell'assurdo infatuamento senile.
Sabatina avrebbe forse potuto capire se fosse stata una donna della sua età, ma una ragazza così giovane…
Non aveva più tempo per i dolori, per le lacrime, per i consigli di chi le stava vicino. Si sentiva l’animo giovane. Non amava più soffrire. Voleva liberarsi una volta per sempre di quell'uomo che l’aveva fatta solo soffrire e ritornare ai giorni spensierati di quando aveva trent'anni.
Odiava vedere la faccia compiaciuta di Silvano la sera a cena, dopo che per anni (decenni forse) l’aveva solo vista buia e arrabbiata. Era un insulto, era una menzogna, un oltraggio che non voleva più tollerare.
Quando entrò in ufficio Silvano sedeva alla scrivania. Veronica alla sua scrivania, alla destra della scrivania di Silvano.
Silvano sbiancò.
Veronica invece, salutò gioviale come pretendesse che Sabatina non sapesse nulla.
- Tu brutta maiala, stai zitta. Ora parlerò con tua madre. Ringrazia che hai vent'anni e non ti strappo tutti capelli. Tu imbecille o chiudi questa agenzia o te ne vai di casa. Non voglio più vedere la tua faccia in casa. Vergognati rincoglionito, con una che potrebbe essere tua nipote…
Silvano ora era diventato tutto rosso.
- Ma sei impazzita – fu l’unica cosa che seppe balbettare.
- Non sono impazzita. Lo sapevano tutti, meno che io. Ma poi mi hanno telefonato e mi hanno raccontato tutto. Uno schifo, anche ascoltare.
- Ma perché vuoi rovinare tutto… - mormorò come ebete Silvano guardando nel vuoto.
- Come “voglio rovinare tutto”? E che dovrei fare? Stare zitta e lasciarvi fare i vostri porci comodi? Godetevi pure la vita, che Sabatina fa la cornuta felice? Questo dovrei fare? No, no…io voglio rendervi la vita amara come voi l’avete resa a me.
- Sei cattiva, Sabatina. – intervenne Veronica.
- Io sono cattiva? E voi che siete allora? Due maiali che avete riso alle mie spalle! Ecco che siete!
Te maiale stasera non tornare a casa. E tu…cercati un altro lavoro. Poi chiamerò i tuoi genitori…
A quel punto Sabatina si fermò. Sentiva un groppo alla gola e le lacrime venirle agli occhi. Si girò di scatto e chiuse la porta sbattendola così forte che si udì per tutto il palazzo.
Uscì fuori, riprese la bici che aveva appoggiata al muro, vi salì sopra e con le lacrime che le rigavano la faccia riprese a pedalare verso casa, senza un’idea di quello che avrebbe fatto.
Qualcuno la guardava.
Vedevano una donna anziana che pedalava un po’ traballando che piangeva. Forse per curiosità la guardavano. Forse per compassione.
Un’altra regina si era impadronita del cuore di Silvano, ma ormai a lei era chiaro, di quell'uomo non le interessava più nulla. Desiderava solo liberarsene. E prima che fosse possibile.
E tuttavia non riusciva a cancellare le parole di Silvano che aveva dette mentre lei usciva.
- Anche se tu mi odi, non potrò mai volerti male.
Ma quelle parole non le facevano piacere, al contrario erano come la premessa di qualcosa che non voleva augurarsi. Che sperava non accadesse. Disprezzata ora, disprezzata altre volte prima di ora, ora quell'uomo a lei ormai non gli era più caro. Ed era vero che altre volte l’aveva pensato ma poi vi era ritornata sopra. Ma ora era morto, finalmente. L’amore per lui si era estinto. Aveva finalmente rotto il domesticamento della sua presenza, della sua autorità, della sua arroganza. Si era liberata dei processi per cui lui la manteneva in uno stato di principio. Il principio del loro amore.
Il suo disamore aveva subito un’accelerazione, aveva saltato in modo esponenziale il processo evolutivo di un’amore che si evolveva verso il livello zero in modo selettivo, ma costante.
Veronica era stata il fattore esterno che aveva dato impulso all'accelerazione.
Essere derisa da una ragazzina di venti e da un rimbambito di settanta non era cosa facile da sopportare.
Si sentiva come non avesse più una casa, una famiglia, una direzione. Come se ciò che l’attendeva fosse un lungo esilio.
- Ho sbagliato allora, quando ho cercato l’aiuto di mia madre. Dovevo prendere i bambini e lasciare Ida, Silvano…quella famiglia che sentivo non era per me…Ho sbagliato allora e ora ne pago l’errore.
Sabatina, ritornò a casa. Rimise la bicicletta in cantina. Prese l'ascensore e salì su fino al quinto piano. Aprì la porta. Entrò. In casa non c'era nessuno. La finestra sul terrazzo era aperta. Si era dimenticata di chiuderla. Si rammaricò che ora in casa ci sarebbe stato caldo.
Andò sul terrazzo. Si sedé spossata. Guardò in lontananza verso il campanile della collegiata.
Non aveva parole.
Il giorno dopo sarebbe stato il 2 giugno. La festa della Repubblica.
Per lei un giorno come un altro.
Le non sapeva, e non avrebbe mai saputo, che il giorno dopo a Civitavecchia, avrebbe attraccato un panfilo. Il panfilo della regina Elisabetta di Inghilterra.
Il Britannia.
Quel giorno l'Italia morì di nuovo. Ma a differenza del '43 non è ancora risorta.
Era caduto il muro di Berlino. Un sistema che non serviva più e che fino ad allora era stato tollerato andava sostituito e creato uno completamente nuovo.
Ma questo Sabatina mai l'avrebbe saputo.
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