Che cosa l' aveva più influenzata di sua madre: i suoi racconti o la sua ideologia? Che era formata di
sole illusioni: dell'essere buoni, dell'essere bravi, generosi, del darsi agli altri, del credere, del sapere eccetera, eccetera...
A differenza di suo padre, che lei mai aveva amato, che era nazionalista, fascista, sua madre, anche se credeva in Dio, non andava mai alla messa, suo padre sì, andava a quella grande, a quella più ufficiale, anche se la sua religione era di pura facciata.
La religione di sua madre invece era una religione contadina, rurale, presa da sua nonna; una religione molto poetica ma per niente confessionale, pagana in un certo senso, mischiata di elementi della terra e del cielo, di fenomeni atmosferici ed elementi cristiani impastati insieme.
E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
Con queste parole Pasolini in quegli anni avrebbe celebrato l'amore che lui aveva per la madre. Sabatina, certo, neppure conosceva Pasolini. Nella sua semplicità nemmeno sapeva della di lui esistenza, eppure se avesse dovuto usare parole che celebrassero l'amore che aveva avuto per la madre avrebbe usato quelle stesse parole. Non altre. Tanto era il disperato amore che aveva per la madre, disperato come il modo di vivere di Pasolini.
La morte della madre le aveva lasciato un vuoto dentro che solo quando perdi una madre puoi capire, quel vuoto che prima è assolutamente incomprensibile.
Prima era quella presenza rassicurante che le diceva "Io ci sono. Quando mi vuoi, io ci sono."
Ora quella stessa speranza dettata dalla consapevolezza che lei c'era, era scomparsa. Vi erano altre speranze è vero. Quella dei figli che crescevano, che dovevano farsi una vita. Quella di migliorare la vita della famiglia, comprando il frigorifero, la televisione. Come si poteva oggi vivere senza televisione e frigorifero? Silvano non aveva forse comprato la macchina? Si poteva comprare a rate, lei era onesta e le davano credito.
Vi era la speranza di guadagnare di più, poi. La speranza che Silvano non la tradisse più. La speranza di vivere in pace senza litigi...Ma era morta la più grande delle speranze: quella di rivedere la madre, quando aveva bisogno di lei, delle sue parole rassicuranti, del suo modo di parlarle calmo, riflessivo.
Ora, invece, era solo vuoto, carenza, deficit.
Una pena intermittente, senza fine tuttavia.
In quei giorni, forse spintavi dalla desolazione del sentimento di abbandono in cui si sentiva gettata, cominciò a pensare di abbandonare i fiaschetti.
Oltre alla mani ferite, piene di tagli, cominciava anche ad avere dolori ai ginocchi causati dal serrarli in modo rigido per tenere i fiaschetti fermi mentre con l' ago cuciva la paglia per rivestirli. La posizione innaturale e l'umidità della paglia le procuravano dolori, artrosi probabilmente, e si gonfiavano. Anche al collo iniziava ad avere una certa gobba come effetto del continuo stare piegata.
Dopo pranzo e dopo cena la sonnolenza la prendeva, e si limitava a sonnecchiare sulla seggiolina su cui impagliava senza portare a termine il lavoro. Anzi talora, per l'effetto del colpo di sonno, il fiaschetto, ancora nudo che teneva fra le ginocchia, cadeva a terra rompendosi.
La competizione con Rosina la rendeva nervosa. E il sentirsi presa in giro da Rino diveniva insopportabile.
Cominciò a pensare di andare a casa di qualche "signore" di Montelupo a fare pulizie.
Sabatina nella sua semplicità ben poco sapeva che in quell'anno si assisteva alla prima "congiuntura economica", al primo rallentamento del boom.
Sabatina non era a conoscenza (come d'altronde ben pochi sapevano) del fatto che il generale De Lorenzo in quell’anno avrebbe tentato il colpo di Stato, per fermare i socialisti al governo, che il Corriere della Sera aveva definito “il cavallo di Troia dei comunisti”.
Sapeva solo che Gigliola Cinquetti aveva vinto il festival di Sanremo, che era morto Togliatti perché glielo aveva detto Silvano, e che l’America aveva cominciato una guerra in un paese dell’ Asia.
Non sapendo nulla di tante cose forse viveva meglio di chi sapeva troppo.
Era il Ferragosto, il giorno più aoristico dell’anno. Un punto fisso e indeterminato nel nulla del sole che rallentava la vita delle città italiane, le spopolava, le rendeva simili al nulla, a monumenti al nulla avvolti di luce bianca e accecante. Strade odoranti di catrame che prendeva a squagliarsi per il caldo, corpi sudati e maleodoranti, volti stanchi per l’afa.
Montelupo non era dissimile da Roma o Firenze. Era fatta della medesima materia che faceva la calura e la stupidità degli uomini che li condannava a fare le medesime cose nello stesso tempo in quel mese.
- No, mamma. Io il brodo non lo voglio! – si arrabbiava Fabrizio, detestava il brodo a Ferragosto. Era troppo caldo. Mangiare la minestra con quel caldo lo obbligava a sudare, in una casa che era già un forno.
“Obbligare” era un termine che in quel bambino aveva prodotto enormi danni. Fabrizio tentava di arginare quei danni che di istinto avvertiva contro la sua volontà, e non sapeva come ne avrebbero devastato la personalità. Ma li avvertiva.
L’atto più violento che gli aveva imposto sua madre era quello di mascherarlo ogni carnevale da bambina.
Sabatina, quando era nato Fabrizio, aveva sperato in una femmina. Dopo Luigi, oleva una bambina. Fu una delusione che nascose per tutta la vita, ma per tutta la vita guardò a quel bambino come guardasse a una bambina, che si ripercosse su di lui in modo progressivo, per cui fino ad età avanzata in realtà non fu mai ciò che avrebbe voluto essere. E visse sentendosi uno che avanzava in questa vita “mascherato”, indossando abiti che non erano i suoi.
- Ma ti fa bene. Guarda Luigi come lo mangia.
- Non mi interessa. Non lo voglio. Mi fa sudare. Non si mangia la minestra a Ferragoto, mamma.
In effetti era una fissazione di Sabatina prepare il brodo per il pranzo di Ferragosto. Non poteva spiegare dove fosse nata quella tradizione, a lei stava bene però. Lei voleva il brodo di carne a Ferragosto e gli altri dovevano mangiarlo.
- Sei un testone! – e giù gli appiccicò uno scapaccione.
Fabrizio, la guardò con occhi pieni di rancore. Si strinse le spalle. Ma non mangiò la minestra.
Ancora a scuola Fabrizio era un bambino buono, timido e rispettoso. Per questa sua bontà qualche volta era stato picchiato. Una volta era tornato a casa con un occhio nero.
Ma cambiava, stava cambiando. Sarebbe diventato “un giovane ribelle” negli anni Settanta. Uno di quelli che sfilava per la strada con il pugno alzato e gridava “AU-TO-NO-MI-A- O-PE-RA-IA!”, “Fascisti carogne! Tornate nelle fogne!”, e un giorno sarebbe anche finito alle Murate per aver dato un pugno ad un carabiniere.
Anche Sabatina avvertiva il caldo. Soprattutto mentre mangiava il brodo di carne, con I tortellini. Il sudore le scendeva fra I seni e lungo la schiena.
Avrebbe voluto dire “Che caldo! ” ma si trattenne, perché sapeva che Fabrizio avrebbe detto qualcosa.
Disse invece che quella maglietta c he aveva messo non la faceva respirare, e che avrebbe dovuto metterne un’altra che però non aveva trovata.
Nel vestire Sabatina era insicura come in tutte le altre cose in cui doveva decidere. Non vi era stata una volta che avesse comprato qualcosa che non avesse poi (una volta a casa) esclamato “Era meglio se avevo presa l’altra”.
E Silvano si arrabbiava.
- Ma possibile che compri solo quelle cose a fiori! Hai solo vestiti a fiori. Avessi una maglietta in tinta unita. Se ne compri una in tinta unita, la compri nera. E che ti vuoi mettere il nero il 15 d’agosto? - e lo diceva mentre mangiava la minestra con il cucchiaio in bocca e il brodo gli gorgogliava in gola, rischiando che gli andasse di traverso.
In effetti Sabatina sapeva solo comprarsi vestiti a fiori. Magliette a fiori. Gonne a fiori. Magari qualche volta avrebbe anche voluto cambiare, ma non sapeva decidersi a cambiare. E finiva per ricomprare lo stesso vestito dell’ ultima volta.
Quel suo modo di vestirsi fiorito denunciava una infantilità di fondo, di una donna che non riusciva a diventare matura. Una mela sempre verde. Poteva marcire dentro ma rimaneva verde di fuori.
Davvero quella falce che suo padre le aveva tirato in testa aveva bloccato la crescita. Se non fosse stata cocciuta quale era, lo avrebbe ammesso anche lei. Ma non voleva ammetterlo, e questo era un fatto. Come era un fatto quell’ ostinarsi a volere fare i tortellini in brodo nel momento più inappropriato dell’anno.
Come un altro fatto era che non sapeva decidersi e cambiare.
Forse non avrebbe lasciato subito i fiaschetti, forse avrebbe aspettato ancora un po’. In fondo era un guadagno sicuro.
Rino aveva tanto lavoro.
Prima o poi, prima o poi
prima o poi con i baci tuoi mi saprai convincere
se tu vuoi, se tu vuoi
al tuo amore prima o poi non saprò resistere
io lo so (è questione di giorni), io lo so (è questione di ore)
prima o poi troverai la strada per farmi cedere
forse un giorno mi pentirò
ma con te non so dir di no
prima o poi come vuoi io diventerò
prima o poi tu la vincerai
prima o poi ci riuscirai
prima o poi se tu vuoi m’innamorerai.Prima o poi, prima o poi…
(Remo Germani, Festival di Sanremo 1965)
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