Saturday 26 January 2019

Gli ultimi giorni in questo mondo (da "Il giorno che l'Italia morì")

(foto Živilė Abrutytė)


Silvano provò ad alzarsi. Voleva camminare. Voleva andare in camera, dove Sabatina dormiva. Era da poco ritornata dall’ospedale. Le medicine l’avevano stordita, anche se aveva una fibra forte.
In vecchiaia era più ceduto lui, sia mentalmente che fisicamente, che lei. Lei era rimasta il toro focoso che era da giovane. Aveva perso in forza fisica ma non aveva perso in nulla riguardo alla volontà e alla cocciutaggine, che era forse addirittura aumentata.
Silvano invece era ormai un cavallo azzoppato, molto azzoppato. La cui lucidità mentale appariva e scompariva. La cosa strana era che lui lo avvertiva quando non era lucido e faceva discorsi strampalati ma non poteva fare nulla per impedirlo. Apparteneva ad un'altra forza che era dentro e non poteva fermarla. E parlava e pensava per lui. Una forza su cui poi con un atto imperioso di volontà riusciva talora a imporsi e a ritornare se stesso.

- Silvano, dove vai? – gli chiese la filippina.
- Stai zitta te. Non t’impicciare! Fai che devi fare, ma a me non mi comandare. Io a casa mia faccio quello che voglio.

A balzelloni, un po’ dondolando su se stesso, appoggiandosi alla parete, senza stampelle, riuscì a raggiungere la camera venendo dal soggiorno. Arrivato alla porta si fermò. In silenzio si mise a guardare Sabatina che dormiva.
Non aveva occhi che per lei, negli ultimi mesi della sua vita. Ora dava a lei tutto l’amore che non le aveva dato da giovani.
Quando guardava Sabatina la guardava come il bene più prezioso che avesse. Eppure quando erano più giovani l’aveva disprezzata e tradita.
Ancora si ricordava di quella mattina che l’aveva piantata sulla porta di casa per andarsene a Roma a incontrare Nenni.
La parola “Nenni” gli squarciò un orizzonte atemporale, in cui non vedeva più il presente ma un passato lontano che per quanto cercasse di attualizzare rimaneva lontano e inesistente.
Non vi era più Nenni, non vi era più l’Italia di Nenni, ora vi era solo un sistema atemporale in cui galleggiavano entrambi in attesa di sprofondare.
Quante Italie erano esistite prima di Nenni e quante dopo Nenni e quante ve ne sarebbero state dopo lui e Sabatina?
Per quello guardava rapito Sabatina, l’ultima cosa che galleggiava in quello stato liquido insieme a lui. Tutto il resto era già sprofondato, in modo irrimediabile.

Ma lei era infastidita da quell’uomo che le stava così addosso. Appiccicoso, come lei lo definiva.Da quando era andato in pensione gli rimproverava di stare sempre in casa a pesticciare, a impicciarsi di tutti i lavori da donne.
- Ma che t’impicci? Ma che ne sai tu di come si pulisce una casa? Ma perché non vai al bar o a un panchina a fare amicizia con qualcuno? Ma possibile che non hai un amico?

Silvano non voleva. Viveva a Empoli. Un paese di comunisti. Lui con i comunisti non ci voleva stare, nemmeno da vecchio. Ci aveva litigato tutta la vita. Almeno ora che era in pensione voleva evitarli. La panchina non era per lui. Il bar forse. Qualche volta vi era andato, prima quando ancora stava bene, dopo cena (soprattutto in estate), nel viale Boccaccio, vicino all’ospedale. C’era un bar pizzeria. Ci prendeva il caffè, faceva due chiacchiere ma poi subito ritornava a casa. Il pensiero di Sabatina sola lo inquietava.


Friday 25 January 2019

Memoires of a Martial Artist - We were alone in the world.


(foto Živilė Abrutytė)


The Master had explained to me, without any apparent reason, that someone has funneled thousand of euros in that coffee shop, where I encountered him, to keep it open during the winter. In Vilnius to manage any local business was really hard in that season. There was a sort of depression in winter around the center. Few passersby, no tourists, no business, given the harshness of the winter…an unfortunate situation to run a shop in winter in Vilnius, because the weather was astonishingly cruel.
An Italian I knew used to say that in those days ci sono i lupi per le strade. He meant that the streets are so deserted that only wolves go around the empty gatvės (streets) descending down from the hills into the city and looking for food.
And I agree with his similitude.
Outside the road had disappeared without leaving any trace. The air was smoking with snow. The snowstorm had caught The Master’s sight. The Master seemed terrified by the roaring and howling of the blizzard. A whitness without borders was hiding the town. We, both, breathed the loneliness in which the snowstorm had precipitated us.
We were alone in the world.


Wednesday 23 January 2019

Batteriehühner – Michel Houellebecq “Sérotonine”


Via LeParisien

Vor dem Werbegeschrei über die Bücher von Michel Houellebecq, insbesondere Sérotonine, musste ich diesen Autor lesen, von dem ich seinen früheren Roman Submission nicht lesen konnte.
Houellebecq ist meiner Meinung nach ein radikaler Chic der Literatur, und um ehrlich zu sein, musste ich mich dazu zwingen, Sérotonine zu lesen. Und doch musste ich endlich aufgeben. Sérotonine machte mich nervös und folterte mich. Am Ende gab ich wie in einem Erlösungsakt auf. Es war zu viel zu ertragen.
Er hat keinen Stil. Er schreibt auf eine langweilige und banale Art und Weise ohne Geschwindigkeitswechsel.
Von Seiten bis Seiten gibt es keinen Dialog, aber Houellebecq ist nicht Henry Miller, er hat weder die Stilfähigkeit von Henry Miller noch seine Fähigkeit, den Rhythmus zu wechseln.
Seite für Seite verläuft harmlos und langweilig harmlos. Banal. Aber, ja, man weißt daß, dies ist die Gesellschaft des Mittelmaßes, in der der perfekte Mittelmäßiger siegt. Und sicherlich ist Houellebecq ein brillanter, mittelmäßiger Gewinner.

Eine Passage, die für mich keine Bedeutung hat: "Wie alle Länder Westeuropas hatte Spanien, das sich in einem fatalen Prozess der Produktivitätssteigerung befand, nach und nach alle unqualifizierten Jobs beseitigte, die dazu beigetragen haben, das Leben etwas weniger unangenehm zu machen und indem Gleichzeitig wurde der Großteil der Bevölkerung zu Massenarbeitslosigkeit verurteilt. Solches Gepäck, sei es unter den Markennamen Zadig und Voltaire oder Pascal und Blaise, machte nur in einer Gesellschaft Sinn, in der die Trägerfunktion noch existierte. "
Ist dies eine Kritik am Konsum? Am Kapitalismus? Ist es Blödsinn? Ich weiß es nicht, weil ich die Bedeutung nicht verstehe. Ganz unverständlich ist, was er meint.

Manchmal gibt es Beispiele für Popkultur, die in Hochkultur verwandelt wurde. "Alles ist gut ...", sagte ich so sanft, wie ich konnte, mit der schmerzlosen Intonation eines zivilisierten Serienmörders. Anthony Hopkins war für mich ein Modell, aufregend und fast unpassierbar, schließlich die Art von Männern, die wir zu einem bestimmten Zeitpunkt in seinem Leben treffen müssen. Ich wiederholte noch sanfter, fast unterschwellig: "Alles ist gut ..."

Im heutigen Schreiben muss ich gestehen, dass wir mittelmäßig sein müssen (und Houellebecq bestätigt es), homolog, ausgeglichen, harmlos, vielleicht radikaler Chic (wie er). Du kannst kritisieren wenn du willst, du kannst sagen, dass in der Welt alles Scheiße ist, aber du musst mittelmäßig sein, wenn du es sagt. Scheiß auf die Leute, wenn du es magst, aber du musst bleiben wirklich an der Oberfläche, geh nicht unter, sag nicht die Dinge, die du zu sagen willst, weil deine Worte das System, das dich bejubelt, verletzen könnten, und wenn du das tust, werden sie dich bejubeln, sie werden dich lassen alle Preise gewinnen, die Sie wertschätzen, du verdienst. Dann sei du ein perfekter Mittelmäßiger. Aber sei der Beste! Sie werden dich belohnen!

Wenn ich Houellebecq in Bezug auf Submission und Sérotonine verurteilen muss, ist er sicherlich ein mittelmäßiger Schriftsteller, aber einer der besten Mittelmäßigkeit, diese Art von Mittelmäßigkeit, die gefällt und belohnt wird. Und in diesem Fall ist Flammarion ein großartiger Verleger. Ein wirklich guter. Wie Gallimard.
Flammarion und Gallimard können beide, tödliche langweilige Schriftsteller zu echten literarischen Genies und weltweiten literarischen Fällen machen. Wer erinnert sich an Les Bienveillantes von Jonathan Littel? Eines der tödlichsten langweiligen Bücher, die jemals veröffentlicht wurden (von Gallimard).

Monday 21 January 2019

Boia chi molla





Nel 1970 Rumor varò un governo monocolore, composto in modo assurdo: 27 ministri e 56 vice ministri.
“Una ciurma scandalosa - li chiamò Montanelli - Il parlamento si è ridotto a un parco buoi - continuava Montanelli - Questi uomini - rincarava - fatte le solite eccezioni, fanno pietà e seguiteranno a farlo finché si insisterà a sceglierli fra i mestieranti del cosiddetto ‘apparato’ dove non militano che gli scarti di tutte le professioni. Si chiamano ‘correnti’. Ma queste correnti non sono entità astratte. Sono degli uomini. E questi uomini chi li ha scelti se non i capi? Quali criteri costoro abbiano seguito lo si vede ora. Evidentemente per mettersi al riparo da futuri rivali hanno preferito reclutare gli adepti nel pattume delle mediocrità. Ma ai mediocri, per andare avanti e far carriera non resta che l'intrallazzo. Ed è proprio questo che sta dilagando nel nostro ambiente politico”.
Montanelli fu indubbiamente visionario ma, come Badoglio nel ’43, nemmeno lui immaginava fino a che punto quello strutturalismo politico sarebbe dilagato e spinto.
Il governo approvò la legge che doveva finanziare la costituzione delle regioni. Vennero stabiliti ingenti contributi finanziari per le regioni che dovevano però fare i conti con le numerose correnti della DC (almeno 8) dove abbondavano i nuovi faccendieri. Non importava che alcuni fossero ribelli, diventavano comunque utili per essere inseriti dentro un “sistema” che creava competenze amministrative da gestire sul territorio.
In ultima analisi non fu che una moltiplicazione dei pani e dei pesci per accontentare ex portaborse, ex funzionari, ex sindaci, ex politici, i vari trombati, i nuovi rampanti e tutto quel ceto politico che stava dietro le segreterie provinciali e che negli anni precedenti aveva lavorato per i leader, ma che non era stato gratificato abbastanza, perché le poltrone a Roma erano troppo poche.
Ma le autonomie, le nuove Regioni se le potevano dimenticare, il potere centrale avrebbe alla fine gestito tutto. I Consigli e le Giunte Regionali che stavano nascendo sarebbero serviti in gran parte solo per creare una nuova casta di funzionari sul territorio, che a nome del referente romano, avrebbero ubbidito agli ordini, più o meno supinamente. Spesso, dove sarebbe stato impossibile egemonizzare da parte del partito di governo, si sarebbero fatte le più strane e oscene alleanze con l'opposizione, che se possibili in una zona, in altre sarebbero apparse vergognose.
Gli uomini politici che sedevano sulle poltrone governative romane ormai perdevano di vista gli interessi generali del paese e guardavano soprattutto e solo al proprio territorio. Che era prevalentemente il meridione, essendo che la maggioranza degli uomini politici, almeno quelli più potenti, provenivano dal sud. E così finivano per perdere di vista la nazione, a favore delle loro regioni (meridione), con precisi patti clientelari in una specie di “consorteria”. Ad avvantaggiarsi finalmente furono le regioni che avevano un “uomo autorevole” nel partito, mentre ci rimisero le regioni che erano rappresentate da “uomini mediocri”.
Nel ’43 l’Italia aveva perso l’onore e la sovranità. Nel ’68 perdeva la sua identità. Nel ’70 e negli anni a seguire avrebbe perso la direzione e la classe politica smarrito il contatto con la realtà.

Silvano uscì dalla riunione della direzione del partito piuttosto indolente. Fiacco, sarebbe forse più corretto dire.
A Reggio Calabria era un bel pasticciaccio. I compagni non sapevano che linea tenere. Certo non potevano distanziarsi dal popolo che era in rivolta. Andare contro un popolo in rivolta sarebbe stato un errore, ma anche schierarsi dalla parte della violenza che pareva fomentata dall'estrema destra e dalla mafia poteva mettere in imbarazzo il partito. Ma i socialisti c’erano dentro fino al collo. E questo faceva incazzare Silvano. A Latella avevano bruciato la casa, la sede del partito era stata devastata dalle fiamme.
Una situazione difficile. Un grosso impiccio, nato dai soliti clientelismi, perché (si diceva) i partiti avevano dato l’università a Cosenza per favorire Giacomo Mancini e il capoluogo a Catanzaro per fare il gioco di Riccardo Misasi, per cui, così, tutti i fondi stanziati dallo Stato non finivano a Reggio. Il sud, il profondo sud, campava di fondi stanziati dallo stato, su cui le “consorterie” si lanciavano come lupi affamati. Era chiaro che per Reggio Calabria quei fondi erano vitali, per molteplici ragioni.
Silvano era stanco. La politica cominciava a stancarlo. Era entrato in politica per cambiare il mondo, e ogni giorno di più vedeva come non fosse possibile cambiare il mondo.
Non solo non cambiava il mondo, ma quello suo personale era decisamente peggiorato. In famiglia avvertiva l’odio di Sabatina e dei figli. Forse solo Fabrizio ancora gli voleva bene, ma anche Fabrizio cominciava ad allontanarsi da lui. Lo vedeva la sera quando rientrava come gli tenesse il muso e a mala pena gli parlasse. Non poteva biasimare Fabrizio. Fabrizio gli aveva sempre dimostrato amore e rispetto. Non poteva negare che se ora le cose erano cambiate era sicuramente a causa del rapporto fra lui e Sabatina. Sentiva che la sera a cena il clima era irrespirabile e tuttavia non riusciva a fare nulla per cambiarlo. Non riusciva a sorridere, a dire cose gentili, a essere brillante. Appena entrava in casa una cappa di piombo gli calava addosso. E lui si inacidiva, e un mondo nero lo avvolgeva.
Malediva allora se stesso, e quel giorno che la madre l’aveva messo al mondo.

Si era infilato in uno stile di vita da cui non riusciva ad uscire.
Le donne erano diventate un motivo di vita. Si stava perdendo troppo dietro a loro. Non avrebbe dovuto essere così ma era così.
Ci aveva pensato, e sebbene non ne fosse del tutto sicuro questo perdersi dietro alle donne doveva essere dovuto allo stallo della vita politica, alla sensazione di essere finito in un vicolo cieco da cui uscirne era impossibile.
Ma aveva voglia di uscirne.
Per questo stava male.

Allora aveva una relazione con una donna di Empoli che aveva un negozio di parrucchiera. Ma anche a Roma incontrava una compagna del partito. Questa doppia relazione gli pesava e tuttavia non riusciva a terminarle. Si sentiva vicino ad una animalità che prima gli era sconosciuta. Era come se non riuscisse a distinguere fra il bene e il male. Come se tutto fosse indefinito, relativo, strutturato da continui orizzonti mai determinati. Per quello era confuso. Aveva perso la capacità di distinguere fra bianco e nero, fra bene e male.
A quei giorni Silvano aveva smesso di fumare le sigarette e aveva preso a fumare il sigaro. Doveva modificare anche i minimi accidenti della sua vita. Fumare il sigaro lo faceva sentire in sincronia con il suo mondo, con le modalità esistenziali che si rapportavano al suo stile di vita, all’ambiente che lo circondava e all’immagine che più o meno consciamente voleva dare in rappresentazione all’esterno.
Era un’immagine che tutto sommato piaceva, incontrava consensi. Solo in famiglia nessuno prendeva sul serio quello che lui faceva e cercava di essere. Sabatina con il sarcasmo lo annientava. I figli parevano neppure accorgersi del suo essere uomo, incapaci di andare oltre la figura del padre a cui non voleva più cercare di corrispondere.
Forse anche a lui il Sessantotto aveva trasmesso una volontà di ribellione a schemi che neppure lui voleva sopportare. Li trovava inattuali. Impelleva l’urgenza di adattarsi a un nuovo ruolo. Ed era quello che sentiva. Liberare dentro l’uomo. Rompere le regole, le tradizioni, le obbligazioni.

A quel tempo aveva deciso di cambiare macchina. La Bianchina, in effetti Sabatina aveva ragione, era ridicola. Come diceva lei, pareva veramente una scatoletta di sardine. Voleva una macchina più spaziosa. Più status symbol. Cominciò a pensare a una Lancia. Gli piaceva la Lancia Fulvia Berlina. Il problema era il costo.
Quando ne parlò a Sabatina e le fece vedere le foto del dépliant nel tentativo di mostrarsi interessante e di conquistare Sabatina, credendo che cambiando macchina avrebbe cambiato il clima familiare, la sua risposta fu:

- Ma compri tutte scatolette?
- Ma come una scatoletta? E’ una delle macchine più eleganti che abbia prodotto la Lancia. Vuoi mettere questa e la Bianchina?
- Per me ci corre poco. Mi sembrano uguali.

Silvano si arrabbiò. Cominciò a dire che non capiva nulla, che era un' imbecille e che veniva da una famiglia dove non capivano nulla. Sabatina reagì e naturalmente se la prese con quel demonio di donna di su mà (Ida). Per l’ennesima volta litigarono e sarebbero venuti alle mani se Loris non fosse entrato in cucina e non avesse urlato “Basta! Siete due cretini! Non vedo l’ora di andarmene per sempre da questa casa e non vedervi più!”.
Fabrizio rimase sulla soglia della porta e guardava in silenzio.
Era l’ora di cena.

A Reggio intanto la protesta continuava. Dai giornali era difficile capire che succedeva se non che una città era un guerra. Intanto si registravano i primi morti, il che aveva inferocito ancor di più la popolazione di Reggio. Furono mesi di terrore, in cui il governo scelse solo la forza della repressione.
Ciccio Franco, sindacalista missino della CISNAL, era divenuto il capo della protesta, al grido di “Boia chi molla!”. Protagonisti di quella rivolta, tutti. Uomini, ragazzi, studenti, operai, disoccupati, preti, imprenditori e le donne. Le donne di Reggio.

- In mezzo alla strada ci sono i nostri figli. Il nostro sangue. Siamo scese in piazza per difendere loro. Soltanto in questo modo possiamo arginare un la violenza di Stato! Siamo stanche di vedere ogni giorno i nostri figli malmenati e pestati a sangue dalla polizia!

Cilenti, il compagno di Reggio alla direzione aveva parlato chiaro.

- Compagni, le contraddizioni sono molte. La situazione è drammatica. Sul piano locale della città la stessa base del PSI condivide le motivazioni attorno al capoluogo. Le condividono anche molti militanti dei sindacati. La rivolta è un fatto popolare di enormi dimensioni. Non è purtroppo sulla stessa linea la base socialista della provincia, la Ionica e la Tirrenica, e vi è purtroppo una linea diversa sul piano regionale e nazionale...

Silvano era sempre più amareggiato dalla linea del partito. Sicuramente l’amarezza era acuita anche dall’insoddisfazione della vita personale, ma quel PSI non gli piaceva. Stava troppo a ruota dei comunisti o, come con Nenni, aveva puntato troppo al governo con la DC.
Ci voleva un segretario diverso. Uno con le palle, che desse un’identità al partito, una linea propria.
Era l'ora di farla finita con la gestione meridionale del partito. Di finirla con quella politica meridionalistica. Ci voleva un uomo nuovo con una diversa visione, slegata dal meridionalismo.
Un uomo che sganciasse anche da ogni alleanza con i comunisti: un partito di canaglie, che non avrebbero esitato a immolare l’intera classe politica sugli altari dei tribunali.
Nulla di personale con Mancini, l’attuale segretario. Sicuramente un uomo per bene, ma aveva avuto troppa indulgenza per il meridione e la sua Cosenza.
La politica doveva avere un respiro più ampio e non localistico.

Silvano diveniva sempre più sospettoso e sentiva che il suo ruolo nel partito diventava scomodo.
Silvano si accorgeva di non avere amici. Una mancanza che anche Sabatina gli rimproverava. In politica conosceva un numero infinito di persone. Ma erano amici? Erano compagni, conoscenti, incontri, avversari…ma amici era una parola che non suonava come avrebbe dovuto suonare. Stonava.
Quando era giovane, aveva amici. Quelli sì, erano amici. Con loro condivideva passioni, amori, stupidaggini. Con loro rideva, soffriva, mangiava, beveva. Con loro si divertiva e si annoiava.
Ma poi la vita era cambiata.
Con le donne non era che fosse molto diverso. Erano amanti, compagne, puttane qualche volta. Ma non aveva una grande stima di loro, per quanto ne avesse bisogno. Alla fine si rendeva conto che l’unica donna di cui avesse stima era Sabatina, sebbene non l’amasse più.
In politica anno dopo anno era come se la terra sotto i suoi piedi tremasse per lo spostamento di masse tettoniche che ora spingevano in una direzione ora in un’altra, ora si sollevavano verso l’alto ora si inabissavano.
Le persone cambiavano. Anche le donne cambiavano. Ma Sabatina era la costante della sua vita. Ciò che sempre era e sarà.
Non la amava ma capiva che aveva bisogno di lei. Avrebbe sempre avuto bisogno di lei. Aveva la certezza che avrebbero finito i giorni insieme.
Quando? Quando quel giorno sarebbe venuto? E come?
Vi era paura in quelle domande. Vi era comunque anche un senso ineliminabile di curiosità. Quasi che la sua vita appartenesse ad un altro nel momento che si interrogava sulla propria fine.

Battery hens: MICHEL HOUELLEBECQ - Sérotonine





We have the same pale
Comb, clipped yellow beak and white or auburn
Feathers, but as the door opens and you
Hear above the electric fan a kind of
One-word wail, I am the one
Who sounds loudest in my head.

(Unknown poet)

Because of all the hype around Michel Houellebecq, Sérotonine in particular, I found myself obliged to read this author of whom I had no enough patience endurance to read his former novel, Submission.
Houellebecq in my opinion is a radical chic of literature and to be honest, I had to force myself to read Sérotonine. And yet I finally had to give up. Sérotonine made me nervous, and tortured me. In the end I gave up in an act of salvation. It was too much to bear.

He has no style. He writes in a boring and banal way, without any change of pace.
For pages and pages, there is no dialogue, but he is not Henry Miller, he does not have the stylistic ability of Henry Miller nor his capacity to switch the rhythm.

Page after page proceeds harmless and boringly harmless. Banal. But you know, this is the society of mediocrity, where the perfect mediocrity wins. And certainly, Houellebecq is a brilliant winning mediocre.

A passage without meaning to me: "Comme tous les pays d'Europe Western, l'Espagne, engagée dans a processus mortel d'augmentation de la productivité, avait peu à peu supprimé tous les emplois non qualifiés qui contributant jadis à rendre la vie un peu moins desgréable, condamnant du même coup la majeure partie de sa population au chômage de masse De tels bagages, qu'ils soient siglés Zadig et Voltaire ou bien Pascal et Blaise, n'avaient de sens que dans une société ou existait encore la fonction de porteur "
Is this a criticism of consumerism? Of capitalism? Is it bullshit? I do not know, because I do not understand the meaning. Incomprehensible.
Sometimes there are examples of pop culture turned into high culture "Tout va bien ..." dis-je le plus doucement que je pus, avec the intonation onctueuse of a serial killer civilisé, Anthony Hopkins était pour moi un modèle, enthousiasmant et presque indépassable , enfin le genre d'hommes qu'on a besoin de rencontrer, is a certain stade de sa vie. Je répétai encore plus doucement, subliminalement presque: «Tout va bien ...»

In today's writing, I must confess/admit we need to be mediocre (and Houellebecq confirms it), homologous, equalized, harmless, and maybe radical chic (like him). Criticize if you want, say that the world is all shit but be brilliantly mediocre in saying it. Fuck people off if you like it, but truly stay to the surface, do not go under, and do not say the things you have to say because your words might hurt the system that acclaims you and by doing this they will acclaim you, they will let you win all the prizes they esteem you deserve ... be a perfect mediocre, then. But be the best mediocre! They will reward you!

If I have to judge Houellebecq with reference to Submission and Sérotonine, he is certainly a mediocre writer, but one of the best mediocrity, that kind of mediocrity that pleases and is rewarded. And in this case, Flammarion is a great publisher. A really good one. As Gallimard.
Flammarion and Gallimard, both in fact, can turn deadly boring writers into genuine literary geniuses and worldwide literary cases. Who remembers Les Bienveillantes by Jonathan Littel? One of the most deadly boring books that have ever been published (by Gallimard).
No one for sure remembers this book, why is has justly been forgotten.  

Sunday 20 January 2019

Polli d'allevamento - Michel Houellebecq "Sérotonine"



We have the same pale
Comb, clipped yellow beak and white or auburn
Feathers, but as the door opens and you
Hear above the electric fan a kind of
One-word wail, I am the one
Who sounds loudest in my head.
(Poeta ignoto)

Davanti a un battage pubblicitario come quello di Michel Houellebecq, di Sérotonine in particolare, mi sono trovato obbligato a leggere questo autore di cui non ero riuscito a leggere in nessun modo Submission.
Houellebecq a mio avviso è un radical chic della letteratura e mi sono fatto violenza per leggerlo. E tuttavia ho dovuto mollare. Mi innervosiva, mi torturava. Alla fine ho mollato. Al troppo si deve alla fine cedere.
Non ha stile. Scrive in modo noioso e banale, senza cambio di passo.
Per pagine e pagine non vi è un dialogo, ma non è Henry Miller, non ha la capacità stilistica di Henry Miller né il suo cambio di passo.
Pagina dopo pagina procede inoffensivo innocuo e noioso. Banale. Ma si sa, questa è la società della mediocrità, dove il mediocre perfetto vince. E sicuramente Houellebecq nel suo genere è un mediocre perfettissimo.
Passi di cui non capisco il senso
"Comme tous les pays d’Europe Occidentale, l’Espagne, engagée dans un processus mortel d’augmentation de la productivité, avait peu à peu supprimé tous les emplois non qualifiés qui contribuaient jadis à rendre la vie un peu moins désagréable, condamnant du même coup la majeure partie de sa population au chômage de masse. De tels bagages, qu’ils soient siglés Zadig et Voltaire ou bien Pascal et Blaise, n’avaient de sens que dans une société où existait encore la fonction de porteur"
E' una critica al consumismo? Al capitalismo? E' una stronzata? Non lo so, perché non capisco il senso. Di una cosa sono sicuro, lascia il tempo che trova.
Vi sono similitudini radical chic di una tale elevatezza culturale « Tout va bien… » dis-je le plus doucement que je pus, avec l’intonation onctueuse d’un serial killer civilisé, Anthony Hopkins était pour moi un modèle, enthousiasmant et presque indépassable, enfin le genre d’hommes qu’on a besoin de rencontrer, à un certain stade de sa vie. Je répétai encore plus doucement, subliminalement presque : « Tout va bien… »

Nella scrittura oggi bisogna essere polli d'allevamento (e Houellebecq lo conferma), omologati, uguali, inoffensivi, magari radical chic (come lui). Critica se vuoi, di' pure che il mondo è tutta merda ma sii brillantemente mediocre nel dirlo. Scassa la minchia se vuoi, ma rimani fedele alla superficie, non scendere sotto, non dire le cose che devi dire e che potrebbero far male al sistema che ti osanna e allora ti osanneranno, ti faranno vincere tutti i premi che vogliono...sii un perfetto pollo d'allevamento. Il migliore! E loro ti premieranno!

Se devo giudicare Houellebecq da Submission e Sérotonine, è sicuramente uno scrittore mediocre, ma della migliore mediocrità, quel tipo di mediocrità che piace e viene premiata. E in questo Flammarion è grande. Lui sì che è grande. Come Gallimard riesce a trasformare scrittori di una noia mortale in autentici geni letterari e casi letterari a livello mondiale. Chi si ricorda di Jonathan Littel, Les Bienveillantes? Uno dei libri più orribilmenti noiosi che siano stati pubblicati (da Gallimard).

Thursday 17 January 2019

Figli del Sessantotto








Fabrizio aveva cominciato a giocare al calcio a causa di un altro rifiuto di suo padre. Non gli piaceva il calcio. Fu solo un ripiego, un surrogato di una delusione. La delusione della sua vita.
Fin da piccolo amava la bicicletta. Alla Graziani avevano costituito un gruppo di ragazzini ciclisti e gareggiavano fra di loro. Avevano le biciclette più disparate. Tutti comunque avevano biciclette con cambio. Solo due di loro possedevano la bicicletta da corsa. Fabrizio aveva invece la bicicletta da donna di sua madre. Gareggiava con quella, e nessuno riusciva a batterlo. Teneva il passo in pianura e come la strada cominciava a salire si metteva davanti e non ce n’era per nessuno. In quei momenti si sentiva un campione, il suo campione: Franco Bitossi.
Bitossi, il famoso “cuore matto” non abitava lontano da Montelupo. E a Fabrizio qualche volta capitava di vederlo dal vivo, anche se per lo più lo seguiva in TV.
In quei momenti che si alzava sui pedali e spingeva come un forsennato e con la coda dell’occhio controllava gli avversari dietro che uno ad uno si staccavano si immaginava storto con il collo piegato un po’ a destra come il suo campione in salita. Riviveva in lui quegli attimi di forza. La forza del suo campione diveniva la sua.
Le gesta di Fabrizio non passarono inosservate, soprattutto un giorno che in salita con la bicicletta da donne staccò Nebbia, un ragazzo di Montelupo che correva nella categoria allievi per la Copart una squadra di Limite sull’Arno.
Attaccarono la ripida salita del Pulica. Fabrizio con la bicicletta da donna, Nebbia con quella da corsa. Fabrizio con un solo rapporto. Nebbia con due moltipliche e cinque rocchetti.
Fabrizio si mise davanti fin dall'inizio. Presto tutti si staccarono. Solo Nebbia gli resistette per un centinaio di metri ma la cadenza di Fabrizio fu troppa anche per Nebbia, che saltò come un birillo.

Qualche giorno dopo a casa di Silvano e Sabatina si presentarono all'ora di cena due dirigenti della Copart. Volevano Fabrizio nella loro squadra. E lo volevano ad ogni costo. Gli avrebbero dato anche la bicicletta gratis.
Ma fu un altro rifiuto.
Questa volta anche Sabatina fu d’accordo.
Marcello Mugnaini, un ciclista professionista, che non viveva lontano da Montelupo, al Tour de France del 1967 aveva subito una caduta terribile, per cui era quasi morto. L’impressione che aveva lasciato quell’incidente in una piccola comunità come quella di Montelupo, era stata così forte che due anni dopo era ancora vivissima.

- No, non voglio – disse Silvano – Non se ne parla. Non mi sembra il caso.
- A correre in bicicletta? Per vedere se mori! Ma che si crede che si metta al mondo un figlio per vederselo morire in bicicletta? – aggiunse Sabatina.

Con quello la visita dei due dirigenti della Copart si concluse. Delusi e amareggiati se ne andarono.
La conservazione all'istinto, all'animalità, della sopravvivenza del corpo aveva avuto la meglio sulla concatenazione logica che vi erano evidenti segni di un campione in potenza da mettere in atto.
Fabrizio così non trovò la forza di reagire. Il sogno della sua vita, correre in bicicletta e diventare un campione, si dissolse in una sera; quel sogno durato anni era finito in un attimo, all'ora di cena, sotto i colpi di nuove strutture figlie del tempo, mi sembra e si crede.

Come i sogni di molti altri giovani, destinati a grandi delusioni, che avrebbero patito lo stesso destino.
Era nell'aria quel mutamento. Lo avvertiva Silvano, lo avvertiva Sabatina, lo avvertiva Fabrizio. Luigi forse meno. Luigi si era ritirato in un suo mondo ordinato che comportava pause e lunghi silenzi nel rapporto con la famiglia, che servivano a prendere distanza dai mutamenti strutturali in atto.
Mentre tutte le forme del rapportarsi alla famiglia, alla scuola, alle università, alle strutture dello stato sembravano vivere e crescere su un vuoto creato dal distacco dai termini rappresentati dai valori del paese, della sua storia, della sua famiglia e della tradizione in generale, Luigi pareva permanere a metà strada fra quel vuoto e le nuove dislocazioni, rimozioni e negazioni continue e irreversibili. Navigava fra mille accidenti in continua rivoluzione senza esserne interessato.
Per quello forse non avrebbe subito delusioni, perché non non finiva nel nulla del nuovo nihilismo. Rimaneva ai termini e non si spostava sulla comprensione delle nuove relazioni partorite dal Sessantotto. Per Luigi 2 + 2 ancora faceva 4. Per Luigi io penso era io penso e non mi sembra o si pensa, non esisteva il collettivismo soggettivo ma l’oggettività. Il padre era il padre, la madre era la madre, la moglie era la moglie e il marito era il marito.
Per quello probabilmente, anni dopo, quando Silvano una notte voleva lasciare la casa e andare a vivere con un’altra donna e sentì Sabatina piangere in camera, balzò dal letto e afferrò suo padre per il bavero e lo rigettò indietro gridandogli “Questa è la tua casa, questa è la tua famiglia! Di qui non te ne vai!”

Monday 14 January 2019

E non cangiò lo stile della travagliosa vita, la diletta luna





Onore a Voi, uomini e artefici della grande impresa spaziale. Onore a tutti coloro che hanno reso possibile l’audacissimo volo…onore a Voi che, seduti dietro ai vostri prodigiosi apparecchi governate, a Voi che notificate al mondo l’opera e l’ora la quale allarga alle profondità celesti il dominio sapiente e audace dell’uomo…e ciò che stupisce di più è vedere che non si tratta di sogni. La fantascienza, si dice, diventa realtà 

Le Parole di Paolo VI esaltarono quella notte in cui l’uomo sbarcò sulla luna. Una notte in cui il 96% egli italiani rimase incollato alla TV.
Una calda notte di luglio dove si vedevano finestre aperte e illuminate e le strade erano vuote.
Circa quattrocentocinquanta milioni di persone di tutto il mondo stettero collegate ai video per assistere all’evento e sentire la famosa frase di Armstrong quando pose il piede sul suolo della Luna:


one small step for a man, one giant leap for mankind 


Ma era una frase preparata, una di quelle cose che si dicono per celebrare avvenimenti. Avvenimenti che nulla cambiano all’andamento immediato del mondo.
L’esercitò Americano continuò la guerra in Vietnam e Il primo direttore dell'FBI, J. Edgar Hoover, nel 1968 dichiarò The Black Panthers, "Una delle più grandi minacce alla sicurezza interna della nazione".
In Italia iniziavano gli anni di piombo, le stragi, le bombe e si intensificavano gli scontri di piazza.
La Guerra Fredda si inasprì.
La gente continuava ad alzarsi, lavorare, mangiare e dormire. A sedere sul proprio culo, a gioire e soffrire nonostante il grande salto dell’umanità.
E non cangiò lo stile della travagliosa vita, la diletta luna.

- Puzzavate come tori
- Ma come puoi dire questo? – un po’ si offese Fabrizio.

Da quando Fabrizio aveva cominciato a giocare al Calcio nel Montelupo, era la prima volta che sua madre andava a vederlo giocare. Ed era meglio che non ci fosse andata. Solo Luigi qualche volta si era seduto in tribuna per vederlo giocare. Suo padre non c’era mai andato e mai ci sarebbe andato. Per lui sport e preti erano allo stesso livello, entrambi erano l’oppio del popolo.

- Mi si è avvicinato alla rete uno che puzzava di sudore, da far dare di stomaco. Sudato come un toro.
- Mamma, si gioca al calcio. Si suda. È normale.

Sua madre non era andata in tribuna, si era fermata a vedere giocare ai bordi del campo. Alla rete di recinzione.

- Ma perché non sei andata in tribuna?
- Ci sono le scale da fare. Con la gonna camminavo male. E poi non volevo rimanere a lungo.

Sabatina, aveva ormai quarantotto anni. Aveva ormai da qualche anno perso ogni confidenza con il proprio corpo. In verità non l’aveva mai considerato qualcosa di diverso da uno strumento di lavoro e di sopravvivenza; nulla che avesse a che fare con l’idea corpo = bellezza. Se bellezza nel corpo di Sabatina vi era stata, era stata quella dell’asino, la bellezza che tocca a ciascuno in gioventù: essere belli solo perché si è giovani. Con ciò non si vuole dire che Sabatina non fosse stata bella. Certamente era stata bella ragazza. Una volta aveva perso anche il lavoro, perché al tabacchificio di Barbialla dove lei lavorava, La Capra, il fattore, si era invaghito di Sabatina a tal punto che la fece licenziare perché Sabatina non voleva accettare le sue avances. Quando andava alla messa alle Mura con la madre, gli uomini la guardavano in modo insistente.
Anche da sposata, al mercato aveva avuto uomini, che avevano cercato di parlarle, conoscerla. Le avevano anche fatto proposte.
Ma il suo corpo viveva uno stato inconscio di clausura rispetto all‘idea di bellezza di quegli anni. Le era estraneo. Lo usava, lo lavava, lo nutriva, vi lavorava, lo riposava. Era piacere talora, dolore, malattia, gioia rare volte.
E ora che le sue gambe e i fianchi si erano ingrossati. Ora che comparivano le prime vene varicose. Ora che cominciava a ingrassarsi, ora che la bellezza sfioriva e le rughe arrivavano, per lei non era un problema. Faceva parte di un processo che le era naturale come il respirare, il mangiare o l’urinare e il defecare.
Per quello non era salita su per le scale. Perché naturalmente aveva avvertito una difficoltà a farlo che non voleva in alcun modo sfidare.

Ormai era giunta alla meno pausa e per tanti motivi il sesso la interessava sempre meno, se mai era stato motivo di particolare interesse, per cui il suo umore si era convertito in un’ironia vieppiù sarcastica e in un pessimismo assoluto che ottundevano le poche gioie e le continue delusioni della vita. Di sogni non ne aveva più nemmeno uno, se non il desiderio di viaggiare. Ma era un sogno quello?
Per questo quando la notte fra il 20 e il 21 luglio l’Italia si era fermata, incollata al televisore, lei e Silvano fecero parte di quel 4% che non avevano seguito la diretta sull’allunaggio.
Luigi e Fabrizio seguirono quella diretta, insieme fino verso le 1 di notte. Poi Luigi rinunciò e solo Fabrizio rimase davanti al televisore.
Ma il giorno dopo Fabrizio era al campo di calcio per quella partita in notturna, a cui per la prima volta la madre assisté una decina di minuti in tutto.
E quel giorno correva come correva ogni partita. Giovava la palla come sempre. Dava pedate e prendeva pedate come tutte le volte che giocava.
Il mondo era uguale a prima. Apparentemente.

Fabrizio aveva cominciato a giocare al calcio a causa di un altro rifiuto di suo padre. Non gli piaceva il calcio. Fu solo un ripiego, un surrogato di una delusione. La delusione della sua vita.
Fin da piccolo amava la bicicletta. Alla Graziani avevano costituito un gruppo di ragazzini ciclisti e gareggiavano fra di loro. Avevano le biciclette più disparate. Tutti comunque avevano biciclette con cambio. Solo due di loro possedevano la bicicletta da corsa. Fabrizio aveva invece la bicicletta da donna di sua madre. Gareggiava con quella, e nessuno riusciva a batterlo. Teneva il passo in pianura e come la strada cominciava a salire si metteva davanti e non ce n’era per nessuno. In quei momenti si sentiva un campione, il suo campione: Franco Bitossi. 
Bitossi, il famoso “cuore matto” non abitava lontano da Montelupo. E a Fabrizio qualche volta capitava di vederlo dal vivo, anche se per lo più lo seguiva in TV.

In quei momenti che si alzava sui pedali e spingeva come un forsennato e con la coda dell’occhio controllava gli avversari dietro che uno ad uno si staccavano si immaginava storto con il collo piegato un po’ a destra come il suo campione in salita. Riviveva in lui quegli attimi di forza. La forza del suo campione diveniva la sua.
Le gesta di Fabrizio non passarono inosservate, soprattutto un giorno che in salita con la bicicletta da donne staccò Nebbia, un ragazzo di Montelupo che correva nella categoria allievi per la Copart una squadra di Limite sull’Arno.
Attaccarono la ripida salita del Pulica. Fabrizio con la bicicletta da donna, Nebbia con quella da corsa. Fabrizio con un solo rapporto. Nebbia con due moltipliche e cinque rocchetti.
Fabrizio si mise davanti fin dall'inizio. Presto tutti si staccarono. Solo Nebbia gli resistette per un centinaio di metri ma la cadenza di Fabrizio fu troppa anche per Nebbia, che saltò come un birillo. 

Due giorni dopo a casa di Silvano e Sabatina si presentarono all’ora di cena due dirigenti della Copart. Volevano Fabrizio nella loro squadra. E lo volevano ad ogni costo. Gli avrebbero dato anche la bicicletta gratis.
Ma fu un altro rifiuto. 
Questa volta anche Sabatina fu d’accordo. 
Marcello Mugnaini, un ciclista professionista, che non viveva lontano da Montelupo, al Tour de France del 1967 aveva subito una caduta terribile, per cui era quasi morto. L’impressione che aveva lasciato quell’incidente in una piccola comunità come quella di Montelupo, era stata così forte che due anni dopo era ancora vivissima.

- No, non voglio – disse Silvano – Non se ne parla.
- A correre in bicicletta? Per vedere se mori! – aggiunse Sabatina.

Con quello la visita dei due dirigenti della Copart si concluse. Delusi e amareggiati se ne andarono.

Fabrizio non trovò la forza di reagire. Il sogno della sua vita, correre in bicicletta e diventare un campione, si dissolse in una sera; quel sogno durato anni era finito in un attimo, all’ora di cena.






Saturday 12 January 2019

Memoirs of a martial Artist - sometimes dreams seem slow



(foto Živilė Abrutytė)



The Master had explained to me, without any apparent reason, that someone had funnelled thousand of euros in that coffeehouse to keep it open during the winter. And he did it unbeknownst to everyone in such a way that somebody had the suspicious that it was a money laundering operation, which was quite common in this city. It was quite manifest that one of the best known banks of Vilnius received a formal warning from the central bank of Lithuania. The Italian mafia had begun to push its tentacles towards the Baltic Republics.

In Vilnius to manage any local business was really hard in that season. There was a sort of depression in winter around the center. Few passersby, no tourists, no business...given the harshness of the winter…an unfortunate situation to run a shop in winter in the city.An Italian I knew used to say that in those days ci sono i lupi per le strade. He meant that the streets are so deserted that only wolves go around the empty gatvės (streets) descending down from the hills into the city and looking for food.
And I agreed with his similitude.
The Master leaned into the fragrant, curling steam of his tea and grinned in grief without a reason.
Art Cafe seemed a disquieting place for him. But I felt it cozy instead. Everything in there seemed slow in the way sometimes dreams seem slow.


Wednesday 9 January 2019

Eine absurde Idee (Einführung in meinen Roman "Inseln des Glücks (Laimės salos)" auf der Suche nach einem Verlag)



Diese Geschichte beginnt vor einem Jahr und endet fast ein Jahr später. Eine Zeitspanne im Leben einiger Menschen relativ kurzer, aber langer jedoch. Wie das Leben auf der Erde, lang, aber relativ kurz.
Und alles beginnt mit einem Foto, das - wie jedes Foto - versucht einen Moment des Glücks, der immer unruhigen Existenz des Menschen zu fixieren. Und setzt es für immer fest, das heißt, solange das Foto existieren wird.
Glück ist jedoch kein Moment und Glück ist nicht einmal ewig, denn ewig sind keine Fotos und Menschen.
Aber warum dann nach Glück suchen? Welche seltsame Idee ist diese Idee inmitten all des Leidens, dass das Leben unermüdlich vorschlägt?
Eine Idee absurd und trotzdem möglich.
Ausgehend von diesem Bild wollte das Schicksal (aber das Schicksal gibt es nicht - es ist nur eine Art zu reden), dass wir für viele Seiten einer Familie sprechen, die in Vilnius in einem Zeitraum von fast zwölf Monaten nach Glück gesucht hat. Wir beschreiben es in ihren Versuchen, in ihren Freuden und Leiden, in ihren Ängsten, Nervosität, Träumen und Enttäuschungen, Pausen und Aufschwüngen, in ihren Verlangen, jeden Augenblick auf dieser Erde zu wachsen und zu existieren und uns ein Zeichen zu hinterlassen, so leicht es auch sein mag. Wir haben ihre Geschichte erzählt, wir haben sie Monat für Monat mit Leidenschaft und Transport verfolgt. Und am Ende haben wir uns mit dieser Familie verbunden. Wir haben sie geliebt. Und sie zu verlassen war schmerzhaft. Aber jede Geschichte hat einen Anfang und ein Ende. Und unsere Geschichte musste auch enden. Es ist eine wahre Geschichte, denn wahr sind alle Erzählungen, die uns an Etwas glauben lassen. Um an Etwas zu glauben, brauchen wir Geschichten, weil sie sich Menschen und Dingen nähern. Ohne Geschichten ist keine Person oder Sache nahe und daher wahr. Diese sind jene Geschichten, die an Werte, Helden, Zustände, Ideale glauben lassen ... Die Geschichten geben den Sinn des Daseins und entziehen sich daher dem Nichts, sie erheben sich als Wahr…
Aber warum suchen Menschen verzweifelt nach Glück? Warum erstellen wir Ereignisse und Fakten, um nahe zu bleiben und um an eine eigene Welt zu glauben und glücklich zu sein, wenn wir im Wesentlichen unglücklich sind? Warum suchen wir hartnäckig eine Insel, auf der wir dieses Glück zusammen erleben können?

Um diese Fragen zu beantworten, wollte " Das Schicksal" diese Geschichte aus vielen Gründen schreiben, vor allem aber Eines: um zu versuchen, die Verzweiflung umzugehen.
Nur glückliche Geschichten entführen uns von einem Nichts, das uns verfolgt und im Zentrum einer einzigen Wahrheit kreuzt, die wir niemals hören möchten:

Es ist nichts hinter uns 

Nicht einmal das Nichts, 

Dass das wäre schon Etwas. 

(Giorgio Caproni)

Tuesday 8 January 2019

Una repubblica a sovranità azzerata





Voleva capire meglio dove portava quella direzione che aveva intrapreso. Voleva conoscere meglio i fatti che fino ad ora gli erano rimasti nascosti. Così passò quella notte di tregua, quell'armistizio, che il padre gli aveva tacitamente concesso ad approfondire il soggetto in internet. Che gli importava di dormire? Non aveva dormito per mesi. Anzi per anni. Da almeno due anni e mezzo dormiva la media di tre o quattro ore per notte. Che avrebbe cambiato una notte insonne in più?
Da quando suo padre aveva subito un ictus ed era caduto per terra rompendosi il femore, in quella casa non si era più vissuto un giorno di pace. Non che prima vi fosse pace. Con suo padre non vi era mai stata pace. Vivere con lui era una vita percorsa da un continuo sisma di intensità variabili, ma costantemente attivo e con pause pressoché impercettibili.
Nel suo navigare da un sito all'altro finì su un video: L'Orchestre noir, l' inchiesta di una TV francese precisa, dettagliata, anatomica, sul ruolo dei servizi segreti italiani ed esteri dal dopoguerra fino alla fine della Guerra Fredda. Si interrogava sulla strategia della tensione in Italia, sugli ambienti dell'estrema destra e dei servizi segreti americani e delle loro responsabilità negli attentati di quegli anni.
Per oltre due ore Fabrizio bevve caffè, ascoltò il video e i suoni di quella calda notte d'estate. Fece qualche pausa quando lo coglieva il sonno. Non voleva dormire. Voleva scoprire la verità a cui suo padre lo aveva indirizzato. Andò un paio di volte sul terrazzo a guardare la luna e la luce di quel pianeta riversata sui tetti di Empoli e sulle colline lontane del Montalbano.
Era vuoto e senza preoccupazioni. Si sentiva sospeso. Inseguiva i pensieri, le trame, le voci dei testimoni del video. I tanti perversi personaggi che avevano creduto, agito, ucciso in nome di una visione...Yves Guérin-Sérac...ufficiale dell' esercito francese che aveva combattuto in Indocina, Corea e Algeria membro delle truppe di elite della 11ème Demi-Brigade Parachutiste du Choc, che lavorava con lo SDECE (l'intelligence francese) che aveva fondato l'OAS, un esercito segreto che combatteva contro l'indipendenza dell'Algeria.
Da Lisbona dirigeva l'Aginter Press che si occupava di distruzione delle strutture di stato, della manipolazione dei gruppi comunisti. Che nello specifico era il lavoro del suo secondo, Robert Leroy, il cui compito era esattamente di infiltrarsi nei movimenti della sinistra, di costituire finti movimenti di sinistra in modo da preparare la strategia degli attentati e far ricadere gli attentati stessi nelle responsabilità delle forze di sinistra. Negli anni 67 e 68 Leroy aveva operato in Italia a Torino, Milano e in altre città infiltrandosi in movimenti filo-cinesi e spingendoli ad azioni eversive che non erano in programma tentando di radicalizzarne le posizioni, preparando il terreno perché gli attentati futuri fossero imputati a gruppi minoritari: anarchici, maoisti...o comunque di sinistra.
L'Aginter Press, avevano spiegato nel video, costituiva il coordinamento europeo, mentre nei singoli paesi agivano i gruppi locali. In Italia Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, erano i diretti esecutori della strategia ispirati da questa realtà.
Un' esperienza diretta del capitano Yves Guérin-Sérac l'aveva avuta Vincenzo Vinciguerra un terrorista nero di Avanguardia Nazionale e di ordine Nuovo, condannato all'ergastolo per la strage di Peteano, che veniva intervistato nel video.
"La presenza di Guérin-Sérac dei suoi uomini, ma anche dei francesi, dei tedeschi, degli americani - aveva detto Vinciguerra - la vediamo nel corso di tutti gli avvenimenti che si succedono. Nella creazione dei circoli anarchici, delle infiltrazioni a sinistra. Nella nascita dei gruppi extra parlamentari a Livorno nel 1967 con i soldi della CIA. In tutti questi eventi noi vediamo la presenza costante degli uomini dell'Aginterpress. Soprattutto per quello che riguarda l'addestramento e la preparazione degli uomini all'infiltrazione nei movimenti della sinistra extraparlamentare per la strumentalizzazione dell'avversario politico...Ralf [nome in codice di Yves Guérin-Sérac] era un esperto in propaganda nera...Ralf, lo posso dire, era una persona estremamente preparata. Molto intelligente, abile. E molto religioso. Mi ha colpito la religiosità di Ralf. Ogni sera si leggeva la preghiera del paracadutista. Infallibilmente la preghiera del paracadutista tutte le sere! Una personalità affascinante. Un uomo estremamente pericoloso però perché privo di scrupoli come tutti i cattolici integralisti. La civiltà cristiana si costruisce su milioni di morti. Ralf non avrebbe avuto scrupoli a fare milioni di morti per salvare la civiltà cristiana. La caratteristica della strage è quella di colpire nella massa. Quello che diceva Guérin-Sérac e quello che dicono i manuali dei servizi segreti francesi è che il terrorismo stragista colpisce fra la folla. Si colpisce la persona inerme per creare il terrore".
A queste ultime parole Fabrizio, cercando di fissare la luce della luna, si ricordò le frasi di disperazione che aveva sentito in alla TV in bocca alla gente dopo la strage di piazza Fontana, che si domandava a chi giovasse creare una tale situazione di spaesamento, di tensione, di asprezza. Un crimine terribile commesso contro la gente semplice, contro tutta la gente, contro la collettività, contro il popolo tutto.
Ma chi aveva messo quelle bombe? A Milano a Roma nello stesso giorno? Perché? Chi aveva voluto questo? Chi era in cima alla piramide?
Gli risuonarono le frasi apocalittiche di Mons. Oliveri durante l'omelia del 15 dicembre 1969 per il funerale delle vittime della strage di piazza Fontana, in un giorno dicembrino in cui il cielo sembrava scendere giù per la cupezza, tanto da far pensare che fossero state spente le luci: "Ancora una volta il sangue innocente di Abele sparso a macchie enormi offende questa mia diletta città!"
La strada che conduceva alla cuspide della piramide passava per il Veneto nero i cui movimenti dell'estrema destra erano infiltrati e controllati dai servizi segreti americani, agenti pazzi perché agenti militari e negli uomini dei servizi quelli militari erano più pazzi dei civili. Il giudice Guido Salvini che aveva a lungo indagato sulle infiltrazioni confermava che questi ufficiali erano tutti stati controllati e verificati nella posizione che era stata indicata dai collaboratori e che in particolare appartenevano alla FTASE, la base del comando delle forse alleate del sud Europa di Verona.

E l' Italia quella povera Italia gli appariva ora come una terra in cui tutto si era sperimentato. Ma perché? Perché gli esperimenti in terra italiana appartenevano ad altri stati?
Era vero allora quello che aveva letto. Che l'Italia era una democrazia del doppio stato. Una nazione in bianco e nero, da romanzo criminale. Una repubblica a sovranità azzerata e a perenne rischio di democrazia.
Di lontano cominciava a spuntare il sole. Fabrizio si era seduto sulla poltrona della madre, che aveva portato sul terrazzo. Gli uccellini sugli alberi del giardino prendevano a cinguettare. Il bar sotto casa tirava su la saracinesca. Al supermercato arrivavano i primi camion per scaricare le merci. Nemmeno un'auto. Solo due negri in bicicletta pedalavano verso la stazione.

Saturday 5 January 2019

Il '68 in cifre e il Sessantotto in lettere (la vittoria del capitalismo postmoderno)



Quando Fabrizio ritornò Silvano sedeva davanti alla TV. Non salutò. Non disse una parola. Guardava la TV con una espressione fissa. Stava rigido, disteso e lungo sul divano.

- È tutta la sera che è così disse la filippina - non ha voluto nemmeno mangiare.

Fabrizio era preoccupato. Quando suo padre era in quello stato preannunciava un peggioramento mentale e di conseguenza fisico. Si connetteva a quell'universo fatto di nero e nulla che sembrava tirarlo dentro giorno dopo giorno.
"Quando sarà quel giorno?", si chiedeva allora Fabrizio.
La filippina al solito lo aspettava già vestita e pronta a scappare appena lui avesse varcato la porta.
Se ne andò, finalmente. A Fabrizio che se ne andasse subito, non dispiaceva. Non gli piaceva. Era d'accordo con suo padre. Che poteva avere in comune l'universo da cui proveniva la filippina con quello di suo padre?
Ma questa era divenuta l'Italia. Un paese dove gli italiani contavano meno degli immigrati. Un paese di contraddizioni profonde, in cui i comunisti si erano trasformati in fascisti e i fascisti che mai erano scomparsi se non all'apparenza si erano fusi con i comunisti, al punto che era impossibile distinguerli.
L'aveva detto anche Pasolini che un provocatore ai tempi suoi sarebbe stato subito smascherato e riconosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli...ma dopo c'era stato un livellamento che aveva reso impossibile distinguere un provocatore da un rivoluzionario, perché destra e sinistra si erano fisicamente fuse. Ma chi aveva provocato quel livellamento? Tante domande rimangono senza risposta, perché la realtà visibile non mostra mai quello che ha operato la realtà che sta sotto.

Rimasero lui e Silvano, che non parlava in nessun modo. Si sedé di lato a lui sul divano grande e lo guardò.
Silvano pareva davvero in un altro mondo. Come una particella impossibile da determinare nella sua posizione.

- Voglio raccontarti la mia vita. Devi sapere quello che ho cercato di fare nella mia vita, prima che muoia.

Fabrizio a quelle parole si sentì sconcertato. Onestamente non aveva nessuna voglia di subirsi i racconti di suo padre.

- Voi giovani credete di sapere. E invece non sapete nulla. Vabbeh tu eri un ragazzino...io mi ricordo tutti quegli studenti in piazza che urlavano a Lenin, Mao, Ho Chi Minh...che . credevano di cambiare il mondo...e magari ci credevano e non sapevano che erano manovrati...tutti si chiedono perché il '68 ha fallito. E ci credo. Chi guidava, i capi, erano tutti al soldo dei servizi segreti. Hanno fatto quello che dovevano fare e poi sono passati dall'altra parte. Guarda Quello che chiamavano il Rosso a Parigi, o Joschka Fischer ...

Fabrizio lo guardava a bocca aperta. Suo padre era forse ritornato di qua, nell'universo in cui anche Fabrizio viveva. E sembrava aver ritrovato la ragione.

- ...tu che pensi di sapere tutto, tu che hai studiato tutta la tua vita hai mai sentito parlare dell'operazione Blue Moon?
- No.
- Vedi...voi credete di sapere e non sapete nulla. Io, quando lavoravo a Roma ho incontrato tanta gente. Ho incontrato anche uno...che si chiamava...Ca...Cav... - Silvano si fermò, guardò Fabrizio con uno sguardo spento, senza vita.

- Non me lo ricordo Fabrizio, mi dispiace.
- Non ti preoccupare babbo. Ma che ti ha raccontato?
- Non me lo ricordo Fabrizio. portami a letto, sono stanco. Che farà Sabatina? Chi c'è all'ospedale con lei?
- Luigi.
- Meno male. Poveraccia, sola all'ospedale...fra poco moriremo, Fabrizio. Rimarrai solo. Ma hai la casa. Quella sarà tua. Almeno da dormire ce l'avrai.
- Grazie, babbo - ma Fabrizio sapeva che non avrebbe mai più voluto vivere lì quando sarebbero morti.

Fabrizio tuttavia rimase incuriosito dalle parole del padre. E quando finalmente il padre si addormentò lui prese il computer e digitò: operazione Blue Moon.
Trovò un documentario della Rai che spiegava bene quella che era stata un'operazione della CIA sperimentata in USA, e poi diffusa in Italia e in Europa, per la diffusione delle droghe pesanti, eroina, morfina, LSD per stroncare la protesta. C'era in effetti in quel filmato un agente segreto italiano che allora faceva parte dei Legionari e che aveva partecipato a una riunione dei servizi segreti della NATO e a cui con sua grande sorpresa prendevano parte agenti dell'Est e il cui nome ricordava quello storpiato dal padre: Roberto Cavallaro. Che fosse veramente lui?
Fabrizio si fece un caffè era ormai quasi mezzanotte. Andò sul terrazzo. La notte fuori era calda e calma. Aveva perso il sonno. Per fortuna quella notte il babbo dormiva e non urlava come tutte le notti quando Sabatina era a letto con lui. Sembrava che l'assenza di lei avesse agito su di lui come un anestetico.
Fabrizio aveva perso il sonno. Non pensava più a dormire. Fissava le colline del Montalbano illuminate dalla luna piena. Vide una collina che appariva diversa da come solitamente appariva.
Gli vennero in mente allora le parole di un filosofo italiano, Costanzo Preve, che diceva che il '68 lo capisce meglio un qualunque tassista che un intellettuale della sinistra. "Distinguerei gli eventi concreti del '68 scritto in cifre dal Sessantotto scritto in lettere maiuscole che è un mito di fondazione del nuovo capitalismo postmoderno" aveva affermato. Ora capiva meglio l'imbroglio, quello che sta sotto e non si vede e condiziona il sopra che si vede.
Rientrò, voleva indagare di più. Quel momento di lucidità di suo padre gli aveva aperto un mondo che non sospettava. Suo padre lo aveva aperto a un nuovo linguaggio, che gli consentiva di scoprire una realtà che seguendo la narrativa ufficiale sul '68 lo conduceva per forza di cose a conclusioni sbagliate.

Operazione BLUE MOON (1)



È difficile se non impossibile inventare un complotto a tavolino dal nulla. È impossibile farlo se non si ha l'intelligenza ...e questi grandi strateghi hanno spesso questa intelligenza di cogliere quello che si sta muovendo nella società, di aggrapparsi ad un fermento, di ingigantirlo di piegarlo e di indirizzarlo in una certa direzione... (Giancarlo De Cataldo)


Thursday 3 January 2019

Synopsis of "The day when Italy died" novel in progress







8th September 1943 is the Italian singularity. The climax point in which all the ills of Italy's universe from Unification up to that day, 8th September 1943, implode and then a new universe begins again because the old forms (ills) of the unitary state are replaced by two simple structures: the loss of honour and the loss of sovereignty. The 8 September 1943 both of them are zeroed out and remained as such until the present days.
Both of them were then loaded with other plus-structures that during the existence of the Italian Republic did not modify the two starting structures (the zeroed-out loss of honour and loss of sovereignty).
This is the analytical sense of the novel "The day when Italy died".
Through a binary code1-0 (Sabatina and Silvano from 1943 to 2018) and 0-1 (Sabatina and Silvano from 2018 to 1943) the history of Italy is unraveled between public and private .

Wednesday 2 January 2019

Sinossi di "Il giorno in cui l'Italia morì" romanzo in progress




L' 8 settembre 1943 è una singolarità. Il punto culmine in cui tutti i mali dell'universo Italia dall'Unificazione fino a quell'8 settembre implodono per poi riesplodere in un nuovo universo in cui le vecchie forme dello stato unitario vengono ricomposte partendo da due strutture semplici che sono la perdita dell'onore e della sovranità, entrambi azzerati e rimasti come tali fino ai giorni presenti, caricandole poi di plustrutture che non riescono comunque a modificare quelle di partenza.
Questo è il senso analitico del romanzo "Il giorno in cui l'Italia morì".
Attraverso un percorso binario 1-0 (Sabatina e Silvano dal 1943 al 2018) e 0-1 (Sabatina e Silvano dal 2018 al 1943) si dipana la storia d'Italia fra pubblico e privato.

Tuesday 1 January 2019

Millenovecentosessantotto - pubblico e privato





Voi credete nella possibilità di una cultura rivoluzionaria? 
Noi crediamo nell’uso rivoluzionario della cultura.



Durante tutto il 1967 in molti cominciano a scendere in piazza per il Vietnam. Il lontano paese asiatico venne visto come un banco di prova per battere l’imperialismo americano e il capitalismo occidentale.
Ma c'era ancora l’altra Italia che l'11 giugno si esaltò per la vittoria di Felice Gimondi al grande Giro d'Italia del cinquantenario. Era l’Italia del boom, ben contenta di vivere nella società dei consumi e che di lì a poco, il 3 dicembre, avrebbe visto nel primo trapianto di cuore del chirurgo divo Christian Barnard la dimostrazione che il mondo si avviava verso il suo massimo splendore tecnologico. Un'Italia la cui società era ancora fondata sull'autoritarismo e in cui i figli si vestivano come i padri e le figlie come le madri e osservava stupita e preoccupata il dissenso dei giovani. In autunno il movimento studentesco si manifestò in tutta la sua forza. Il primo novembre a Trento partí uno sciopero che sarebbe durato più di un mese. Il 17 novembre l'assemblea degli studenti dell'Università Cattolica di Milano decise di occupare l'ateneo per protestare contro l'aumento delle tasse d'iscrizione e un sistema di selezione degli studenti che da molti era ritenuto classista…era un paese che si apriva ormai alla beat generation, ai cosiddetti capelloni che protestano contro la società stando seduti tutto il giorno su una gradinata non facendo niente, nemmeno parlare, e con ciò rifiutavano di essere travasati da una cultura di valori già pronti. Era un paese che si apriva al sesso libero, al movimento studentesco...alle rivolte...agli anni di piombo.

Sabatina stava in quell’Italia che credeva nella società dei consumi. Stava con l'Italia leggera e superficiale di Claudio Villa e Iva Zanicchi che avevano vinto quell'anno il festival di Sanremo con "Non pensare a me".
Silvano stava invece a metà strada, glielo dettava la sua posizione politica pubblica (non si potevano perdere voti) ma in privato dissentiva dalla sua posizione pubblica.
Una volta a Roma parlando a quattr'occhi con il giovane Craxi si era aperto e gli aveva detto in tutta confidenza:

- Io non capisco per quale ragione coloro che chiedono con diritto certe riforme della società le debbano imporre con la violenza di piazza in un paese in cui è aperta la lotta con il metodo democratico. Per quale ragione allora, io, che potrei non essere d'accordo su certe riforme della strutture dello stato le devo subire soltanto perché c'è una minoranza di studenti o di operai che in piazza occupano le sedi degli edifici pubblici, insulta le forze armate... Vorrei dai comunisti sapere che razza di democrazia è quella per cui una maggioranza di cittadini che votando dimostra di non avere nessuna intenzione di accettare un certo tipo di riforme, le deve invece accettare soltanto perché duemila, tremila o quattromila studenti appoggiati da operai - cosa della quale dubito perché non li ho mai visti in piazza con loro...gli operai hanno dimostrato maggiore buon senso...ripeto, vorrei sapere per quale ragione dobbiamo subire le loro imposizioni solo perché c'è gente che occupa le sedi pubbliche, piglia a sassate i carabinieri e perché ferma i treni alle stazioni ferroviarie? Vorrei sapere che razza di democrazia è questa che dobbiamo subire?

Come fanno i comunisti che promettono un comunismo che non s'è visto in nessuna parte del mondo neanche in Cecoslovacchia...un comunismo che rispetta i diritti dell'opposizione, la libertà dei cittadini, la libertà di stampa, il diritto di associazione...ad appoggiare poi queste forme di contestazione violenta...ma se lo vogliono fare è un problema loro, se vogliono ancora mentire come hanno sempre mentito facciano pure...ma noi, noi, perché dobbiamo farlo?"

- Silvano - gli rispose Craxi - dobbiamo fare fuori tanta gente nel partito perché non si commettano più errori simili. Questo sarà il mio obiettivo nel partito. Voglio ridare ai socialisti l'onore e l'orgoglio di sentirsi socialisti e non umiliati dai comunisti.

A Silvano quel ragazzone giovane dall'aria spavalda e dall'irruenza di un cinghiale piacque. Le sue parole e la sua sfrontatezza gli ricordarono quelle che un altro giovane tanti anni prima gli aveva detto in treno fra Bologna e Firenze.

Fu in quell’anno che Sabatina cominciò ad avere problemi al naso. Le furono diagnosticati due polipi al setto nasale. E quello fu il suo 68. Mentre fuori nelle strade si scendeva in piazza a contestare a scontrarsi con la polizia lei lottò con la malattia, con i dottori e con gli ospedali, con le operazioni chirurgiche e con i decorsi postoperatori. E anche con il nervosismo di Silvano che vedeva aumentate tutte le sue responsabilità. Si trovò solo con due figli. Si trovò solo a mandare avanti la casa.
E’ vero che Ida cercò di aiutarlo ma il rapposto con la madre era divenuto più formale, più difficile e evitava di chiamarla, se non lo stretto necessario. Era stanco di sentire sempre le solite parole, le solite critiche, le solite accuse. Sembrava avesse un disco rotto dentro se stessa che girava sempre sullo stesso solco e ripeteva sempre la solita melodia.

Quando ritornò dall'ospedale Sabatina si sentì più vecchia.
La malattia l’aveva spossata. L’anestesia e i medicinali le avevano cambiato l’umore e il corpo. E il ritorno alla realtà fu troppo brusco.
Le sue strutture cederono troppo presto. A causa di questo avvertì forse quel senso di invecchiamento in modo precoce.
Silvano no, era il cavallo di sempre. Non aveva il tempo per sentirsi vecchio. E poi la rabbia che aveva dentro lo teneva vivo e giovane.
Per Silvano il 68 non fu anno diverso da tutti gli altri. Percepiva ormai la realtà in virtù dei filtri del partito: comunicati, riunioni alla direzione, quello che si scriveva l’ Avanti!, quello che vedeva in TV, ma non ebbe mai un contatto diretto con quel movimento.
“Compagno” per Silvano era una parola che indicava solo il “compagno” socialista, i comunisti per lui non erano compagni. E il fatto che i comunisti tentassero di egemonizzare quel movimento ma vi rimanessero in rapporto conflittuale denunciava palesemente il tentativo di incassare voti e basta, che era esattamente quello che detestava in certe correnti socialiste.

Il divario fra Sabatina e Silvano andò ad aumentare.
Silvano accolse il ritorno di Sabatina da una parte come una liberazione dall’ altra come un fastidio, perché significò per lui fissare appuntamenti con i medici, accompagnare Sabatina a visite mediche, medicine, nuovi soldi da spendere…e lo spaesamento con cui Sabatina ritornò a casa lo innervosiva.
I bambini erano invece felici di rivedere la madre. Presero a raccontarle che avevano fatto nel tempo che la madre era stata all'ospedale. Di come Luigi avesse sempre preparatro il pranzo e la cena per loro due.

- Mamma, mi prendeva in giro Luigi.
- Ma che dici, Fabrizio?
- Non lo ascoltare, mamma.
- Faceva il furbo, Luigi.
- Come faceva il furbo?
- Sì, aveva inventato il “mangiare psicologico”?
- E che sarebbe?
- Una volta ha fatto il baccalà. C’erano solo quattro pezzi. Ho detto che erano pochi. IO avevo fame. Lui mi ha detto “Devi mangiare piano. In modo psicologico. Mangi piano e pensi che quello che mangi è tanto. Io ci credevo poco. Però ci ho provato. Io mangiato un pezzo e lui tre. Tutti i giorni faceva così. Alla fine ho smesso di mangiare psicologico. Mangiava tutto lui!”.

Sabatina scoppiò a ridere. Era tanto che non rideva così.

- Mamma, perché la polizia picchia quelle persone?

Fabrizio stava guardando delle immagini alla TV. Uno scontro fra polizia e studenti.

- Sono degli studenti, che contestano la scuola. Vogliono occupare l’università.
- Per questo la polizia li picchia?
- Credo di sì. Non vuole che stiano lì dentro.
- Non si può occupare.
- Non, credo.
- Ma la polizia è cattiva e gli studenti buoni?
- Non lo so. Ma la polizia non sempre è buona. Non credo dovrebbe picchiare così gli studenti.
- Anche io.
- Fabrizio, non guardare alle apparenze. La polizia è polizia, ma non credere che quelli che gli stanno davanti, gli studenti siano migliori.

Fabrizio guardò suo padre. Era evidente che non capiva.

- Ora tu stai dalla parte dei poliziotti - intervenne Sabatina - un socialista che difende la polizia. Qualche volta dubito che sei socialista.
- Io sono socialista, ma non sono comunista. Eppoi anche chi è nel partito comunista si è schierato con i poliziotti. Quello lì, che scrive i libri e fa i film. Pasolini.
- Non lo conosco. Non so chi è Pasolini.
- Quello che è omosessuale.

Aboding monsters

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