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La carne che non muore (I)




Livorno, una città della Toscana, che ad arrivarci avevi il dubbio di essere in Toscana. Livorno, Marina di Pisa, Tirrenia, Calambrone potevano far dubitare di aver forse varcato una frontiera venendo da Firenze.
I due sposi, eccentrici si poteva definirli dall’abbigliamento, scesi dal treno poggiarono le valigie sul binario guardandosi attorno, in attesa di un facchino.
E forse il loro stupore aveva quella radice, di essere pervenuti in un mondo diverso da quello da cui erano partiti.
Lui indossava un paltò a doppio petto grigio fumo di Londra. Il bavero era sormontato da una pelliccia nera. Nell’ampia tasca sinistra teneva arrotolato un quotidiano. Dal bavero si intravedeva il colletto rigidamente inamidato di una camicia bianca a cui era annodata una cravatta grigia a pois bianchi. Sotto il cappello a falde ampie spuntava un faccia piena e rotonda, il cui mento e labbra erano ricoperti da una barba nera a forma di pizzetto. Gli occhi erano neri e spiritati. Si guardavano attorno quasi fossero persi.
Lei vestiva un lungo cappotto nero e un cappellone anch’esso nero, sotto il quale spuntavano dei riccioli oro.
Aveva sopracciglia fini ma fortemente marcate. Lo sguardo era intenso e le pupille di lontano parevano di un nero acceso. Il naso leggermente lungo si appuntiva appena piegando verso il basso. La bocca piccola e sigillata in una smorfia di inavvertibile insoddisfazione.
Se lui dimostrava almeno quaranta, quarantacinque anni, lei non sembrava averne più di trentacinque.
Gli altri viaggiatori superandoli li osservavano finendo talora per urtarsi nel passare davanti perché volgevano verso di loro tutta la propria attenzione.
Finalmente arrivò un facchino che si prese cura dei loro bagagli.

- Ci conduca all’uscita – disse l’uomo allungandogli una moneta -abbiamo fretta. Ci sono fiaccheri all’ uscita?
- Sissignore, ce ne sono almeno tre o quattro sempre in attesa.
- Hai fretta di raggiungere tua sorella? – chiese la moglie.
- Perché me lo chiedi?
- Perché ti vedo in pena.
- Mi devi capire, sono anni che non vedo mia sorella.
- In certi momenti mi sento quasi gelosa.
- Oddio! Che parolona...non puoi sentirti gelosa di una sorella.
- Lo sono in verità.
- Ecco signori, scelgano loro il fiacchere che più vi aggrada – li interruppe il facchino. 

Il fiaccheraio sistemò i bagagli. Aiutò a salire la signora e domandò la direzione al marito.

- Villa Letizia, all’ Ardenza. Corra per favore la pagherò il doppio.

Eleonora, si accomodò sbottonandosi il cappotto, Antonio tirò fuori il giornale arrotolato dalla tasca e pretese di leggerlo.

- Ti disturba che io sia gelosa di tua sorella?

Antonio guardava fuori. Aspettava solo che il fiacchere prendesse l’abbrivio. Rispose solo quando oltrepassò i cancelli della stazione. 

- Un po’ sì. Ma non mi sembra il caso di crearne una discussione. Sono sicuro che anche tu quando la vedrai capirai l’assurdità della tua gelosia.

Antonio la cinse alla vita, ma Eleonora gli resisté debolmente. Il pensiero di incontrare la sorella di Antonia le causava una sorta irrigidimento mentale. Un sentimento di una spiacevole scoperta la pressava. Ed aveva la forma di una verità che era meglio tenere ancora distante.

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