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Sabatina e l’Italia di Guareschi





A Sabatina non dispiaceva l‘idea del Cristo, della Madonna e della chiesa che respirava nei romanzi di Guareschi.
A lei una visione cattolica di quel tipo stava bene. La religione di Sabatina era da paese. Obbedire al prete, osservare le feste comandate, non mangiare carne il venerdì, non votare comunista, confessarsi ogni tanto. E andare a messa, ma non sempre.
Per parlare con Dio non c’era bisogno di recarsi sempre in chiesa. Anche da casa si poteva parlare con Dio. Che bisogno c’era di andare in chiesa? Era importante andarvi a Natale e Pasqua. E infatti a quelle messe non mancava mai. Alle altre si poteva andare o non andare.
Come diceva Guareschi, anche lei non era una „stakanovista dell‘acquasantiera“.

Aveva cominciato a leggere i libri di Guareschi dopo aver visto in TV i film con Fernandel e Gino Cervi. La serie su Don Camillo e Peppone.
Aveva ritrovato il gusto della lettura. Dopo che si era sposata aveva smesso di leggere come invece faceva da ragazza quando leggeva la Invernizio.
Aveva solo letto le storie fotoromanzate di Bolero e Grand Hotel, quando andava dalla parrucchiera o era capitata in centro di Montelupo e ne aveva comprata una copia da Oletta, la giornalaia.
Ma libri veri e propri no, non ne aveva più letti. E le dispiaceva, ma non le riusciva di trovare un altro autore o autrice che la interessasse come la Invernizio da giovane.
A pensarci ora pareva quasi di gusto macabro che durante la guerra avesse letto La sepolta viva della Invernizio mentre era nel rifugio sotterraneo e sopra la sua testa scoppiavano bombe che facevano tremare la terra. Mentre gli altri con facce atterrite pregavano o tremavano di paura, lei imperterrita leggeva quel romanzo che la estraniava da tutto quello che avveniva attorno e sopra.
Quattro anni prima aveva visto al cinema Don Camillo monsignore... ma non troppo. E settembre dell'anno in corso era uscito Il compagno Don Camillo, che aveva visto a un cinema di Montelupo, ma non le era piaciuto come l’altro. La Russia non la ispirava.
Aveva divorato tutti i libri di Guareschi. Le piaceva il mondo rurale, il piccolo mondo della Bassa, della Pianura Padana, che Guareschi descriveva e che era il mondo a cui lei apparteneva e da cui veniva. Un mondo fatto di uomini schietti, veri e senza peli sulla lingua.
Quei libri era come le restituissero identità. L’identità che a stare con Silvano aveva perduto. Il mondo della politica a lei appariva come un mondo liquido, in cui tutto poteva essere e non essere. In cui le idee di oggi non valgono più domani.

E difatti a Silvano non piaceva che lei leggesse quei libri.

- Ma perché leggi queste porcherie?
- Non sono porcherie. Faresti bene a leggerli anche tu che non leggi mai un libro. Parli tanto di politica ma non leggi mai. Vorrei sapere che gli racconti a questi socialisti?
- Te non ti preoccupare. So io che raccontargli. Non me lo devi certo dire te!

In fondo l’Italia era questa. Un paese di tanti Don Camillo e Pepponi, che litigavano dalla mattina alla sera e poi convivevano insieme più o meno felici e nostante tutto. Ché, ognuno, era pronto a difendere il proprio spazio dall’invadenza altrui, difesa che cessava subito non appena un accordo di convivenza si manifestava. Un paese l’Italia di eterni Guelfi e Ghibelli, di Bianchi e Neri, di partigiani e repubblichini, di comunisti e democristiani...che non cambiava e non cambia.
Muore magari ma poi rinasce, più polemica di prima ma difficile dire se più civile di prima questa nostra Italia.

All’epoca a Montelupo esistevano tre cinema. Due si trovavano in via Baccio da Montelupo, quella che da Corso Giuseppe Garibaldi sale su al castello. Il primo locato subito all’inizio della salita era il cinema teatro Risorti, dopo una trentina di metri si trovava un altro cinema più moderno nello stile, il cinema Mignon, che era il cinema della parrocchia ed era adiacente alla chiesa.
L’altro cinema, il terzo, era situato all’angolo fra Corso Giuseppe Garibaldi e via Nuova ed era il cinema Canneri. La vera competizione fra cinema a Montelupo avveniva fra il Canneri e il Risorti, che si combattevano a colpi di ultime uscite e di film più commerciali. Al Mignon non andava quasi mai nessuno, un po’ a causa della programmazione, tutti film vecchi e poco interessanti, un po’ per il fatto che Montelupo era un comune rosso, retto da comunisti, per cui la maggioranza della popolazione evitava la parte cattolica e democristiana del paese.
In estate i tre cinema chiudevano e se ne aprivano due all’aperto, uno in un grande giardino all’interno della cinta muraria antica di via Giro delle Mura e un altro nella pista da ballo di un bar all’aperto, il Gallerini, nel Viale Umberto I che in estate diventava un luogo di passeggio e ritrovo dopo cena, soprattuto nei fine settimana.
Sabatina era andata qualche volta in estate al cinema dal Gallerini, prima con Lidia ma dopo che aveva rotto con lei aveva portato con sé Fabrizio. L’ultimo film però che avevano visto insieme era stato un disastro. Era un film su Ercole. Durante una scena in cui Ercole scocca una freccia con l’arco Fabrizio si era impaurito e senza ragione (la scena in sé non aveva nulla di violento) aveva cominciato a piangere e urlare. Aveva dovuto abbandonare il film perché Fabrizo urlava e piangeva che pareva impazzito.
Fu un trauma. Un trauma che si portò dietro per anni per lo meno fino a dodici anni, che rappresentò lo spartiacque fra il mondo felice e quello infelice in cui entrò e non ne uscì più, fu il divisorio fra la certezza nell’esistenza di Dio che Sabatina gli aveva inculcato e i dubbi che lo perseguitarono fino a cinquanta anni quando perse la fede per sempre.

- Un santo! Un santo! Bisogna farlo prete, assolutamente. Ha imparato tutte le preghiere in latino. Le ha imparate subito e le sa tutte a memoria - disse la madre superiora a Sabatina quando andò a riprendere Fabrizio al termine del ritiro spirituale in preparazione alla comunione - Dovete darci il permesso di mandarlo in seminario. Parlerò io con il rettore, lo accetteranno subito.

Sabatina fu sorpresa. Non conosceva questo lato di Fabrizio. Per lei era sempre stato un ragazzo ribelle che mal tollerava le imposizioni. Tante volte lo aveva preso a scapaccioni perché non dava retta. E ora le parole della madre superiora. Fu comunque lusingata all‘idea di avere un figlio prete. Nella famiglia da cui veniva c‘era sempre stato un forte rispetto per i preti. La loro casa a Setteprati era stata un luogo di passaggio obbligato per tutti i frati da cerca che negli anni a cavallo fra le due guerre animavano la campagna alla ricerca di offerte per i loro conventi. A tutti davano qualcosa, a nessuno di loro negavano aiuto. Soprattutto lo zio Foffo, manifestava il massimo rispetto per i religiosi.
Quindi quel trasporto della religiosa trasportò anche Sabatina e le accese il fervore religioso sopito.
Un figlio prete…Fabrizio prete. Fu un‘idea a cui mai aveva pensato ma che le piacque.

- Devo parlare con suo padre. Ma non sarà facile…lui ha altre idee...

E infatti Sabatina non sbagliava.

- Io, di preti in casa mia non ne voglio! E poi ti immagini te che figura farei nel partito, ad avere un figlio prete. Non se ne parla.
- Ma perché? Lui ha la vocazione, la madre superiora ha visto che lui ha la vocazione. Perché non vuoi?
- Aver uno di quegli infami in casa! I preti sono la razza più infame che esista.
- Tu sei un infame! – rispose Sabatina – Tu i socialisti e i comunisti.
- Che c’entriamo noi con i comunisti? Con Nenni ci siamo distanziati dal comunismo!
- Non mi interessa. Non voglio sapere nulla di Nenni e di tutti voi!

Sabatina non si arrese. Era un Toro testardo, e doveva fare a modo suo.
Così il giorno dopo giocò l’unica carta che aveva. Andò in chiesa. Davanti all’immagine della Madonna accese due ceri. Uno per sua madre, Laura, che intercedesse presso Gesù e una per la Madonna.

- Maria, madre di Gesù, anche tu eri una madre. Capisci bene il mio stato d’animo. Ti prego di aiutarmi. Fa’ che Silvano cambi idea. Ti prego. Fa’ che Fabrizio possa andare in seminario. E io ti sarò per il resto della mia vita riconoscente.

Silvano aveva riempito la casa di crocifissi, immagini di santi e madonne. Sabatina li guardava quasi incredula. Forse era rimbambito. Non trovava altra spiegazione. Uno come lui che aveva sempre odiato i preti, la chiesa. Aveva sempre detto di non credere in Dio.
Aveva cominciato a cambiare dopo la morte di Ida. La notte spesso chiamava sua madre. "Aspettami mammina!" Urlava nel sogno come un bambino.
All'inizio Sabatina aveva avuto paura. Nel cuore della notte quelle urla erano cupe. Intimorenti.
Poi si era abituata. Ma gli urli nel sogno non erano diminuiti, anzi aumentati. "Babbino, mammina aiutatemi!".
Sembrava che quei sogni gli avessero aperto una strada verso il cielo. Mentre a lei si era chiusa. Troppe volte aveva pregato Dio, Gesù, i santi e le madonne...li aveva implorati, si era rivolta a loro in disperazione. Mai l'avevano ascoltata. Non una delle cose che aveva loro chiesta aveva avuto il suo corso.
Ora, ora che viveva su una poltrona quasi inferma il suo cuore si era indurito. Li malediva, li bestemmiava. Ora non sperava più in nulla. E sorrideva di commiserazione a vedere Silvano entrare in un mondo da cui lei era uscita.

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