Quando se n’era andato, era fuggito. Non si può dire che se ne fosse andato. In realtà era fuggito. Aveva preso poche cose. Il minimo. Quelle a cui era più attaccato, ed era fuggito.
Era fuggito da quel paese che oramai lo disperava, era fuggito verso un altro paese, in cui nemmeno sapeva che vi avrebbe fatto.
Aveva una sola certezza in quel paese. L’amore. Ma si sa, gli amori nascono ma anche muoiono.
E invece era sempre lì quell’amore. Dopo nove anni era sempre lui. Forte come il primo giorno.
Ma i segni erano molteplici. Non era solo l’amore. Era una mano dietro che lo aveva spinto e lo aveva, non senza sofferenza, spinto verso dove ora si trovava.
Ma in quella casa da dove era fuggito aveva lasciato cose che allora gli parevano insignificanti e che ora invece capiva erano fondamentali. Le foto.
Le foto della sua vita. Quelle foto che anno dopo anno erano rimaste, rispetto a quelle che erano scomparse. Forse perché erano irrilevanti, erano scomparse. E giustamente erano decadute dalla memoria. Erano andate perse.
Ma quelle invece che il tempo aveva selezionato, quelle erano le foto che il tempo aveva deciso che vivessero, che rimanessero.
E lui le aveva lasciate, là in quella casa ora divenuta un mausoleo, che continuava a testimoniare il passaggio su questa terra dei suoi genitori, che forse ora solo lui continuava a tenere vivi in questo mondo.
Ed era stato un errore.
Non ricordava più la sua faccia da bambino. Non ricordava più bene i volti delle sue bambine, piccole. Non ricordava più quella foto di suo padre ragazzino con lo sguardo arrabbiato, che poi si era portato dietro tutta la vita.
Non ricordava più la figura ingobbita di sua nonna Ida e la postura di suo nonno Giuseppe seduto sulla canna della bicicletta.
Quella mano non gli aveva dato tempo. Lo aveva spinto con urgenza.
Aveva fatto di lui un uomo nuovo.
Ma senza memoria, viveva.
Ma i segni erano molteplici. Non era solo l’amore. Era una mano dietro che lo aveva spinto e lo aveva, non senza sofferenza, spinto verso dove ora si trovava.
Ma in quella casa da dove era fuggito aveva lasciato cose che allora gli parevano insignificanti e che ora invece capiva erano fondamentali. Le foto.
Le foto della sua vita. Quelle foto che anno dopo anno erano rimaste, rispetto a quelle che erano scomparse. Forse perché erano irrilevanti, erano scomparse. E giustamente erano decadute dalla memoria. Erano andate perse.
Ma quelle invece che il tempo aveva selezionato, quelle erano le foto che il tempo aveva deciso che vivessero, che rimanessero.
E lui le aveva lasciate, là in quella casa ora divenuta un mausoleo, che continuava a testimoniare il passaggio su questa terra dei suoi genitori, che forse ora solo lui continuava a tenere vivi in questo mondo.
Ed era stato un errore.
Non ricordava più la sua faccia da bambino. Non ricordava più bene i volti delle sue bambine, piccole. Non ricordava più quella foto di suo padre ragazzino con lo sguardo arrabbiato, che poi si era portato dietro tutta la vita.
Non ricordava più la figura ingobbita di sua nonna Ida e la postura di suo nonno Giuseppe seduto sulla canna della bicicletta.
Quella mano non gli aveva dato tempo. Lo aveva spinto con urgenza.
Aveva fatto di lui un uomo nuovo.
Ma senza memoria, viveva.
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