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Sono reali i personaggi di "Rugìle"?



Alle presentazioni del mio romanzo "Rugìle" la domanda più frequente è se i personaggi siano veri, realmente esistiti.
Come dice Proust un livre est le produit d'un autre moi que celui que nous manifestons dans nos habitudes, dans la société, dans nos vices, e con questa citazione potrei aver liquidato la verità sui  personaggi di "Rugìle".
Ma non è così.
Credo che nessuno scriva senza essere ispirato da personaggi reali o fatti reali. Nemmeno i filosofi.
La filosofia Kant in un certo senso vive di "progettualità apriori" interiore, non essendosi Kant mai mosso da Königsberg per tutta la sua vita doveva proiettarsi in qualche modo nel mondo esterno già possedendolo interiormente per cui venisse a mancare in lui il desiderio di percorlo in lungo e largo, essendo il filosofo un sedentario.
In Heidegger d'altronde è difficile separare la sua filosofia dalla visione di fondo nazista che la domina a cui Heidegger aderì più o meno palesamente.
A maggior ragione gli scrittori di romanzi non possono esimersi da questo assioma.
In "Rugìle" i personaggi importanti sono Ipazia, Camilla e Rugìle.


Ipazia non è mai esistita. Si nutre parzialmente di un personaggio reale che aveva anche ispirato "Il sorriso della meretrice" pubblicato precedentemente con David e Matthaus, per il resto è un patchwork di finzione e vari personaggi reali incontrati. Per certi aspetti si avvicina a Rugìle ma se ne differenzia per la mancanza di volontà radicale che domina la drammaticità di Rugìle.

Camilla è invece un personaggio al 90 percento reale. Solo ne sono state estremizzati gli atteggiamenti e esasperati i toni del vivere soprattutto muscolarmente e fisicamente, che già erano intensi nel personaggio vero.

Rugìle è reale al 15 percento. Il restante 85 percento è stato creato ad arte. Al tempo che scrivevo avevo in mente il dramma della Medea di Euripide e volevo creare perciò una Medea moderna. Il gioco del sesso come esemplificazione della forza quantica dell'istinto mi offriva questa possibilità e allora ho forzato i termini della radicalità che forse era già latente nel personaggio reale. Ho inoltre esasperato gli insegnamenti ricevuti in amore dal personaggio reale e li ho portati ad una distanza quasi irreale da quel personaggio.
Dovevo in qualche modo ringraziare il personaggio reale per tutto quello che mi aveva dato. E l'ho fatto con un'iperbole.

Questi personaggi sono stati creati secondo un detto abbastanza tipico di chi scrive: arrivi a un punto in cui il personaggio ti sfugge di mano, non lo controlli più, va oltre le tue intenzioni, segue una vita propria rispetto all'imput che gli hai inferto inizialmente...poi acquisterà una vita autonoma e indipendente e ti obbligherà ad assecondarlo perché ti indicherà la direzione della strada da seguire per lo sviluppo della storia a cui lavori.
Ed è stato in effetti così. Anche questo è un assioma difficile da confutare.


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