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Parassiti (nona parte) - Il predicatore


Foto via Secolo D'Italia


Il capitano Petacchi era un assiduo ascoltatore di RT International. Gli offriva un punto di vista alternativo all’opinione mainstream, alla solita vulgata manipolata dai soliti media. Era stanco della comune ciarla messa in giro a senso univoco. La TV di Putin, per sue proprie ragioni ovviamente, gli apriva uno sguardo diverso rispetto ai media controllati dagli americani e dagli inglesi.
Fu durante una pausa caffè che si sintonizzò, com’era solito fare, tramite il suo android su RT International in lingua spagnola.
Per puro caso era in atto un’intervista a un responsabile della comunità musulmana della Spagna, dopo il recente attentato di Barcelona.
Ascoltò l’intervista.
Devo parlare con questo predicatore. Mi aiuterà a capire meglio.
Pensò che la visita in Spagna non sarebbe stata molto gradita ai suoi superiori. Ormai il senso di diffidenza si era connaturato al suo operare.
Avrebbe preso alcuni giorni di vacanza.
Quando ancora si addestrava a far parte del GIS, aveva stretto amicizia con Eduardo López – Arena che era venuto a Livorno per un corso di addestramento.
Ora Eduardo era divenuto Comisario de Los Mossos de Escuadra.
Pensò che lui avrebbe potuto aiutare a rintracciare il predicatore. Preferì chiamare direttamente dal suo cellulare, che sperò non fosse controllato. Quelli dell’Aise ormai controllavano tutti quelli che si occupavano di controterrorismo da dopo che a capo dell’Aise era stato il capitano dei carabinieri Paskutine ed era venuto fuori lo scandalo delle indagini svolte per conto della procura della repubblica di Napoli all’insaputa dei colleghi dell’Aise. Quelli dell’Aise dopo aver fatto fuori il capitano Paskutine e averlo rispedito al proprio reparto con i rispettivi collaboratori non si si fidavano più dei carabinieri e a loro volta li controllavano o rifiutavano di passargli informazioni nel migliore dei casi.

Cercò il numero nella rubrica dell’Android e chiamò.
In quel momento in un bagno di un caffè di Barcelona un telefonò squillò.
Eduardo López – Arena, si era fermato in quel caffè spinto da un impellente bisogno corporale mentre percorreva la strada per recarsi al lavoro. Soffriva di colite acuta a causa, probabilmente, del suo lavoro.

- ¡Vete a la mierda! 

Il telefono aveva interrotto l’espletamento della funzione corporale in modo troppo brusco, concentrato com’era. Eduardo era quasi sobbalzato sulla tazza del water.
Quando vide il nome di chi lo chiamava il suo disappunto si tramutò in sorpresa.

- El cabrón del capitano Petacchi?
- Sì sono proprio io vecchio mio. Come ti va?
- Bene…anche se mi hai preso in un momento un po’ particolare… - disse sorridendo sarcasticamente mentre cercava di soffocare certi rumori
- Mi dispiace
- Non ti preoccupare…ma a che devo la tua chiamata? E’ da qualche anno che non ci sentiamo
- Mi dovresti fare un favore
- Ci puoi contare
- Mi dovresti rintracciare un certo Said Ahmed Zaid. Una specie di imam, un predicatore, responsabile della rappresentanza musulmana in Spagna
- Sospettato di terrorismo?
- No…anzi…l’ho sentito in internet. Ho bisogno di parlarci quanto prima, devo capire…

Il giorno dopo dopo era già a El- Prat, l'aeroporto di Barcellona, verso le due del pomeriggio.
Mentre con un taxi si faceva portare in Carrer de Bolivia sede de los Mossos dove lavorava Eduardo ricevette una sua chiamata.

- Vecchio mio ti ricordi Livorno?
- Sì
- Allora sai dove ti aspetto

Capì che Eduardo doveva essersi accorto che li stavano intercettando. Sapeva dove lo aspettava. A Livorno gli aveva sempre parlato del Cafè Viena. Sapeva che Eduardo in caso di incontri anonimi associava la parola Livorno a Cafè Viena, La Rambla, 115. Non lo aveva dimenticato
Disse al tassista di cambiare direzione e dirigersi verso la Rambla.

- Qui c’è sempre tanta gente e tanto rumore – gli disse Eduardo avvicinandosi all’orecchio di Petacchi per essere inteso – in ogni caso avranno difficoltà. Ho il contatto – e gli passò un bigliettino muovendo la tazza del caffè verso di lui. Ti aspetta fra due ore.

Di nuovo risalì in taxi e si fece portare nel luogo dell’appuntamento.
Sulla targhetta della porta di un palazzo del centro era semplicemente scritto Said. Suonò.
La porta si aprì. Salì al quarto piano come d’accordo. La porta era semichiusa. Entrò.
Si ritrovò davanti un giovane di più o meno trenta anni. Quello che aveva visto su RT.

- Si accomodi – disse il predicatore indicandogli una sedia senza perdere tempo in convenevoli
- Si è sorpreso di questo attentato? – iniziò Petacchi a sua volta desideroso di arrivare al punto
- Purtroppo azioni simili ormai non sorprendono più. Abbiamo vissuto le stesse azioni a Parigi, Bruxelles, Londra, Barcellona…Turchia, Egitto, Iraq…noi come comunità musulmana soffriamo doppiamente perché oltre alla tragedia umana delle morti e dei feriti veniamo colpevolizzati dai media e dalla popolazione in quanto musulmani e dobbiamo giustificarci, dobbiamo chiarire che non sosteniamo questa forma di terrorismo che non ci rappresenta ma alla fine questi sono sempre giovani della nostra razza, terra, comunità che per il loro fanatismo, la loro radicalizzazione e per la loro ignoranza religiosa son arrivati a commettere questi atti di terrorismo
- Ma com’è possibile che nelle prigioni e nelle moschee si muovano supposti imam che radicalizzano i giovani fino a fargli commettere atti simili?
- Capitano, non posso negare…ma bisogna capire se questi radicalizzatori o ideologhi siano da definire imam…questo è il punto. Gli imam…esiste un vuoto legale, almeno in Spagna, per qualificare l’imam per questo esistono figure intruse che mancano di formazione, di titolo, di certificazione…non vi è un sistema che regola l’aspetto degli imam per cui non si può controllare che persone siano queste che si definiscono imam ma che in realtà sono divulgatori di un radicalismo che non appartiene all’islam e in virtù di ciò non hanno accesso alla comunità e alla moschea…il problema sta fuori. Fuori ci sono queste figure che senza accedere direttamente alla nostra comunità hanno accesso però ad altri mezzi ben più potenti per esercitare la loro retorica religiosa basata sull’odio, sul fanatismo, su una lettura manipolata della religione per a loro volta manipolare, sedurre o captare giovani mentalmente o socialmente vulnerabili
- Non capisco bene…chi elegge, chi sceglie gli imam?
- La propria comunità…le moschee sono organizzate in modo che ciascuna comunità musulmana crea una comunità religiosa e che questa comunità religiosa deve essere registrata nel registro delle entità religiose presso il ministero di giustizia…ciascuna comunità crea una giunta elettiva e questa giunta elettiva contatta una persona che viene riconosciuta come imam e viene pagato con l’aiuto finanziario della comunità stessa…non vi è alcun tipo di finanziamento esterno…a cui spesso si accenna sui giornali….il problema è come dicevo prima fuori della moschee, fuori delle comunità, non vi è controllo esercitato sui presunti imam che hanno accesso a mezzi mediatici a cui noi non abbiamo in alcun modo accesso…
- Ma com’è possibile che si possa radicalizzare qualcuno così velocemente?
- Non è sempre così. In molti casi è stato un processo lungo…nel caso di Barcellona poco più di un anno…sorprende anche me…ma onestamente non so se sia un processo di radicalizzazione o di modelli culturali che erano già presenti nella testa di questi che hanno attuato l’attentato. Cultura della morte, cultura del fanatismo…che gira in internet….
- Ma mi spieghi…mi dica come si spiega che tutti questi foreign fighters, terroristi, sono di estrazione europea?
- Come le dicevo prima, non è un fattore religioso o perlomeno non è solamente un fattore religioso che porta alla radicalizzazione…a mio avviso è una ricerca di identità. Questi giovani mettono in dubbio l’identità dei padri, ne contestano le radici…la loro identità non è l’identità dei padri e neppure è l’identità del paese europeo dove sono cresciuti e vivono perché il paese che li ospita lo sentono ostile, nemico. La loro identità non esiste…per questo sono facile preda di chi sa offrirgli una identità… piuttosto bisogna interrogarsi sui grandi mezzi mediatici a disposizione di questi conferitori di identità, di questi supposti imam, bisogna interrogarsi sulla grande disponibilità di mezzi economici che hanno chi costruisce queste potentissime reti di radicalizzazione…che dai media occidentali ufficiali vengono spacciate, manipolate come espressione del vero Islam. Oltre alla radicalizzazione di non-identitari è contemporaneamente in atto una disinformazione sul vero Islam. Capitano…gli stessi poteri che creano queste reti sono quelli che creano la disinformazione mainstream. Mirano a creare odio verso i musulmani, islamofobia, a rendere il mondo occidentale ostile ai musulmani e questo non può che favorire questo tipo di radicalizzazione. Mi capisce? Ma lo sa Lei che in realtà la maggioranza delle vittime del terrorismo “musulmano” sono proprio i musulmani? In Siria i “musulmani” uccidono musulmani, in Iraq i “musulmani” uccidono musulmani e così in molti altri luoghi del mondo…ma chi compie queste mattanze? E’ vero che chi compie queste mattanze sono di estrazione musulmana, è vero che professano retoriche ideologiche musulmane ma sono in realtà provenienti da paesi europei: sono inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi…è l’Europa il serbatoio dei cosiddetti combattenti musulmani. E’ l’Europa in ultima analisi che esporta pretesi musulmani che uccidono musulmani…
- Come dovremmo allora definire questo terrorismo, secondo Lei?
- Terrorismo internazionale

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