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Gli ultimi giorni in questo mondo (da "Il giorno che l'Italia morì")

(foto Živilė Abrutytė)


Silvano provò ad alzarsi. Voleva camminare. Voleva andare in camera, dove Sabatina dormiva. Era da poco ritornata dall’ospedale. Le medicine l’avevano stordita, anche se aveva una fibra forte.
In vecchiaia era più ceduto lui, sia mentalmente che fisicamente, che lei. Lei era rimasta il toro focoso che era da giovane. Aveva perso in forza fisica ma non aveva perso in nulla riguardo alla volontà e alla cocciutaggine, che era forse addirittura aumentata.
Silvano invece era ormai un cavallo azzoppato, molto azzoppato. La cui lucidità mentale appariva e scompariva. La cosa strana era che lui lo avvertiva quando non era lucido e faceva discorsi strampalati ma non poteva fare nulla per impedirlo. Apparteneva ad un'altra forza che era dentro e non poteva fermarla. E parlava e pensava per lui. Una forza su cui poi con un atto imperioso di volontà riusciva talora a imporsi e a ritornare se stesso.

- Silvano, dove vai? – gli chiese la filippina.
- Stai zitta te. Non t’impicciare! Fai che devi fare, ma a me non mi comandare. Io a casa mia faccio quello che voglio.

A balzelloni, un po’ dondolando su se stesso, appoggiandosi alla parete, senza stampelle, riuscì a raggiungere la camera venendo dal soggiorno. Arrivato alla porta si fermò. In silenzio si mise a guardare Sabatina che dormiva.
Non aveva occhi che per lei, negli ultimi mesi della sua vita. Ora dava a lei tutto l’amore che non le aveva dato da giovani.
Quando guardava Sabatina la guardava come il bene più prezioso che avesse. Eppure quando erano più giovani l’aveva disprezzata e tradita.
Ancora si ricordava di quella mattina che l’aveva piantata sulla porta di casa per andarsene a Roma a incontrare Nenni.
La parola “Nenni” gli squarciò un orizzonte atemporale, in cui non vedeva più il presente ma un passato lontano che per quanto cercasse di attualizzare rimaneva lontano e inesistente.
Non vi era più Nenni, non vi era più l’Italia di Nenni, ora vi era solo un sistema atemporale in cui galleggiavano entrambi in attesa di sprofondare.
Quante Italie erano esistite prima di Nenni e quante dopo Nenni e quante ve ne sarebbero state dopo lui e Sabatina?
Per quello guardava rapito Sabatina, l’ultima cosa che galleggiava in quello stato liquido insieme a lui. Tutto il resto era già sprofondato, in modo irrimediabile.

Ma lei era infastidita da quell’uomo che le stava così addosso. Appiccicoso, come lei lo definiva.Da quando era andato in pensione gli rimproverava di stare sempre in casa a pesticciare, a impicciarsi di tutti i lavori da donne.
- Ma che t’impicci? Ma che ne sai tu di come si pulisce una casa? Ma perché non vai al bar o a un panchina a fare amicizia con qualcuno? Ma possibile che non hai un amico?

Silvano non voleva. Viveva a Empoli. Un paese di comunisti. Lui con i comunisti non ci voleva stare, nemmeno da vecchio. Ci aveva litigato tutta la vita. Almeno ora che era in pensione voleva evitarli. La panchina non era per lui. Il bar forse. Qualche volta vi era andato, prima quando ancora stava bene, dopo cena (soprattutto in estate), nel viale Boccaccio, vicino all’ospedale. C’era un bar pizzeria. Ci prendeva il caffè, faceva due chiacchiere ma poi subito ritornava a casa. Il pensiero di Sabatina sola lo inquietava.


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