Questo capitoletto è parte del mio romanzo "Il giorno che l'Italia morí" . L'intero romanzo si trova in Academia: https://www.academia.edu/es/42083218/Il_giorno_che_lItalia_mor%C3%AD
— Vado a lavorare per la Camera del Lavoro, alla UIL. Mi ci manda il partito.
— Che partito?
— Il PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano.
— Ma che partito è?
— Partito Socialista, diverso dai comunisti. Non abbiamo nulla a che fare con loro.
— Ma che lavoro è? Lavorare per un partito è un lavoro?
— Sí, è un lavoro.
— Ti pagano?
— Sí, mi pagano. dodicimalire al mese.
— Dodicimalire?
— Sí.
— E come farai con Sabatina?
— Ce la faremo.
— Ora avete anche un figlio...
— Ce la faremo.
— Ma qui c’è la terra. Ci siamo trasferiti da Castelfiorentino a Montelupo. Abbiamo tutta questa terra. E tu mi lasci solo, me e Ida a lavorare tutto da soli. Porca M…a! Ma ti ha dato barta il cervello?
— Fai come ti pare. Io la terra non la voglio lavorare più. E poi è terra questa? Tutta sassi e mattaione [1]. Ti ricordi l’anno scorso gli olivi? Che annata! Erano pieni. Mai visti olivi cosí pieni. Poi è arrivata la gelata e tutto è andato perso. Ma che senso ha una vita cosi. Porcodd…o!
— E poi in estate io non ci voglio più andare a battere il grano con la trebbiatrice. Ma sai quanto tempo ci vuole per andare da Montelupo a San Salvi a battere il grano. Sempre la notte. Parti la notte e torni la notte. Sotto il sole. Sudicio di pula come un maiale. Arrostito dal sole. No, basta…io questa vita non la voglio più.
— Tu hai una fortuna sola, che hai Luigi...che è piccolo. Sennò piglierei quell’ubbidiente [2] lì e ti spaccherei quella testa dura! Lasciarmi solo a lavorare tutta questa terra. Quando l’ho presa contavo su di te...ora dovrò prendere qualcuno a cottimo...
Lo scontro con suo padre fu duro. E lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe stato duro. Ma Silvano aveva deciso. Mai più lavorare la terra. Lui aveva fatto la quinta elementare, ma era intelligente. E voleva fare il politico. Voleva cambiare le ingiustizie. Voleva cambiare il mondo. Voleva che anche i poveri diventassero ricchi. Per questo voleva lavorare per la UIL e il partito.
E ora rimaneva Ida, sua madre. Con lei prevedeva uno scontro ancor più violento. Ci sarebbero stati giorni (forse almeno un mese) in cui non si sarebbero parlati. E poi Sabatina, la moglie. Sabatina era una donna di poco coraggio. “Una bocca chiusa ne chiude cento” ripeteva sempre. E questo era il suo male. Veniva da una famiglia di fascisti. Chiudere le bocche era la loro specialità, e tuttavia suo padre, lo aveva trattato sempre con grande rispetto. Sapeva che Silvano non era fascista, ma sapeva anche che non stava con i comunisti.
Suo nonno Giovanni gli ripeteva sempre “Figliolo mio ricordatelo: i comunisti sono peggio dei fascisti”.
A Fucecchio Silvano mosse i primi passi nel nuovo lavoro e conobbe Pietro. Le vite di Silvano e Pietro sarebbero corse parallele fino quasi alla fine, anche se negli ultimi anni si sarebbero un po' persi di vista a causa della vecchiaia.
— Guarda Silvano che è una cosa da non credere. Vogliono sfrattarci. Ti rendi conto? Bisogna fare qualcosa.
— Che si può fare? – Pietro aveva più esperienza. Aveva subito dopo la Guerra cominciato a lavorare nei sindacati.
Subito dopo la Liberazione di Fucecchio, avvenuta il 1° settembre 1944, i dirigenti del partito comunista e quelli del partito socialista insieme ai sindacalisti avevano occupato la Casa del Fascio e il Circolo dei Signori di piazza Montanelli.
La Casa del Fascio era stata trasformata in Casa del Popolo e vi erano state installate le sedi del partito comunista, del partito socialista e della Camera del Lavoro. Il Circolo dei Signori era divenuto invece Circolo Ricreativo dei Lavoratori e il campetto da basket adiacente al Circolo venne trasformato in arena estiva per proiezioni cinematografiche.
Questa situazione era perdurata fino 17 settembre 1954, quando l’Intendenza di Finanza di Firenze aveva ordinato ai dirigenti del Circolo Ricreativo dei Lavoratori e ai dirigenti della Casa del Popolo di lasciare liberi da persone e da cose i locali dell’immobile di piazza Montanelli, che ospitava il Circolo e la Casa del Popolo, entro le ore 8 antimeridiane del giorno 28 settembre 1954, allo scopo di metterli a disposizione del Demanio dello Stato che ne era il legittimo proprietario. Tutto l’immobile sarebbe stato adibito a Caserma dei carabinieri. L’ordinanza dell’Intendenza avvertiva che, scaduto il termine, si sarebbe proceduto immediatamente allo sfratto forzoso dell’immobile con l’intervento della Forza Pubblica.
— Bisogna subito costituire un Comitato di Difesa insieme ai comunisti e a quelli della CGIL, con quelli del Circolo.
— Per fare che?
— Per fare una sottoscrizione e trovare sette milioni di lire da versare subito e gli altri otto versarli poi a rate per acquistare l’immobile che ospita attualmente il Circolo Torino di via Dante. Cosí potremo lasciare la Casa del Fascio ai Carabinieri che vogliono farci la caserma e noi continuare ad avere una sede.
— D’accordo.
— Tu Silvano cercherai adesioni nelle zone di Montelupo, Empoli e Castelfiorentino. Conosci meglio quelle zone. Io invece mi occuperò di Fucecchio, Santa Croce, San Miniato, San Romano e Montopoli. Dobbiamo farcela.
— Ce la faremo Pietro. — Fu quella la prima volta che Silvano avvertí tutta la forza e la determinazione che aveva dentro. Finalmente cominciava la vera guerra a cui si era sentito chiamato. Era la sua guerra. E sarebbe durata fino al 1992.
— Il PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano.
— Ma che partito è?
— Partito Socialista, diverso dai comunisti. Non abbiamo nulla a che fare con loro.
— Ma che lavoro è? Lavorare per un partito è un lavoro?
— Sí, è un lavoro.
— Ti pagano?
— Sí, mi pagano. dodicimalire al mese.
— Dodicimalire?
— Sí.
— E come farai con Sabatina?
— Ce la faremo.
— Ora avete anche un figlio...
— Ce la faremo.
— Ma qui c’è la terra. Ci siamo trasferiti da Castelfiorentino a Montelupo. Abbiamo tutta questa terra. E tu mi lasci solo, me e Ida a lavorare tutto da soli. Porca M…a! Ma ti ha dato barta il cervello?
— Fai come ti pare. Io la terra non la voglio lavorare più. E poi è terra questa? Tutta sassi e mattaione [1]. Ti ricordi l’anno scorso gli olivi? Che annata! Erano pieni. Mai visti olivi cosí pieni. Poi è arrivata la gelata e tutto è andato perso. Ma che senso ha una vita cosi. Porcodd…o!
— E poi in estate io non ci voglio più andare a battere il grano con la trebbiatrice. Ma sai quanto tempo ci vuole per andare da Montelupo a San Salvi a battere il grano. Sempre la notte. Parti la notte e torni la notte. Sotto il sole. Sudicio di pula come un maiale. Arrostito dal sole. No, basta…io questa vita non la voglio più.
— Tu hai una fortuna sola, che hai Luigi...che è piccolo. Sennò piglierei quell’ubbidiente [2] lì e ti spaccherei quella testa dura! Lasciarmi solo a lavorare tutta questa terra. Quando l’ho presa contavo su di te...ora dovrò prendere qualcuno a cottimo...
Lo scontro con suo padre fu duro. E lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe stato duro. Ma Silvano aveva deciso. Mai più lavorare la terra. Lui aveva fatto la quinta elementare, ma era intelligente. E voleva fare il politico. Voleva cambiare le ingiustizie. Voleva cambiare il mondo. Voleva che anche i poveri diventassero ricchi. Per questo voleva lavorare per la UIL e il partito.
E ora rimaneva Ida, sua madre. Con lei prevedeva uno scontro ancor più violento. Ci sarebbero stati giorni (forse almeno un mese) in cui non si sarebbero parlati. E poi Sabatina, la moglie. Sabatina era una donna di poco coraggio. “Una bocca chiusa ne chiude cento” ripeteva sempre. E questo era il suo male. Veniva da una famiglia di fascisti. Chiudere le bocche era la loro specialità, e tuttavia suo padre, lo aveva trattato sempre con grande rispetto. Sapeva che Silvano non era fascista, ma sapeva anche che non stava con i comunisti.
Suo nonno Giovanni gli ripeteva sempre “Figliolo mio ricordatelo: i comunisti sono peggio dei fascisti”.
A Fucecchio Silvano mosse i primi passi nel nuovo lavoro e conobbe Pietro. Le vite di Silvano e Pietro sarebbero corse parallele fino quasi alla fine, anche se negli ultimi anni si sarebbero un po' persi di vista a causa della vecchiaia.
— Guarda Silvano che è una cosa da non credere. Vogliono sfrattarci. Ti rendi conto? Bisogna fare qualcosa.
— Che si può fare? – Pietro aveva più esperienza. Aveva subito dopo la Guerra cominciato a lavorare nei sindacati.
Subito dopo la Liberazione di Fucecchio, avvenuta il 1° settembre 1944, i dirigenti del partito comunista e quelli del partito socialista insieme ai sindacalisti avevano occupato la Casa del Fascio e il Circolo dei Signori di piazza Montanelli.
La Casa del Fascio era stata trasformata in Casa del Popolo e vi erano state installate le sedi del partito comunista, del partito socialista e della Camera del Lavoro. Il Circolo dei Signori era divenuto invece Circolo Ricreativo dei Lavoratori e il campetto da basket adiacente al Circolo venne trasformato in arena estiva per proiezioni cinematografiche.
Questa situazione era perdurata fino 17 settembre 1954, quando l’Intendenza di Finanza di Firenze aveva ordinato ai dirigenti del Circolo Ricreativo dei Lavoratori e ai dirigenti della Casa del Popolo di lasciare liberi da persone e da cose i locali dell’immobile di piazza Montanelli, che ospitava il Circolo e la Casa del Popolo, entro le ore 8 antimeridiane del giorno 28 settembre 1954, allo scopo di metterli a disposizione del Demanio dello Stato che ne era il legittimo proprietario. Tutto l’immobile sarebbe stato adibito a Caserma dei carabinieri. L’ordinanza dell’Intendenza avvertiva che, scaduto il termine, si sarebbe proceduto immediatamente allo sfratto forzoso dell’immobile con l’intervento della Forza Pubblica.
— Bisogna subito costituire un Comitato di Difesa insieme ai comunisti e a quelli della CGIL, con quelli del Circolo.
— Per fare che?
— Per fare una sottoscrizione e trovare sette milioni di lire da versare subito e gli altri otto versarli poi a rate per acquistare l’immobile che ospita attualmente il Circolo Torino di via Dante. Cosí potremo lasciare la Casa del Fascio ai Carabinieri che vogliono farci la caserma e noi continuare ad avere una sede.
— D’accordo.
— Tu Silvano cercherai adesioni nelle zone di Montelupo, Empoli e Castelfiorentino. Conosci meglio quelle zone. Io invece mi occuperò di Fucecchio, Santa Croce, San Miniato, San Romano e Montopoli. Dobbiamo farcela.
— Ce la faremo Pietro. — Fu quella la prima volta che Silvano avvertí tutta la forza e la determinazione che aveva dentro. Finalmente cominciava la vera guerra a cui si era sentito chiamato. Era la sua guerra. E sarebbe durata fino al 1992.
[1] Parola toscana per “argilla”.
In particolare una specie di argilla bluastra.
[2] Parola toscana per
indicare un tipo di zappa biforcuta.
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