Don Salvatore aveva fatto ciò che aveva promesso.
Domani a Napoli sarebbe arrivato Garibaldi. Napoli era tutta sotto il controllo di Don Salvatore che aveva ricevuto mandato dal ministro Liborio.
Da abilissimo mestatore politico, l'avvocato Romano Liborio faceva credere ai liberali di star preparando il terreno per l'avvento di Garibaldi, e lasciava intendere ai borbonici di essere l'ultimo strenuo difensore della monarchia: in realtà il ministro, resosi conto che le due parti in lotta avevano eguali probabilità di prevalere, agiva in maniera da poter in ogni caso, mantenere se stesso a galla.
Ma alla fine il suo continuo anticipare status e cambiare di posizione in base alle dinamiche politiche lo avrebbe fatto emarginare dalla vita politica dell’Italia unificata.
L'accusa più grave che gli sarebbe stata mossa sarebbe stata quella di aver costituito una speciale forza dell'ordine composta di camorristi, di essersi connesso con la camorra e di averne favorito la condizione, da illegale a legale. Di aver costruito la prima ufficiale collusione fra stato e mafia facendo entrare nella forza di ordine pubblico Salvatore De Crescenzo (Tore 'e Criscienzo) capo camorrista e di conseguenza la camorra napoletana tutta.
Eppure in quella città controllata dalla Camorra, grazie all’accordo con Liborio, i primi giorni dell’accordo camorristi e baldracche con coltelli e stocchi, pistole e fucili aveva percorso in lungo e largo Napoli gridando “Viva l’ Italia, viva Vittorio e Garibaldi” seguiti da cori di monelli, accattoni e cialtroni e canaglia in generale alla busca di danaro.
Non si può dire che, almeno nei primi giorni del loro mandato, gli ex camorristi diventati poliziotti si fossero comportati molto bene. Avevano incominciato col pugnalare un loro collega, Peppe Aversano, per poi passare a compiere molte vendette private.
In piazza San Nicola alla Carità aggredirono il giovane ispettore della polizia borbonica Perrelli, che nel passato li aveva perseguitati; ferito gravemente, l'ispettore venne adagiato su una carrozzella e avviato all'ospedale, senonché un camorrista di nome Ferdinando Mele lo raggiunse e gli inferse il colpo di grazia, uccidendolo.
Un altro ex commissario di Pubblica Sicurezza, Cioffi, fu picchiato a sangue e si salvò per miracolo. Istigati da patrioti del comitato «Ordine», il 28 giugno i camorristi incominciarono a dare l'assalto a tutti i commissariati di Pubblica Sicurezza, distruggendo gli archivi e poi sedendosi pomposamente dietro le scrivanie, forti della loro nuova condizione.
Al commissariato del rione Stella, dal quale i poliziotti borbonici non avevano voluto sloggiare, vi era stata una sparatoria nutritissima…
Che le cose stessero cambiando lo si sentiva nell’aria. C’era troppo di tutto. Di tutto quello che nel passato non c’era stato.
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