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"Storia di Pelo - il ragazzo che vinse la Milano-Sanremo"



Da oggi, dopo la riproposta di "Marco Pantani - la distruzione di un mito" che un ottimo successo ha incontrato, vogliamo ripresentare il nostro primo racconto sul ciclismo. "Storia di Pelo - il ragazzo che vinse la Milano - Sanremo". Breve racconto che fu inserito nel 2003 nel "Dizionario del ciclismo italiano", pubblicato dalla Bradipo libri e poi è stato ripubblicato su molti siti online, ultimo quello dello scomparso amico Matteo Patrone: Il Politico.
E che siti come Avanguardia Nazionale ha largamente ripreso per parlare di Pietro Chesi.
In toni da favola ripropone la vera storia di Pietro Chesi, che mia madre - nata dalle parti dove era nato e vissuto Pietro Chesi - mi raccontava in termini altrettanto favolistici.
Ma chi Era Pietro Chesi?

E' un eroe degli anni del ciclismo eroico, delle strade polverose e bianche, degli omini neri e sudici che con le loro gesta infiammavano gli animi degli italiani, della strade piene di fango in cui s' impantanavano quegli eroi dai neri biciclettoni con le ruote piene, che nasce la favola di un Carneade che sconosciuto a tutti beffa i campioni di allora rifilandogli un bello schiaffo, vincendo nientedimeno che la XX Milano - Sanremo del 1927.
Quel Carneade fu Pietro Chesi da Gambassi, in provincia di Firenze. Terra povera. Come povero era Pietro. Povero il babbo, boscaiolo di quella contrada toscana.
Pietro Chesi, classe 1902, che in quelle zone tutti conoscevano come Pelo, e che probabilmente fu un soprannome tramandato dal bisnonno al nonno e dal nonno al padre quasi appartenesse geneticamente alla famiglia, a giudicare dalle foto d'epoca ci appare non un gigante. Ma soprattutto sudicio, perché correva senza parafango. Quasi nero. Tanto che qualcuno, forse un giornalista di imperiali sentimenti, chiamò all'epoca "Il campione della Tripolitania".
A vederlo, nelle foto, sul biclettone non sembra certo l'airone Coppi dalle gambe lunghe e affusolate ma un modesto torello di quelli alla Vito Taccone o alla Vladimiro Panizza. Grandi polmoni e tutto muscoli. Dove la bicletta sembra più uno strumento da onesto lavoratore del pedale che prolungata estensione del corpo del grande campione con cui dialoga e sui cui danza.
Se Coppi aveva lo sterno carenato da leggero airone, Pelo (perché a Gambassi tutti lo conoscevano così, il Chesi) aveva un bel facciotto da torello di razza. Grande forza nelle gambe da far scoppiare i pedali. A ventidueanni vinse la sua prima corsa a Montignoso per la festa del patrono, con una bicletta normale. Tre anni dopo avrebbe vinto la Milano - Sanremo con una vera bicicletta da corsa.
Già da giovane, correndo per l'U.S. Castelfiorentino, si era messo in luce per essere un coraggioso, e uno scriteriato alla Gerbi: il famoso " Diavolo Rosso" , che si dice sia stato il primo, nella storia del ciclismo, a depilarsi.
Il torello da vero toscanaccio non scherzava né quando si allenava né quando era a tavola.
La diceria popolare racconta che per allenarsi sulle salite intorno a Gambassi mettesse il babbo dentro un corbellaccio da boscaiolo e caricatoselo in spalla inforcava il biciclettone e via su e giù per quei micidiali saliscendi che in Toscana chiamano "mangia e bevi".
E quando il babbo non poteva allora Pelo riempiva il corbellone di mazzi di bocce da pallaio, se lo metteva sul groppone e partiva per andare a noleggiarle alle fiere in Era o nei pressi di Volterra.
Quanto al mangiare Pelo era noto per la sua voracità da pescegatto. Dopo ogni vittoria quando gli si portava il mazzo di fiori rispondeva sempre poco garbatamente: "I fiori non si mangiano. Datemi piuttosto un piatto di pastasciutta!". Una volta, si dice, che per la festa di San Sebastiano il 20 di gennaio, giorno del Patrono di Gambassi, avesse divorato un'intera testa lessa di vitello.
Piemontesi, che si trovò a militare per un certo tempo con Pelo dopo che questi ebbe vinto la Milano-San Remo, racconta che il torello tutto muscoli e poca testa a tavola era altrettanto torello. Usava, dice sempre Piemontesi, riempirsi il piatto di tutti gli avanzi di tavola dei compagni e condirli con del buon olio d'oliva e sale e pepe e berci poi sopra un bel litro di Chianti.
La vittoria della Milano San Remo del '27 fu il capolavoro della sua vita. E se non fosse stato per questa sua vittoria alla maniera dei forti chi si sarebbe oggi ricordato del modesto torello di Gambassi?
Partiti in più di cento da Milano. Assenti Belloni, e Girardengo per via di certi dolori dovuti alla frattura del polso sinistro, si parte sotto un cielo plumbeo. L'andatura è subito di quella da stroncar le gambe. Prima di Tortona evadono Pelo, Porzio e un certo Tacchini, e pigliano subito un bel vantaggio. Sul Turchino Pelo attacca da campione di razza, dimenticando di essere solo un torello, e scollina con nientedimeno di diciotto minuti di vantaggio su un gruppetto che comprende i migliori: Suter, Binda, Piccin, Negrini, Piemontesi, Picchiottino, Battista, Giuntelli, Manthey e Brunero. Il gruppo è dietro allungato. In Riviera alle spalle dell'airone-torello Pelo si è formato un gruppetto di una ventina di unità. Ad Arenzano gli hanno rosicchiato un minuto. A Savona tre. Il gruppo più indietro è colto dalla sindrome del tira e molla e non riesce a riorganizzarsi per andar a riprendere i fuggiaschi.
Il torello ora vola come avrebbe volato l'airone Coppi con le sue cosce affusolate e il lungo collo dondolante. Pelo dondola invece le spalle e incassa il collo a mo' di tartaruga. Ma tiene. I maligni dicono che sarebbe stato aiutato da qualche macchina compiacente. Ma questa è la storia di Pelo. I maligni non fanno parte della sua storia.
Tutti ormai si aspettano il crollo di Pelo. Ma Pelo tiene. Ad Oneglia ha ancora 12 minuti di vantaggio.
Binda e Piemontesi partono troppo tardi alla caccia del fuggitivo torello. E con oltre duecentoquindici chilometri di fuga alle spalle, in 9 ore e 43 minuti alla media non indifferente di 29,485 l'eroico campione della Tripolitania nonché milite della I Legione della Milizia Ciclista, taglia il traguardo di San Remo.
La vittoria gli frutterà un gruzzolo di 13 mila lire! Quasi un regalo di nozze per sé e sua moglie che aveva sposato il 21 febbraio di quello stesso anno.
Binda e Piemontesi a nove minuti. Bresciani regola un gruppo che comprende il veterano Suter, Brunero, Picchiettino, Pancera, Gay e altri, a dodici minuti.
Partiti in 111 termineranno la corsa in 69.

Qualcuno racconta che all'arrivo Binda gli sia corso incontro e gli abbia gridato: "Scrivila questa vittoria. E' la prima e l'ultima: tu dovresti avere il mio cervello e io le tue gambe!"
E quella frase quasi predisse la fine di Pelo. Si piazzerà sesto alla XXI Sanremo del 1928 e decimo nel Giro d' Italia del 1928 .
Poi il torello Pelo si tramuta in cigno ed emette il suo ultimo triste canto che culminerà nel 1944 quando fu ucciso per mano degli antifascisti, che lo giudicarono colpevole di pratiche delatorie e collaborazionismo.

In memoriam di Pietro Chesi in primo luogo continuiamo a riproporre questo testo.

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