Capisci che certe volte il disgusto raggiunge un livello isopportabile? E non era una domanda che faceva ad un altro ma che faceva a se stesso. Ma la faceva come se la ponesse ad un altro. Come se quel disgusto appartenesse a qualcuno che lui non era, ma con cui doveva obtorto collo condividere lo stesso spazio.
E in effetti era così, doveva condividere molti spazi, l'io di tante persone, che avrebbe voluto, agitando una bacchetta magica, far sparire e per sempre.
Dividere quegli spazi non lo rendeva libero. Ma schiavo. Gli sottraevano spazio, glielo occupavano e lo facevano schiavo, schiavo di una tristezza che poi sfociava nel dubbio, nell'incertezza e nella difficoltà a reagire. Ma la libertà non è un dono che ti arriva. Libertà e verità corrono parallele e sono selettive. Solo chi le sa cercare e trovare, diviene libero e conosce la verità.
Tutte quelle figure umane con cui doveva condividere lo spazio della sua esistenza dalla mattina alla sera erano lì per quello, per ricordargli: sei nato libero ma noi ti abbiamo fatto schiavo. Ricordalo!
E allora si fermava, e prendeva tempo per pensare. Solo in quel tempo che passava con se stesso, ritrovava i fondamenti della libertà e verità.
Prendeva un caffè. Andava da Ali, al piano terra del centro commerciale di Vilnius, Panorama, e prendeva un caffè. Il caffè lo restaurava. Il caffè era il primo fondamento della libertà. Forse perché non vi era mai stato un dottore, allopata o omeopata non importa, che non gli avesse ingiunto di smettere di prendere il caffè. Ma lui aveva sempre disobbedito e lo aveva preso, anzi aveva aumentato il numero dei caffè che prendeva durante il giorno: era passato da quattro a sette, otto...ormai non li contava più. A lui il caffè faceva bene. Lo rendeva libero. Era un segno di non conformità di non adattamento.
Ecco anche quella volta prese un caffè. La testa era confusa, piena di nebbia prima. Ma poi i pensieri si fecero tersi e poi limpidi. E le direzioni smisero di ingarbugliarsi ma si districarono, divennero lineari, non più contorte. E disse.
Ecco!
E in effetti era così, doveva condividere molti spazi, l'io di tante persone, che avrebbe voluto, agitando una bacchetta magica, far sparire e per sempre.
Dividere quegli spazi non lo rendeva libero. Ma schiavo. Gli sottraevano spazio, glielo occupavano e lo facevano schiavo, schiavo di una tristezza che poi sfociava nel dubbio, nell'incertezza e nella difficoltà a reagire. Ma la libertà non è un dono che ti arriva. Libertà e verità corrono parallele e sono selettive. Solo chi le sa cercare e trovare, diviene libero e conosce la verità.
Tutte quelle figure umane con cui doveva condividere lo spazio della sua esistenza dalla mattina alla sera erano lì per quello, per ricordargli: sei nato libero ma noi ti abbiamo fatto schiavo. Ricordalo!
E allora si fermava, e prendeva tempo per pensare. Solo in quel tempo che passava con se stesso, ritrovava i fondamenti della libertà e verità.
Prendeva un caffè. Andava da Ali, al piano terra del centro commerciale di Vilnius, Panorama, e prendeva un caffè. Il caffè lo restaurava. Il caffè era il primo fondamento della libertà. Forse perché non vi era mai stato un dottore, allopata o omeopata non importa, che non gli avesse ingiunto di smettere di prendere il caffè. Ma lui aveva sempre disobbedito e lo aveva preso, anzi aveva aumentato il numero dei caffè che prendeva durante il giorno: era passato da quattro a sette, otto...ormai non li contava più. A lui il caffè faceva bene. Lo rendeva libero. Era un segno di non conformità di non adattamento.
Ecco anche quella volta prese un caffè. La testa era confusa, piena di nebbia prima. Ma poi i pensieri si fecero tersi e poi limpidi. E le direzioni smisero di ingarbugliarsi ma si districarono, divennero lineari, non più contorte. E disse.
Ecco!
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