Saturday 18 February 2023

Autobiografia di un poeta - da lui medesimo scritta (la magia e la poesia di Livorno)





Il rapporto con il padre fu piacevole in quegli anni a Pisa.
Gli parlava spesso degli inni del Rigveda, di cui il padre era specialista.
Ma ciò che più lo affascinava, a parte una serie di inni del Rigveda chiamati cosmogonici, era l‘Atharvaveda. Un testo probabilmente posteriore, in certe parti, al Rigveda ma in alcune avrebbe potuto essere anche anteriore, un testo di inni terapeutici e magici.
Fin da piccolo cominciò infatti a pensare che magia e poesia andassero di pari passo.
Livorno era questo. Livorno aveva una magia. Non era belle come città. Ma aveva una magia struggente, languida in certi momenti, burbera in altri. Livorno era pura poesia, che vibrava, per lui.

Quando r'culo caa e r'cazzo rende, vo 'n culo alle medicine e chi le vende!
Meglio ave' i pantaloni rotti ar culo che un culo rotto ne' pantaloni.
Le parole le porta via 'r vento, le bicirette i livonesi e i bischeri nessuno.
Le donne sono come le sarcicce: budelle fori, maiale dentro e vanno ´onsumate carde.


Non era pura poesia ironica una lingua che diceva le cose più volgari e trite con una musica innata dentro?
Quella lingua, gli si era radicata nell'anima come una musica di violino. La rima gli era venuta spontanea avendo dentro quella lingua.

E per lui non fu difficile partorire versi come

Anima mia, fa' in fretta.
Ti presto la bicicletta,
ma corri. E con la gente
(ti prego, sii prudente)
non ti fermare a parlare
smettendo di pedalare...


Faceva poesia e parlava di cose banali. Come i livornesi

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