I. Gli occhi dei suoi occhi mi rapirono
Più distanti si
facevano e più mi rapivano.
Mi perdevo in
essi nella loro distanza
Incolmabile.
II.
E
oltre il sorriso dei suoi occhi cobalti
Percepivo il
mondo che amavo
Irraggiungibile.
III.
Di quella
luce di neve e ghiaccio mi inebriavo
Stanco di
cercarla
Da sempre
IV.
E ora
mi attiravano a sé, come magneti.
Dono di Dio
quegli occhi. Ma quale Dio?
A che Dio mi
indirizzavano quegli occhi?
Un Dio di Amore,
certo.
V.
Sono venuta e non so perché.
Sono venuta in
questa città
Mossa da un
comando,
che urlava e non
cedeva.
Da sempre urlava.
VI.
La
mia pelle è bianca e i miei occhi
Dicono cobalto, come
una Ásynja.
Io vengo dal nord,
figlia degli Æsir,
signori assoluti
del Cielo.
VII.
La
madre mia non mi rappresentò
Nei giorni degli
anni che doveva.
Si mostrava irata
con me
E in chi non mi
amava, lei credeva.
E io di me persi
così ogni amore.
VIII.
Dove
in questo dedalo di stradine
Strette e torte
ti nascondi?
Dove incontrarti,
senza neanche conoscere
il suono della
tua voce, il colore dei tuoi capelli
lo sguardo
profondo degli occhi
che mi direbbero
che sei tu che cerco?
IX.
Non
sa lei, dove. Non sa lei, quando.
L’ Ásynja scesa
dal nord trema.
Gettati Ásynja nel dedalo stretto delle viscere
Di questa città.
Ascolta il suono delle pietre
Dei passi tuoi saranno
a lui la tua guida.
X.
Tu
mia bella straniera,
in questo dedalo
di budelli di pietra
persa, io ti
paragono al mio futuro che viene
in silenzio.
XI.
Fra i
biondi capelli
I tuoi occhi
splendono come luci.
In loro io specchio
un mistero
Che non parla.
[1] In lituano. Traduzione: Occhi di una dèa
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