Una volta esisteva l’uomo.
Una volta.
Ma era uomo?
Non lo so. Ma oggi se guardo indietro e volgo lo sguardo e l’attenzione a quell’uomo, dubito.
Era un uomo esteta. Un uomo dedicato a sedurre se stesso, prima che gli altri. Viveva di piacere. L’uomo interiore è probabilmente nato con Sant’Agostino, ma morto anche poco dopo. Forse ha avuto qualche rigurgito dopo. Ma è certo che Dostoevsky ne è stata l’ultima propaggine.
L’uomo per essenza è animale ed è dedito alla pancia quando ha poco. Quando ha tanto sposta la sua attenzione all’epidermide, al corpo, ma la pancia ancora è il mastermind della sua vita.
Questo gli basta. Non si cura della libertà quando si può ingozzare e illudersi che mai morirà perché può curare il corpo quasi all’infinito (lui crede). Ha tutto quello di cui ha bisogno. E allora che vuol dire codesta parola “libertà”?
Ma c’è un’altra parola che lo disturba, forse più che “libertà”.
Ed è “verità”.
Quell’uomo, l’uomo dedito solo a sedurre se stesso e la pancia, prima che gli altri, odia la verità, perché vive nella menzogna.
E’ più facile vivere nella menzogna. Perché quello che una volta era l’uomo era lui stesso il companatico della menzogna.
Oggi quell’uomo, scompare. La sua stessa menzogna lo ha quasi divorato tutto.
Ma non se ne accorge. E’ cieco. Non vede. Non sente. E’sordo.
Ma dalla sua morte, come il chicco che muore nella terra, nasce il frutto.
Ed è l’uomo che ascolta. E crede.
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