(foto di Živilė Abrutytė) |
Fu allora che Sabatina pensò di lasciare Silvano. Dopo l'ennesimo tradimento di Silvano
Lo zio Foffo era morto. Artemesia si era sposata e trasferita a la Sughera, un piccolo paesino non distante da Montaione.
Sua madre Laura era andata a vivere a Castelfiorentino, insieme a Primetta. E a causa di Primetta, si potrebbe dire.
Primetta subito dopo la fine della guerra si era fidanzata con Roberto, un ragazzo delle Mura.
Quando ormai tutti pensavano che Primetta fosse destinata a rimanere zitella, lei, contro ogni previsione, in virtù di uno scarto inatteso, aveva incontrato Roberto.
Roberto era un bel ragazzo, che per una ferita riportata in guerra camminava con una gamba interita. Aveva come si diceva allora un “mancamento” e giunto a quel punto anche lui vantava poche speranze di accasarsi. Primetta d’altronde era ormai a venottoanni e le sue possibilità erano del pari ridotte al lumicino.
- Io non ho bisogno di sistemarmi. Posso continuare a vivere come vivo – aveva sempre ripetuto dopo la morte di Roberto.
Sabatina pensava che aveva visto due Primette nella sua vita. Una, la Primetta prima di Roberto. L’altra, la Primetta dopo la morte di Roberto. Forse addirittura tre Primette, se considerava anche la Primetta del monastero.
Fino al giorno in cui aveva conosciuto Roberto la sorella era stata una ragazza normale. Felice, chiacchierona, amante della vita, con la speranza di maritarsi anche se con l’andare del tempo la speranza diminuiva e di pari passo decresceva anche la gioia di vivere, in modo esponenziale però.
Poi ci fu la Primetta che volava, quella felicissima del fidanzamento. Tre anni di fidanzamento, due fatti di felicità, di due corpi e un solo cuore, e l’ultimo anno di solo dolore che corrispose alla scoperta della malattia di Roberto, e al calvario finale della sua vita fino alla morte.
Infine, come abbiamo già detto, la Primetta che era nata dalla morte di Roberto. Una Primetta disturbata, malata di nervi, taciturna, senza piì speranza, monacale.
E furono difatti le monache che trasformarono Primetta da una donna fatta di vita a una donna senza vita. Le tolsero la vita. La fecero rinunciare alla vita.
E furono le monache dell’ ospedale di Santa Verdiana di Castelfiorentino ad approfittarsi di lei, della sua debolezza, di ragazza smarrita che aveva perso ogni certezza nelle ore che aveva passato al capezzale di Roberto distrutto giorno dopo giorno dal “malaccio”.
La irretirono a tal punto che voleva prendere i voti e ritirarsi in clausura. Fu la madre ad opporvisi. E tuttavia non fu abbastanza forte da sottrarre Primetta all’ ideale di una vita di clausura al punto da finirne anche lei coinvolta.
Le suore avevano bisogno di una perpetua, e così offirono un alloggio ad entrambi, madre e figlia, in cambio di lavoro. Lavorare per loro significava fare la loro stessa vita, consistita di ombra, e priva di luce.
- Non ci voglio venire da nonna Laura! – era la invariabile stizza di Fabrizio quando Sabatina diceva che voleva andare a trovare sua madre a Castelfiorentino.
- Ma perché? – chiedeva Sabatina con una sofferenza dentro pari a quella di un cazzotto preso in pieno, alla bocca dello stomaco.
- E’ buio! E’ triste. Non c’è luce. Ho paura da nonna Laura. E poi tutte quelle monache cattive.
- Ma come cattive? Sono monache...serve di Gesù e della Madonna.
- No, mamma. Sono cattive, brutte. Non mi piacciono. Hanno la bocca che puzza.
Anche a Sabatina in realtà quel luogo faceva tristezza. La penombra che vi regnava le toglieva il respiro. Amava la vita Sabatina. Era un “Toro”, fatta di passione, di sangue che bolle, di carne che patisce e gioisce.
Ma era sua madre, la cosa più santa della sua vita, la persona che più amava; era sua sorella, la sorella più cara, con la quale aveva sempre avuto intesa, fin da piccola; la sorella con cui aveva giocato, gioito e pianto. Per loro poteva sopportare tutto, anche la tenebra.
In Sabatina il corpo veniva prima delle parole, come nella maggioranza delle donne, che con il corpo riescono ad esprimere meglio ciò che le parole in uomo invece sanno dire in anticipo rispetto al corpo.
In quelle stanze dove abitavano la madre e la sorella era innanzitutto il corpo che soffriva. Le parole potevano solo lenire, persuadere, convincere del contrario.
- Mamma io vorrei lasciare Silvano.
Quando disse quella frase capì che era una frase detta sotto l’effetto dell’ombra, per cui non avrebbe in nessun modo raggiunto l’obiettivo che sperava. Era il corpo che predominava nella penombra, irretito, irrigidito dalla malinconia della mancanza di luce. Non riusciva a dire le cose come avrebbe voluto dire. E la causa era quell’ombra spessa che dominava nella grande camera dai soffitti alti.
- Ma perché?
- Mi tradisce, mamma. Mi ha tradito con la mia migliore amica.
- Bell’amica.
- Una puttana.
- Ma perché lo vuoi lasciare?
- Non ci posso più dormire insieme. Mi fa schifo. Ho perso fiducia in lui.
- E che farai? Dove andrai a vivere da sola? Come vivrai sola? Non c’è il divorzio. Sarai solo una disgraziata. E poi hai due bambini. Che faranno senza il padre? E noi due? Qui fra le monache e tu separata e fuori dal matrimonio? Perderemo il lavoro...non credo sia una buona idea la tua, Sabatina. Cerca di perdonarlo. E prova a continuare a vivere con lui. E’ la migliore soluzione.
Nella penombra di quel grande camerone dove parlava con sua madre, le parole divennero ancor più gravi di quello che già erano.
Sabatina non è che avesse sperato nella comprensione della madre, si aspettava la risposta della madre quale infatti era stata. Conosceva la madre, come conosceva Ida, la cui risposta era stata dissacrante “Che vuoi che sia, quando è lavato bene tutto è come prima”.
E tuttavia aveva sperato in un miracolo. In una protezione della madre come quando era bambina.
Ma non ci fu quel miracolo. La madre già viveva in un’ombra che separava la vita dalla vita.
Fu questione di un paio di mesi infatti. La madre Laura, la sua adorata mamma, se ne andò.
E quello fu il primo grande vuoto, che le portò via metà vita, che mai le fu ridata. Perse quella vita e perse anche la sorella, che rimasta sola smarrì la ragione e fu ricoverata a San Salvi. Dopo due anni di San Salvi, Primetta, quasi miracolosamente, ricominciò a riacquistare la mente e fu dimessa. Andò a vivere con Artemisia alla Sughera, con cui rimase fino alla fine.
Per Sabatina, quella sorella, quella amata e adorata sorella, fu il ricordo vivente della madre, e la amò quasi fosse la continuazione in terra di sua madre Laura.
Certe sere guardava il telefono muto. Silvano accanto, anche lui muto, quel Silvano che quando, molti anni prima, quando ancora erano vive e le sue sorelle chiamavano la sera, lui, ancora retto dalla boria e dalla rabbia che gli dava l’energia di esistere, protestava, si arrabbiava, perché Sabatina stava troppo al telefono con loro.
- Ma che vuoi? – si rivoltava Sabatina – pagano loro! Sono loro che chiamano non io!
- Ma che si può vedere una cosa così, stare tutto questo tempo al telefono! Ma ti sembra normale un’ora al telefono? Ma che avrete da dirvi? – pareva geloso. In realtà era la voglia di distruggere tutto quello che sottraesse Sabatina alla sua sfera di attenzione.
E allora Sabatina cominciava a piangere. E si pentiva amaramente di aver ascoltato sua madre. E si pentiva di tutte le altre volte che Silvano l’aveva tradita e lei l’aveva di nuovo perdonato. Ora, per via dei figli che la imploravano di non lasciare il padre, ora, per mancanza di soldi che la costringeva ad aver bisogno di lui.
E così era arrivata alla fine dei suoi giorni, e si era ritrovata a vivere per compassione con un uomo semirimbambito, oramai incapace di essere quello che una volta era stato.
Finì seppellita viva in quella vita che aveva accettato per non aver mai saputo dire di no.
- Il mondo si è dimenticato di noi Silvano. Nessuno ci viene più a trovare. Se non fosse per Fabrizio che è ritornato a vivere con noi, non avremmo più un collegamento con il mondo esterno.
- Questo è il ringraziamento per aver fatto del bene – rispondeva Silvano, invariabilmente.
In effetti quella casa era sempre più un mondo recluso, che li fagocitava con il solo intento di separare dal mondo esterno due vite che stavano per essere consegnate al nulla.
Solo Fabrizio che, dopo due separazioni, era ritornato a vivere con loro connetteva involontariamente il mondo dei genitori, vicino a scomparire inghiottito dal buco nero del niente, all’altro mondo, quello esterno. Quello che loro potevano ancora raggiungere solo con il ricordo.
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