Un’ altra cosa che la distrasse dall’indagare sul cambiamento di Silvano, fu che finalmente Sabatina cominciò a lavorare, a rendersi indipendente da Silvano.
Nella nuova casa, la moglie del padrone, Rosina, fasciava i fiaschetti in paglia.
Fu così che anche Sabatina volle provare.
Un lavoro umile, massacrante, ma per chi veniva dalle vigne, dal lavoro nei campi, da Villambosco, un acquitrino in inverno, una savana in estate, fasciare i fiaschetti rappresentava la liberazione dalla schiavitù, la possibilità di riscattarsi da una condizione di eterna dipendenza: prima il padre, poi la vita in casa con lo zio, poi con Ida ma finalmente ora l’Italia che cominciava a progredire offriva lavoro un po’ a tutti. Anche a Sabatina.
La ditta Piccini dell’ Ambrogiana, un paese vicino (o meglio una frazione di ) Montelupo gestiva un lavoro a domicilio di impagliatura dei fiaschi (“fiaschetti” come venivano chiamati all’ epoca) che distribuivano a una filiera di donne esterne alla ditta, che lavoravano a cottimo. Niente assicurazione, niente tasse da pagare. Lavoravi venivi pagato per quello che producevi. Producevi tanto guadagnavi tanto.
Sabatina all’inizio amava quel lavoro che le dava la possibilità di guadagnare, di avere dei suoi soldi da spendere, senza chiederli a Silvano, di poter comprare cose per la casa e vestiti per i bambini. Era la prima volta in vita sua e questo fatto la rese orgogliosa e più sicura di se stessa.
Una dei tratti fondanti della vita di Sabatina fu tuttavia di crearsi in tutte le fasi della sua vita una opponente, una rivale, una nemica (talora) su cui riversare tutti i dolori della sua sua infelicità, del suo negativismo, delle sue incapacità. E Rosina divenne naturalmente il centro del suo dissenso, del bisogno di entrare in disaccordo di quando, al solito, era incapace di competere allo stesso livello.
Dapprimo cercò di misurarsi con Rosina nel numero di fiaschi fasciati per giorno. Ma Rosina aveva un ritmo per sabatina insostenibile. Rosina rasentava quasi una folle meccanica nel lavoro, Sabatina era più pacioccona, più calma, non nevrotica, non schizzata come Rosina.E quando capì di non poter reggere il passo di Rosina questa presa di coscienza creò una prima frattura fra lei e il lavoro.
Un altro elemento di disamore fra lei e la nuova libertà procurata dall’arte di impagliare i fiaschi furono i profondi tagli che le procurava la “raffia” - come veniva chiamata in gergo la paglia che si usava per rivestire i fiaschi – che di frequente erano dolorosi e difficili da risarcire.
Il sonno, il sonno del dopo pranzo e del dopo cena, che la addormentava come congelata sulla seggiolina con il fiasco fra le gambe e l’ago in mano fu un altro elemento di disturbo.
E infine che fosse presa in giro da Rino, il titolare della ditta, che portava a domicilio i fiaschi e la paglia costituì il trauma finale. Rino non mancava mai di sottilineare che Rosina aveva fatto dei numeri che Sabatina non poteva in nessun modo sostenere.
- Ce ne fossero di Rosine! – ripeteva in presenza di entrambe, facendo diventare verde di rabbia Sabatina.
Sabatina non rispondeva. Taceva. Soffriva. Ma non rispondeva.
- Mi è mancata la parola – avrebbe poi detto a Silvano. La stessa frase che in fondo gli aveva ripetuto anche prima, a Villambosco, quando aveva mancato di rispondere a Ida. La stessa frase che avrebbe ripetuto per tutta la vita, in tutte le infinite volte che le era mancata la parola.
Un’ altra persona avrebbe forse cercato un altro lavoro. Molte donne andavano a lavorare in fabbrica, come la sua amica Lidia di Montelupo, che aveva conosciuto frequentando “La Siria” un negozio di casalinghi di via della Chiesa a Montelupo.
Erano così divenute amiche che Lidia veniva spesso a trovarla e rimaneva a pranzo e qualche volta a cena. Lidia lavorava in una fabbrica di terracotte di Montelupo e viveva sola con la madre in una casa vicino alla piazza del mercato di Montelupo.
- Ma perché non ti sposi Lidia – le aveva chiesto innumerevoli volte Sabatina.
- Io marito non lo voglio. A me piace far girare la stesta agli uomini. Ma averne uno per la casa tutto il giorno mi manderebbe via di cervello.
- Boh! Non so che dirti. Io non immaginarmi di andare con un altro uomo. Ho solo avuto mio marito. Mi basta lui. Con un altro uomo mi vergognerei anche a spoglairmi davanti a lui.
- Ma che vuoi che sia Sabatina, quando l’hai fatto una volta che vuoi che sia a farlo un’altra volta.
Ma a parte queste stranezze del carattere di Lidia, era felice Sabatina di aver trovato un’ amica così, da potersi incontrare parlare, andare al mercato insieme il sabato mattina e al cinema qualche volta con lei e i bambini.
- Perché non vieni in fabbrica con noi a lavorare? Cercano donne giovani. Se glielo dico io al padrone ti prende. Lui fa quello che gli dico io! – e rideva Lidia.
- Ma come faccio? Ho due bambini piccoli. Il marito. Come faccio?
- Ai bambini ci penseranno i nonni. Silvano va via la mattina e torna la sera. Che problema c’è?
- Prima di dare i bambini a Ida, a quel demonio di donna, rimango a fare i fiaschetti!
- Sabatina, qualche volta proprio non ti capisco – le rispondeva alla fine Lidia.
- Non ti preoccupare. Lavorerò duro. Glierlo farò vedere a Rino chi è Sabatina. Se crede di farmi paura non mi conosce.
Questo era il tono dei suoi discorsi con Lidia. Lidia sapeva come parlare a Sabatina. Le lanciava un’ offetta, le faceva una critica, e poi lasciava sfogare.
Sabatina aveva infatti bisogno di questo: persone con cui sfogarsi, confidarsi, dar loro il proprio cuore. E credere nelle persone, credere che loro vogliano solo il tuo bene. Che ti siano amiche. Che il bene esista. Che non esista solo il male. Che non tutte le donne sono come Ida.
- Oh Sabatina, domani viene Rino. Li ha i finiti i fiaschetti?
“Ora che vuole questa?” pensò Sabatina, quando Rosina le rivolse la parola. Era andata a dar da mangiare alle galline nel pollaio dietro casa e mentre ritornava in casa per finire di rigovernare, davanti al garage, incontrò Rosina.
- Sì, quasi. Me ne manca pochi. Ma per l’ ora di cena dovrei avercela fatta.
- Ma Silvano è tornasto a pranzo oggi?
Sabatina storse gli occhi. “Che domanda strana” pensò.
- Rosina, ma lo sai che Silvano non torna mai a pranzo. Fino all’ ora di cena non si vede. Ora lavora a Firenze. Va via la mattina e torna la sera. Non capisco perché me lo chiedi.
- Ma mi era parso di vederlo oggi.
- Ti è parso di vederlo? Dove? A casa non è venuto. E’ andato via stamani alle otto. Mi ha detto che tornava all’ ora di cena.
- Vuol dire che mi sono sbagliata allora. Mi sembrava la macchina di tu marito. A Montelupo m’ è passata davanti una macchinina come quella di tu marito. Erano un uomo e una donna. Ma allora non era lui. Mi son sbagliata.
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