A novantaquattro anni Silvano cercava solo di resistere. Di forzare il fisico a fare quello che non poteva più fare e la mente di conseguenza aveva difficoltà a stare al passo della volontà. Sabatina era confinata ad una sedia a rotelle. Camminava poco e a malapena. Era troppo grassa. Tante volte glielo aveva detto che doveva dimagrire.
— Io grassa? Ho solo lo stomaco gonfio — rispondeva. Lei non si vedeva grassa. Tutt’altro.
In quella nebbia di vecchiaia che gli avvolgeva il cervello (pressione alta, prostata, vene varricose, medicine in quantità industriale) cercava di trovare la strada. Di riorganizzare la sua visione che sentiva spengersi.
Aveva capito che se si spengeva quella visione avrebbe perso contatto con il resto del mondo. Era l’ultimo legame fra lui e il mondo fuori, quella visione. E aveva lottato negli ultimi anni per mantenerla.
Fino al crollo di Craxi era stato un leone. Un cavallo da battaglia, una bestia. Uno che non mollava mai. Che tornava da Roma la notte a mezzanotte e alle quattro del mattino si alzava per andare alla stazione e riprendere il treno per ritornare a Roma, solo per risparmiare sulla diaria che gli dava il partito.
Quando crollò il PSI, capì che era arrivato alla fine anche lui. Che finito Craxi sarebbe finito anche il suo lavoro, che il partito per cui aveva lottato e dato la vita non ci sarebbe stato più, che tutti quelli che sarebbero venuti dopo non sarebbero stati che nomi, aggiustamenti per ritardare una fine che non poteva essere ritardata ancora. La fine era stata decisa molto prima della fine.
Quel giorno per Silvano fu un altro 8 settembre, un giorno in cui l’Italia di nuovo morí. Morì infatti la Prima Repubblica. E la Seconda non fu certo meglio. Se nella Prima era ancora l’Italia degli Italiani, nella Seconda vi era di tutto. Nella Seconda si profilava l’incubo di fare la fine del Messico.
E poi arrivò la terza Repubblica quella più devastante, quella di Monti, Renzi e del PD. Quella dei burocrati di Bruxelles sordi a ogni voce dei popoli di Europa, la Bruxelles delle banche, dell’immigrazione di massa.
Dopo mesi di completo scoramento, di speranza in un riscatto di Craxi da Hammamet dove si era rifugiato per evitare l’arresto, una fuga concordata con la magistratura in realtà, avvertí la perdita della visione che fino ad allora l’aveva sempre guidato.
Si avvide che se avesse perso la capacità di visualizzare la direzione avrebbe cozzato contro quel giuramento fatto a se stesso il giorno che Rocco lo lasciò sotto la stazione di Firenze, l’11 settembre 1943.
Rocco aveva parlato una sola lingua. Quella dell’onore. Che altra lingua avrebbe potuto parlare uno cha ancora si ostinava a combattere con la Decima Mas di Junio Valerio Borghese? Nonostante il crollo del Regno d’Italia, del fascismo e della dissoluzione del Regio Esercito d’ Italia.
— Io grassa? Ho solo lo stomaco gonfio — rispondeva. Lei non si vedeva grassa. Tutt’altro.
In quella nebbia di vecchiaia che gli avvolgeva il cervello (pressione alta, prostata, vene varricose, medicine in quantità industriale) cercava di trovare la strada. Di riorganizzare la sua visione che sentiva spengersi.
Aveva capito che se si spengeva quella visione avrebbe perso contatto con il resto del mondo. Era l’ultimo legame fra lui e il mondo fuori, quella visione. E aveva lottato negli ultimi anni per mantenerla.
Fino al crollo di Craxi era stato un leone. Un cavallo da battaglia, una bestia. Uno che non mollava mai. Che tornava da Roma la notte a mezzanotte e alle quattro del mattino si alzava per andare alla stazione e riprendere il treno per ritornare a Roma, solo per risparmiare sulla diaria che gli dava il partito.
Quando crollò il PSI, capì che era arrivato alla fine anche lui. Che finito Craxi sarebbe finito anche il suo lavoro, che il partito per cui aveva lottato e dato la vita non ci sarebbe stato più, che tutti quelli che sarebbero venuti dopo non sarebbero stati che nomi, aggiustamenti per ritardare una fine che non poteva essere ritardata ancora. La fine era stata decisa molto prima della fine.
Quel giorno per Silvano fu un altro 8 settembre, un giorno in cui l’Italia di nuovo morí. Morì infatti la Prima Repubblica. E la Seconda non fu certo meglio. Se nella Prima era ancora l’Italia degli Italiani, nella Seconda vi era di tutto. Nella Seconda si profilava l’incubo di fare la fine del Messico.
E poi arrivò la terza Repubblica quella più devastante, quella di Monti, Renzi e del PD. Quella dei burocrati di Bruxelles sordi a ogni voce dei popoli di Europa, la Bruxelles delle banche, dell’immigrazione di massa.
Dopo mesi di completo scoramento, di speranza in un riscatto di Craxi da Hammamet dove si era rifugiato per evitare l’arresto, una fuga concordata con la magistratura in realtà, avvertí la perdita della visione che fino ad allora l’aveva sempre guidato.
Si avvide che se avesse perso la capacità di visualizzare la direzione avrebbe cozzato contro quel giuramento fatto a se stesso il giorno che Rocco lo lasciò sotto la stazione di Firenze, l’11 settembre 1943.
Rocco aveva parlato una sola lingua. Quella dell’onore. Che altra lingua avrebbe potuto parlare uno cha ancora si ostinava a combattere con la Decima Mas di Junio Valerio Borghese? Nonostante il crollo del Regno d’Italia, del fascismo e della dissoluzione del Regio Esercito d’ Italia.
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