Questo brano è preso dal mio testo "A New Normal" che parla della cosiddetta pandemia e dei suoi effetti sulla vita e ha finora coperto l'arco di tempo che va dal 2020 al 2022 (inizio anno). Mi sono al momento arenato perché gli avvenimenti del mondo reale hanno preso uno sviluppo ad una velocità talmente ineguagliabile che mi ha provocato uno stallo nello scrivere questo testo. Nel frattempo ho cominciato a scrivere un nuovo testo "Essere mio padre". Come sempre devo compiere una swerve per poi ritornare al punto di partenza con una nuova visione.
Cresceva forte il bisogno
di una pausa dalla narrativa della follia che ormai riempiva ogni attimo di
vita, ogni minuto di vita. Soffocava.
Ormai si parlava solo di
virus, varianti e vaccini.
Lo coglieva il senso di
vomito ogni volta che apriva Telegram e leggeva. Era pieno di gruppi e canali
privati che parlavano solo di quello. E sempre in termini negativi e
catastrofici, la stragrande maggioranza. Deprimevano e demoralizzavano.
Doveva pensare ad altro,
altro che non fosse quello di cui tutto il mondo parlava da due anni.
Quasi senza accorgesene
ritornò ad uno degli amori
della sua gioventù. La linguistica.
Quasi per caso
prese ad appassionarsi ad uno degli argomenti più complessi e più difficili da
apprendere: le forme participiali in lituano.
Lo avevano fatto penare
costruzioni del tipo
Valgant Karina Štolovski papasakojo,
kad savaitgalį ją aplankysią tėvai.
Quando aveva iniziato a
studiare il lituano aveva imparato che -ą è la desinenza che marca
l’accusativo singolare femminile dei nomi e pronomi, come in ją “lei“, accusativo singolare
femminile, quindi di primo acchito si pensa che aplankysią sia un accusativo
singolare femminile riferito a ją anche data la contiguità all’interno della frase, ma non è così. Aplankysią è un participio
futuro, ed è esattamente il nominativo plurale maschile del participio futuro che
termina in – ą e quindi si accorda con tevai, genitori, maschile
plurale..
Per cui la traduzione diveniva
la seguente
Mentre mangiava (valgant)
Karina Štolovski disse (papasakojo) che durante il fine
settimana (savaitgalį) i genitori (tevai) l‘ (ją) avrebbero
visitata (aplankysią).
Roba da spaccare la
testa. Ma lui la trovava affascinante.
Si immerse allora in
studi specialistici sul participio lituano e non contento anche sui verbi
causativi in lituano. Ovviamente dal lituano al sanscrito, due lingue, impressionantemente
uguali, il salto è presto fatto. Aveva studiato il sanscrito e il tamil
all‘università a Pisa, a quello che allora si chiamava “Istituto di
Glottologia“. Entrambe le lingue le aveva poi dimenticate, per un semplice
motivo, a parte la letteratura vedica che trovava interessante, ma solo gli
inni cosmogonici a dire il vero, la letteratura e la filosofia indiana le aveva
trovate noiosissime, come pure la letteratura tamil, che era alla fine una
scopiazzatura di quella classica sanscrita. E perciò aveva abbandonato le due lingue.
Ma ora era il momento di
riprendere quegli studi. L‘isolamento in cui viveva gli diceva di cercare altre
strade che non fossero quelle del covid e dei vaccini.
Anche in sanscrito, vi
era un lato “participiale“ affascinate, sebbene non complesso come quello
lituano.
Prendi per
esempio la frase
Mantribhir militvā
Damayantī vijñaptā
Di quella frase
lo colpiva come fosse interamente costruita, senza un verbo di forma finita, su
un gerundivo (militvā), in sanscrito indeclinabile, e un participio
passato (vijñaptā) accordato al soggetto (Damayantī) di una frase
di senso passivo
Dai ministri (Mantribhir),
dopo che si furono radunati (militvā), Damayantī fu informata (vijñaptā).
Questi erano i
giorni, questa era la sua guerra asimmetrica, resistere e rifiutate il mondo
folle che da fuori aggrediva, in modo massiccio. Anche questa era una forma di
resistenza.
Ogni suo atto
quotidiano era resistenza. Prendere un fucile, una rivolta armata, poteva
essere il picco della resistenza, ma per fare quello si deve essere in tanti ed
organizzati, addestrati e finanziati.
Da solo, isolato,
che poteva fare? Gli rimaneva la preghiera che avrebbe scardinato quel mondo
fuori, la volontà di sottrarsi e di non riconoscere il sistema. Era stato con
la febbre, era stato male in modo grave, aveva sofferto. Non aveva fatto il
tampone, se lo avesse fatto di sicuro sarebbe stato positivo al covid e una
volta guarito gli avrebbero concesso il green pass, che in Lituania
chiamavano galymibių pasas, il passaporto delle opportunità. Ma quali opportunità? L’opportunità di
obbedire a Loro? Di essere il Loro schiavo? Aveva rifiutato la Loro
narrativa, rifiutando un’opportunità da Loro concessa.
Ogni suo atto quotidiano
era una testimonianza di quella guerra asimmetrica, in cui lo scopo principale
non era al momento la vittoria, ma ingaggiare una guerra di resistenza. Creare
dissenso. L'Unione Sovietica crollò per il dissenso interno fra il popolo e lo
stato. Il polo è fatto di individui diceva Sant’Agostino. E il dissenso di
ciascun individuo avrebbe potuto creare il dissenso generale.
E sotto quel
cielo grigio così diverso da quello in cui era nato e cresciuto cercava la via
di uscita.
Non mi riconosco
qui, ma qui terminerò di vivere? Si chiedeva. Ben sapendo che i tempi e i
luoghi del cielo non son quelli della terra.
Finirò per
riconoscermi in questo cielo e questa terra, così lontana e diversa dalla mia
fatta di sole e blu?
Eppure, sempre più
si rincantucciava in quel grigio, come se il grigio fosse sempre più in lui.
Come se nutrisse ormai i suoi pensieri, di lupo solitario, che parlava la
stessa voce della foresta in cui era stato abbandonato.
E non era una
voce di pace; l’uomo porta con sé la guerra dovunque fugga. In lui abitano i
due mondi, sempre in guerra, e chi non è stolto sempre vigila sui giorni che
vengono. E ora, quei giorni, erano i giorni cattivi. I giorni in cui si doveva
vigilare per resistere ed esistere e mostrare al mondo che si può anche in modo
indefinito, come le forme participiali; che reggono il mondo delle frasi in
modo apparentemente non marcato ma sorprendente.