Fabrizio aveva cominciato a giocare al calcio a causa di un altro rifiuto di suo padre. Non gli piaceva il calcio. Fu solo un ripiego, un surrogato di una delusione. La delusione della sua vita.
Fin da piccolo amava la bicicletta. Alla Graziani avevano costituito un gruppo di ragazzini ciclisti e gareggiavano fra di loro. Avevano le biciclette più disparate. Tutti comunque avevano biciclette con cambio. Solo due di loro possedevano la bicicletta da corsa. Fabrizio aveva invece la bicicletta da donna di sua madre. Gareggiava con quella, e nessuno riusciva a batterlo. Teneva il passo in pianura e come la strada cominciava a salire si metteva davanti e non ce n’era per nessuno. In quei momenti si sentiva un campione, il suo campione: Franco Bitossi.
Bitossi, il famoso “cuore matto” non abitava lontano da Montelupo. E a Fabrizio qualche volta capitava di vederlo dal vivo, anche se per lo più lo seguiva in TV.
In quei momenti che si alzava sui pedali e spingeva come un forsennato e con la coda dell’occhio controllava gli avversari dietro che uno ad uno si staccavano si immaginava storto con il collo piegato un po’ a destra come il suo campione in salita. Riviveva in lui quegli attimi di forza. La forza del suo campione diveniva la sua.
Le gesta di Fabrizio non passarono inosservate, soprattutto un giorno che in salita con la bicicletta da donne staccò Nebbia, un ragazzo di Montelupo che correva nella categoria allievi per la Copart una squadra di Limite sull’Arno.
Attaccarono la ripida salita del Pulica. Fabrizio con la bicicletta da donna, Nebbia con quella da corsa. Fabrizio con un solo rapporto. Nebbia con due moltipliche e cinque rocchetti.
Fabrizio si mise davanti fin dall'inizio. Presto tutti si staccarono. Solo Nebbia gli resistette per un centinaio di metri ma la cadenza di Fabrizio fu troppa anche per Nebbia, che saltò come un birillo.
Qualche giorno dopo a casa di Silvano e Sabatina si presentarono all'ora di cena due dirigenti della Copart. Volevano Fabrizio nella loro squadra. E lo volevano ad ogni costo. Gli avrebbero dato anche la bicicletta gratis.
Ma fu un altro rifiuto.
Questa volta anche Sabatina fu d’accordo.
Marcello Mugnaini, un ciclista professionista, che non viveva lontano da Montelupo, al Tour de France del 1967 aveva subito una caduta terribile, per cui era quasi morto. L’impressione che aveva lasciato quell’incidente in una piccola comunità come quella di Montelupo, era stata così forte che due anni dopo era ancora vivissima.
- No, non voglio – disse Silvano – Non se ne parla. Non mi sembra il caso.
- A correre in bicicletta? Per vedere se mori! Ma che si crede che si metta al mondo un figlio per vederselo morire in bicicletta? – aggiunse Sabatina.
Con quello la visita dei due dirigenti della Copart si concluse. Delusi e amareggiati se ne andarono.
La conservazione all'istinto, all'animalità, della sopravvivenza del corpo aveva avuto la meglio sulla concatenazione logica che vi erano evidenti segni di un campione in potenza da mettere in atto.
Fabrizio così non trovò la forza di reagire. Il sogno della sua vita, correre in bicicletta e diventare un campione, si dissolse in una sera; quel sogno durato anni era finito in un attimo, all'ora di cena, sotto i colpi di nuove strutture figlie del tempo, mi sembra e si crede.
Come i sogni di molti altri giovani, destinati a grandi delusioni, che avrebbero patito lo stesso destino.
Era nell'aria quel mutamento. Lo avvertiva Silvano, lo avvertiva Sabatina, lo avvertiva Fabrizio. Luigi forse meno. Luigi si era ritirato in un suo mondo ordinato che comportava pause e lunghi silenzi nel rapporto con la famiglia, che servivano a prendere distanza dai mutamenti strutturali in atto.
Mentre tutte le forme del rapportarsi alla famiglia, alla scuola, alle università, alle strutture dello stato sembravano vivere e crescere su un vuoto creato dal distacco dai termini rappresentati dai valori del paese, della sua storia, della sua famiglia e della tradizione in generale, Luigi pareva permanere a metà strada fra quel vuoto e le nuove dislocazioni, rimozioni e negazioni continue e irreversibili. Navigava fra mille accidenti in continua rivoluzione senza esserne interessato.
Per quello forse non avrebbe subito delusioni, perché non non finiva nel nulla del nuovo nihilismo. Rimaneva ai termini e non si spostava sulla comprensione delle nuove relazioni partorite dal Sessantotto. Per Luigi 2 + 2 ancora faceva 4. Per Luigi io penso era io penso e non mi sembra o si pensa, non esisteva il collettivismo soggettivo ma l’oggettività. Il padre era il padre, la madre era la madre, la moglie era la moglie e il marito era il marito.
Per quello probabilmente, anni dopo, quando Silvano una notte voleva lasciare la casa e andare a vivere con un’altra donna e sentì Sabatina piangere in camera, balzò dal letto e afferrò suo padre per il bavero e lo rigettò indietro gridandogli “Questa è la tua casa, questa è la tua famiglia! Di qui non te ne vai!”
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