Livorno. La città dove era nato. Cresciuto fino a dodici anni.
Poi, il padre professore universitario, insegnava sanscrito alla facoltà di glottologia di Pisa in via Santa Maria non lontano da Campo dei Miracoli, per comodità aveva deciso di trasferirsi a Pisa. Non che Pisa fosse poi così lontano da Livorno. Avrebbe potuto anche rimanere a Livorno, e fare il pendolare.
E' vero che per un livornese vivere a Pisa è un po' come rinnegare la sua terra, grande è il campanilismo fra le due città.
Ma alla fine Saverio, si chiamava così il padre, era rimasto ammaliato dal clima dolce di Pisa. Dalla sua lentezza provinciale. Dall'Arno e dai colori che assume al tramonto tutta la città.
E' un posto buono per vivere e morire, aveva pensato dopo qualche mese trascorso a Pisa dopo aver ricevuto l'incarico. Voglio vivere qui con tutta la famiglia.
Pisa, è innegabile aveva la sua poesia. E molti poeti hanno soggiornato a Pisa. E non può essere un caso. Il caso non esiste. Nel caso credono quelli che credono a qualsiasi dabbenaggine gli venga raccontata. Chi ha un minimo di sale in zucca al caso non ci crede. Per ammettere il caso si dovrebbe ammettere che esiste qualcosa che è quantificamente separabile da tutto il resto invece di essere risonante, come di fatto è, con tutto il resto del sistema in cui cade.
Giorgio, a differenza del padre, a Pisa continuò ad amare Livorno. Ciò che amava di Livorno erano l'asprezza dei contorni, la ruvidità e lo scherno talora sardonico, guappo, tipico del livornese.
Amava la lingua dialettale, maschia, aggressiva ma in modo canzonatorio, ironica e comica, e non invece becera quale gli pareva quella di Pisa. Una lingua che strascicava, deformava i suoni e li rendeva sguaiati.
Ecco la parola "sguaiato" con la sua doppia dittonganzione ascendente all'interno della parola apriva talmente tantpo la pronuncia da illustrare bene le accentazioni sgarbate del pisano.
Una cosa però imparò a Pisa, che non aveva imparato a Livorno. La poesia.
Poi, il padre professore universitario, insegnava sanscrito alla facoltà di glottologia di Pisa in via Santa Maria non lontano da Campo dei Miracoli, per comodità aveva deciso di trasferirsi a Pisa. Non che Pisa fosse poi così lontano da Livorno. Avrebbe potuto anche rimanere a Livorno, e fare il pendolare.
E' vero che per un livornese vivere a Pisa è un po' come rinnegare la sua terra, grande è il campanilismo fra le due città.
Ma alla fine Saverio, si chiamava così il padre, era rimasto ammaliato dal clima dolce di Pisa. Dalla sua lentezza provinciale. Dall'Arno e dai colori che assume al tramonto tutta la città.
E' un posto buono per vivere e morire, aveva pensato dopo qualche mese trascorso a Pisa dopo aver ricevuto l'incarico. Voglio vivere qui con tutta la famiglia.
Pisa, è innegabile aveva la sua poesia. E molti poeti hanno soggiornato a Pisa. E non può essere un caso. Il caso non esiste. Nel caso credono quelli che credono a qualsiasi dabbenaggine gli venga raccontata. Chi ha un minimo di sale in zucca al caso non ci crede. Per ammettere il caso si dovrebbe ammettere che esiste qualcosa che è quantificamente separabile da tutto il resto invece di essere risonante, come di fatto è, con tutto il resto del sistema in cui cade.
Giorgio, a differenza del padre, a Pisa continuò ad amare Livorno. Ciò che amava di Livorno erano l'asprezza dei contorni, la ruvidità e lo scherno talora sardonico, guappo, tipico del livornese.
Amava la lingua dialettale, maschia, aggressiva ma in modo canzonatorio, ironica e comica, e non invece becera quale gli pareva quella di Pisa. Una lingua che strascicava, deformava i suoni e li rendeva sguaiati.
Ecco la parola "sguaiato" con la sua doppia dittonganzione ascendente all'interno della parola apriva talmente tantpo la pronuncia da illustrare bene le accentazioni sgarbate del pisano.
Una cosa però imparò a Pisa, che non aveva imparato a Livorno. La poesia.
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