L' "abiura della trilogia della vita" di Pasolini non fece altro che confermare la grande malattia del popolo italiano
In questa riflessione sul popolo italiano parlo dell'Italia, ma non per farne un termine di confronto con altre nazioni. Per dire questo è peggio o meglio dell'altro. Parlo dell'Italia sic et simpliceter senza voler fare paragoni.
Parlo dell'Italia perché grande è il dolore nel vedere il paese dove sono nato ridotto ormai a un cumulo di macerie morali, sociali culturali e politiche e soprattutto accettare passivamente e supinamente la sostituzione etnica che gli stanno imponendo senza accennare la minima reazione,ma solo pensando nell'ottica del "particulare" di guicciardiniana memoria ognuno a salvare la propria pelle.
La desolazione culturale, politica e il completo disinteresse che la classe politica italiana (nella quasi sua completa interezza) manifesta nei confronti del proprio paese, non nasce dalla classe politica.
Chi accusa la classe politica fa come il bue che dà di cornuto all'asino.
"Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto diventare ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente: quindi anche il loro modo di essere di allora è, dal presente, svalutato. I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano – che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo – se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine"
La desolazione culturale, politica e il completo disinteresse che la classe politica italiana (nella quasi sua completa interezza) manifesta nei confronti del proprio paese, non nasce dalla classe politica.
Chi accusa la classe politica fa come il bue che dà di cornuto all'asino.
Non vede e non capisce che la classe politica nasce da un humus, che è quello rappresentato dal corpus sociale, ovvero ciò che viene chiamato "il popolo". La classe politica non altro rispecchia che lo stesso livello da cui proviene. Stop. Non ci sono altre versioni o attenuazioni.
Questo è il problema. L'Italia è un popolo malato: malato della cultura dell' egoismo, di ricerca del proprio tornaconto personale, del male di coltivare e pensare unicamente al proprio orticello, di cui il Guicciardini fu grande teorizzatore.
Un popolo che ha avuto la fortuna di nascere in un posto bellissimo, dove si trova la maggior parte dei tesori architettonici ed artistici del mondo, dove il clima è di livello eccezionale (si deve vivere in un paese dove non si vede mai il sole per capire come sia importante godere della luce del sole ogni giorno), dove il cibo e la moda sono, grazie a una cultura secolare tramandatasi, di alta qualità e raffinatezza come non lo è nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo.
Ma siccome questo gli italiani lo hanno da sempre avuto non vi hanno mai dato il valore che meriterebbe. Ne è derivato un popolo viziato, accidioso, ricco fino all'eccesso senza rendersene conto.
Pur non essendo una nazione indipendente, ma una colonia, ha tuttavia avuto la fortuna di essere locata al centro del mediterraneo e chi la comandava dopo la seconda guerra mondiale (e non era la Democrazia Cristiana) ha fatto crescere la sua economia a livello mondiale (e gli italiani provinciali ed incapaci hanno pensato che fosse merito loro) perché allora si aveva bisogno di un' Italia forte, negli anni della Guerra Fredda.
Ma dopo la caduta dell'Unione sovietica chi l'aveva fatta diventare la IV potenza mondiale, a partire dal '92, ha provveduto anche a distruggerla, l'Italia.
Pasolini ipse, che pure aveva cercato di distinguere fra il popolo e la borghesia, e aveva santificato il proletario delle borgate e la civiltà contadina, i loro corpi, i loro sessi, le loro carie, la loro bruttura, le loro deformazioni, i loro peccati e crimini, in nome di valori che aveva cercato di individuare attraverso la sua opera poetica e cinematografica, e letteraria, nel 1975 con "L'abiura della trilogia della vita" (QUI) si rese conto di essersi completamente sbagliato, ed espresse un giudizio severo, totale, assoluto nei confronti del mondo che lui aveva amato: il popolo delle borgate romane, che aveva elevato a simbolo del sottoproletariato italiano e mondiale e lo aveva santificato.
Alla fine anche Pasolini si rese conto di che materiale era fatto quel popolo che lui aveva sacralizzato, benedetto. Era fatto dello stesso materiale di cui era fatta l'altra parte che lui aveva detestato: la borghesia.
Ma già in un'intervista del 1967 aveva compreso che male arnese fosse il popolo italiano: “Sono appena tornato dal Marocco, dove ho girato il mio ultimo film, e al ritorno sono stato tentato di mollare tutto, abbandonare il film, abbandonare la mia vita precedente e tornare a vivere in Marocco. E non perché amo il Marocco, ma perché il mio arrivo in Italia è stato così terribile, così sconvolgente, insopportabile. Non c’è segno di speranza, nessuna luce, niente. Era come arrivare in un manicomio di veri matti; cioè, calmi pazzi. Ho passato dieci giorni di terrore; era come se non potessi più vivere in Italia. Per quei dieci giorni ho pensato di lasciare l’Italia. E la cosa peggiore è che gli italiani non si accorgono di nulla.”
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