Foto Antanas Sutkus |
Avevo trovato dunque un cuneo fin dall’inizio che si inseriva perfettamente fra il periodo della Lituania sovietica e quello post sovietico.
Lo spirito di un popolo è fatto dallo spirito della storia (dai fatti che hanno segnato la storia).
Trovai conferma dello spirito lituano nelle parole di una filosofa lituana, Nerija Putinaitė.
Sosteneva infatti che nella realtà sovietica (occupazione sovietica) benché il furto fosse ufficialmente vietato era una pratica quotidiana perché la realtà sovietica indirettamente incoraggiava a farlo, a causa di un numero altissimo di restrizioni tali che impedivano ad una persona di vivere una vita normale. L’istinto a tale pratica prese ad evolversi in generale in strategie relative al su come aggirare la legge, come parlarsi l'un l'altro, come pensare e sentire l’uno rispetto all’altro.
La principale conseguenza di queste strategie portò ad una duplicità della persona lituana che penetrò così in profondità da valere come un secondo capo abbigliamento (espressione di Nerija Putinaitė).
Il non adeguarsi ai costumi e alle regole morali e legali russe fu una specie di anticonformismo (neprisitaikymas) che ha alla fine permeato il modo di distaccarsi dalla realtà sovietica e di ricercare in questo anticonformismo l’essenza stessa della indipendenza lituana.
La gente intese questo come una forma di indipendenza lituana (già nel “mentre” dell’occupazione sovietica). Questo è qualcosa di molto significativo parlando in termini di resistenza (Nerija Putinaitė)
Ero felice per quelle parole che leggevo. Mi aprivano a una nuova realtà che mi era ignota. Le leggevo con difficoltà da una lingua che conoscevo poco. Era un mondo che si apriva e mi dava la gioia di una nuova conoscenza. Mi parlava di strategie che soppiantavano il dolore di chi aveva sulla pelle esperimentato quella realtà e mi estraniavano dall’infelicità dell’aver vissuto in un paese segnato fin dalla sua nascita dal doppiogiochismo e dal voltagabbanismo (Italia).
L’idea della resistenza al regime sovietico mi generò una serie di riflessioni sulle popolazioni (il volgo) del sud Italia che avevano fatto invece una resistenza a viso aperto (brigantaggio) all’arroganza e crudeltà sabauda.
Quella lituana al regime sovietico, di cui parlava la Putinaitė, si basava invece sulla non partecipazione alle regole o alla loro non osservanza. Una resistenza silenziosa la seconda, una resistenza a viso aperto la prima.
Nel libro di Carlo Alianello, L’eredità della priora (1963), una specie di Bibbia del cosiddetto revisionismo storico sull' Unificazione d'Italia vi è un episodio significativo.
Una famiglia meridionale ospita per una notte il generale piemontese Ferdinando Pinelli. Gli offre il pranzo e la cena. Il generale mangia e beve e fa pure il galante con una delle figlie. Al generale viene data la camera migliore.
La notte il generale si alza e si mette a rovistare nei cassetti della camera finché non trova dimenticati in fondo a uno di quelli il ritratto del re borbonico e della regina Sofia.
Non dice niente. Ritorna a letto e dorme tutta la notte sul letto con gli stivali e gli speroni.
La mattina si alza fa convocare la famiglia e li accusa di essere dei traditori.
Il capofamiglia a viso aperto risponde: ‘E perché…re Francisco sta a Gaeta ca cummatte angora…li ammasciatori di tutta l’Europa stanne cu’ isso e no co’ Vittorio. Finché isso è lu re legittime, chi è traditore?”
Il generale Pinelli fece fucilare l’intera famiglia.
La resistenza lituana (almeno quella della vita quotidiana analizzata dalla Putinaitė) si affidava al non dire e al non fare ciò che si chiedeva di fare pur mantenendo una propria integrità.
“Credo che in molte famiglie si attuasse la resistenza, quando per esempio, i padri dicevano che rubare, mentire, dire una cosa e pensarne un’altra era male, e contribuivano a diffondere che era meglio non dire che dire bugie. Credo che tali forme di resistenza in Lituania fossero piuttosto diffuse” (Nerija Putinaitė)
Mentre scrivevo queste riflessioni mi chiedevo se avessero delle proprietà terapeutiche sullo sconforto che era in me a causa dell'aver vissuto la realtà italiana. Una realtà impossibile da afferrare nella sua improprietà logica. Queste riflessioni divenivano allora una specie di letteratura di intrattenimento al mio cospetto.
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