Il popolo lituano non è come quello italiano.
Due mondi due universi diversi.
Ma più composto, più vicino al dolore quello lituano.
Più duro nel sopportare, più silente nel dirsi.
Più pagàno più maschio, più muscolare. Più animale.
Sa vivere di piccole cose. Di un giardino, di un laghetto.
Di mangiare quando gli pare, senza regole da seguire.
Non ha molti strati di leggi e abitudini che gli dettino il sentire.
Vive in modo più marginale. Forse più salvatico, Basilare.
Quello italiano corrotto da troppi galatei, manierismi e barocchi,
Alla fine solo facciata, bugie, e tanti falsi sterili papocchi.
Troppi strati di inani dettami seppelliscono la sua estinta ormai natura.
Ma è negli occhi di Aldona, donna lituana, che colgo il dolore muto del sopportare.
Viene di lontano e sa di un IO forte ma rassegnato.
Che sa di essere quello che è, senza la forza di cambiare.
Io rispetto quegli occhi, quello sguardo sofferto mai veramente nato.
Che annuncia una fine che viene indipendente.
Come non la riguardasse, a sé indifferente.
Perfino libero pare di quel soffrire che nessuno sa dire di dove sgorgato.
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