Sunday 22 October 2023

Una notte di fantasmi e ossessioni (da "Il piacere di sentirsi cane")





Il sonno è cosa che chiede rispetto. Pensò Luca mentre guardava Carlotta che dormiva, travolta dalla stanchezza di quella notte che mai sembrava finire.
Dormiva dolce. Come bambina. Aveva una mano poggiata sulla guancia.
Nel rispetto che lui proiettava su di lei, lei dormiva come una regina.
Davanti a quella bellezza che dormiva, intese come il mondo suo fosse sempre più lei. Il mondo quello vero. L’altro, quello che era fuori da quell’appartamento, diveniva giorno dopo giorno orribile. Cattivo. E Luca era giunto al punto che non sopportava la cattiveria. Era divenuto allergico alla cattiveria e all’egoismo. L’Italia si era mutata in un paese di cattivi, di persone senza anima. Di grande egoismo.
Italia brava gente? Sorrise. Forse una volta. O forse mai. Forse era un autoconvincimento con cui gli italiani avevano sempre nascosto il loro immenso egoismo.
Era divenuto un popolo senza sostanza. Vuoto. Sembrava che gliel’avessero succhiata via.
Era ormai tutto e solo apparenza quello che la gente mostrava. Dentro non era rimasto niente.
Il vuoto completo. Un’assenza totale, dal senso vero della vita.

Avrebbe voluto illudersi. Ingannarsi. Continuare a immaginare che la gente là, fuori da quell’appartamento, fosse ancora la gente che aveva conosciuto e aveva stimato. Ma ora quelli a cui si riferiva, quelli che erano stati la direzione della sua vita, non erano più lì a testimoniare la loro presenza.
E vivevano, tuttavia, ma vivevano come ricordi, ossessioni, ombre, approssimazioni di quello che lui era stato e ora era divenuto. E per vivere chiedevano, chiedevano a lui energia, per essere tenuti in vita. Non erano neutri. Erano quasi vampiri. Vivevano perché si nutrivano di lui.
Come liberarsene? Ma davvero avrebbe potuto liberarsene? E soprattutto, voleva liberarsene? 
Forse sì, un giorno, quando anche lui sarebbe divenuto come loro. Un’approssimazione. Anche lui sarebbe rimasto, nutrendosi di energia, dell’energia di chi lo teneva in vita. Allora forse anche lui sarebbe divenuto come loro, sarebbe passato dalla loro parte. E sì, allora, solo allora, veramente sarebbe stato libero.

Lui e Carlotta ora mangiavano poco. Il cibo era divenuta la parte più inessenziale della loro vita.
Controllavano così meglio quelle forme intelligibili che per approssimazione si nutrivano della loro energia. Li privavano di ciò che più avevano bisogno: corpi sazi, gonfi, ripieni, su cui meglio aderire. Meglio esercitare la loro influenza.
E sorprendentemente il corpo diveniva più leggero, di entrambi, perché ogni eccesso, quell’eccesso che attira quelle forme che mai muoiono, eterne, e incapaci di andarsene, nel digiuno si allenta, e più male vi aderiscono per approssimazione quelle forme alla nostra anima, alla nostra pelle. Gli viene a mancare ciò che le tiene in vita. Il sostentamento dell’eccesso.
E lui e Carlotta si sentivano sollevati, sollevati dagli incubi, dall’ossessione di averle sempre addosso. Gli davano un po’ di abento.
In un certo senso erano felici. Felici di avere un corpo leggero, un’anima più pulita, priva delle loro incrostazioni. Delle cancrene per cui aderivano.
Nel tempo aveva convinto Carlotta al digiuno. Perché conosceva la gioia a cui un digiuno prolungato porta, conosceva il senso di liberazione e di libertà che ti apre innanzi.

In verità, aveva un solo obiettivo: lasciare Carlotta felice quando lui non ci sarebbe stato. E non avrebbe voluto poi tormentarla. Non avrebbe voluto starle vicino dopo, e debilitarla con il ricordo di lui. Oh sì debilitano quei ricordi. Quanto dolore energia tempo e sofferenza procurava a lui il ricordo dei suoi genitori, che mai lo avevano lasciato dopo la morte.
Li amava, troppo, e quel troppo amore li univa anche dopo, non si interrompeva perché loro non se ne andavano ma stavano lì, anche ora in quella camera al buio con lui, mentre lui teneva la mano di Carlotta e la guardava.

-  Vedete mamma e babbo com’è bella Carlotta? Peccato che non abbiate avuto il tempo di conoscerla...vi sarebbe piaciuta...lo vedi mamma...ho trovato la donna che mi ama finalmente. Che ha cura di me...ti preoccupavi tanto. E tu babbo sarai contento immagino che Carlotta ha voluto prendere il cognome della nostra famiglia? Oh sì lo so, che sei contento. Lo so, a te questa cosa avrebbe fatto immenso piacere. Lo so...

Guardò la finestra. Cominciava a fare l’alba. Era rimasto tutta la notte a guardare Carlotta dormire. Non potyeva dormire. Un grande cambiamento si stava producendo.

- No, non è solitudine la nostra. Noi insieme non saremo mai soli. Non ci coglierà la pazzia, che coglie chi vive una vita di silenzio e solitudine. Insieme siamo la nostra stessa resurrezione. Insieme siamo felici. E gli spettri che ci circondano, le voci che mi tormentano, non potranno divorare la nostra resurrezione. Mai.

Sentì finalmente gli occhi farsi pesanti e chiudersi. Si coricò accanto a Carlotta. E per un attimo guardò ancora alla finestra. 

Già il sole appariva.

Come quel sole di un’unica luce fatti erano, in due distinti.


Fu l’ultimo pensiero.

Wednesday 18 October 2023

Porphyry's Fourth Sententia gives more depth to Strindberg's obsessions

 



















When I watch August Strindberg's plays, I recognize and identify his obsessions and demons in the same way Porphyry describes the presence of the Intelligibles in his Sententiae. Here is the Fourth Sententia, which drops and enlarges the vision about the way these obsessions and demons stick to the mind:

ὰ καθ᾽ αὑτὰ ἀσώματα, οὐ τοπικῶς παρόντα τοῖς σώμασι, πάρεστιν αὐτοῖς ὅταν βούληται, πρὸς αὐτὰ ῥέψαντα ἡ πέφυκε ῥέπειν: καὶ τοπικῶς αὐτοῖς οὐ παρόντα, τῇ σχέσει πάρεστιν αὐτοῖς.

Incorporea per se, quae non adsunt corporibus praesentia locali, adsunt eis quandocunque volunt; vergendo ad illa, quatenus scilicet naturae instinctu vergunt: sed cum locali praesentia eis non adsunt, adsunt tamen habitudine seu affectu
(translated by Marsilio Ficino)

Things essentially incorporeal, are not present with bodies, by hypostasis and essence; for they are not mingled with bodies. But they impart a certain power which is proximate to bodies, through verging towards them. For tendency constitutes a certain secondary power proximate to bodies (translated by Thomas Taylor)

Sunday 15 October 2023

Silvia - un incontro per caso sulla scena della vita






L'avevo sognato quell'incontro. Nello stesso modo che avvenne.
Avevo sognato che camminavo un giorno e una ragazza che somigliava a lei, a Silvia, mia figlia, passava camminando. Quel giorno.

Silvia, Silvia! - io la chiamai, nella luce di quel giorno. Ma lei non mi sentiva. E allora la chiamai più forte: Silvia!!
Finalmente, lei, si girò. Si girò e guardò infine.

E poi mi ero svegliato.

Ma fu così che avvenne, nello stesso esatto modo. Un anno dopo, quasi.
In piena estate, in un caldo che mi schiacciava a terra, cercavo un bar, dove potessi bere un caffè. Se bevevo un caffè mi sarei ripreso. Altrimenti non so, poteva essere che sarei mancato. Svenuto. Caduto per terra.
Ma sono difficile nello scegliere i bar. Non posso entrare in ogni bar. E mentre giravo per Empoli alla ricerca del bar che mi piacesse, la vidi.

Che strano ritornare nella stessa città dove sei praticamente cresciuto e vissuto, dopo tanti anni. Dopo gli anni soprattutto che hanno sconvolto il mondo in modo meschino, che hanno capovolto ciò che è bene in ciò che è male e ciò che è male in bene.
E' come finire in un mondo parallelo in cui sbuchi improvviso e ti ritrovi in un universo simile in tutto, ma sai che non è lo stesso, perché senti che quel mondo che vedi, per come si dà, non è lo stesso modo in cui si dava prima. E benché paia una sensazione è però una certezza.
Sei tu, ma tu che ti esprimi in un' altra lingua, diversa da quella di prima.

Ed eccola Silvia, esce da un negozio con una borsa di carta in mano. Forse ha comprato una maglietta per sé.
La vedo, è lei, reale, e tuttavia ho con me questo sentimento ancora, di venire da un mondo parallelo a questo in tutto simile, ma non lo stesso di quello in cui vivevo prima.
Eccomi dire come nel sogno; Silvia, Silvia! E come nel sogno lei non mi sente e va avanti. E alllora urlo ancora più forte: Silvia!!
Si volta e guarda (come nel sogno).
Silvia! - allora ripeto.
Mi vede finalmente. Lei non sorride e nemmeno sembra sorpresa. Semmai imbarazzata. 
Sono cinque anni che non la vedo.

Mi avvicino, la abbraccio, sento la sua pelle i suoi capelli dopo tanti anni. Sento il caldo del suo corpo. Vedo le sue braccia magre, e capisco che ha sofferto. E capisco come mi è mancata e come le voglio bene.
Respiro, respiro il mio amore per mia figlia. Finalmente.
Silvia - mia bambina... E la stringo forte al petto.
Lei ha le labbra serrate. Lo vedo che ha patito. E io so che sono una gran parte della sua sofferenza.
Ho scelto di lasciare l'Ialia e lei l'ho sacrificata. Ho sacrificato soprattutto la sua fiducia in me.
Ma che potevo fare? Non avevo scelta. O scegliere la vita o scegliere un sacrificio inutile. In questo paese sarei finito alla deriva. Ora lo so con certezza. Ora so con certezza che a causa della pandemia sarei caduto nelle sue trame e avrei perso il lavoro, e ora sarei stato senza lavoro senza casa senza soldi...come avrei vissuto?
E invece ho superato gli orditi di questa ennesima prova e fuori dal mondo in cui ero vissuto mi sono rifatto una vita, perché mi sono dovuto inventare una vita, che non avevo, che avevo lasciato nel mondo da cui venivo.
E me ne sono inventata una completamente nuova.

- Come stai, Silvia? Mia piccolina... - le dissi accarezzandole i capelli mentre la stringevo a me.
- Beh si cerca di andare avanti... - mi rispose un po' contratta, quasi timorosa, ma non fredda. Conoscevo Silvia. La conoscevo fin dai primi giorni della sua venuta. Benedetto il giorno, e l'ora che è nata, e Dio sa che mi bastava ora guardarla un attimo per sentirla, per capirla fino in fondo. L'avevo tenuta in braccio, l'avevo coccolata fino dai primi minuti che venne alla luce e fino a sedici anni era stato il mio alter ego inseparabile, poi piano piano i nostri disegni ci avevano allontanato dallo spazio comune della nostra comune commedia.

- I bambini?
- Crescono...

Quegli anni erano stati come un gorgo, che si era aperto tra noi inatteso senz’alcun sospetto, e ci aveva afferrati e travolti in un attimo,e per cinque lunghi anni ci aveva tenuti dentro il suo abisso. E ora lì fra le mie braccia quel gorgo si richiudeva, con fatica, ma si chiudeva.
Le parole però salivano con difficoltà dalla voragine in cui eravamo precipitati. Dovevano percorrere una strada lunga per riandare lungo il budello infinito che le separava dalla superficie.

Non le chiesi se anche lei voleva un caffè o qualcos'altro. Vedevo come pativano le parole fra noi.
C'erano tra noi troppi spettri, troppe ombre ancora che impedivano ai nomi ai suoni dei lemmi di salire liberi.

La libertà. Che bella parola. Ma chi davvero conosce la libertà?
Nemmeno noi due in quel momento eravamo liberi di essere ciò che avremmo voluto essere.
Quasi mai si è quello che si vorrebbe essere, ma sempre si è qualcosa di diverso da quell'istinto che portiamo dentro e soffochiamo per essere qualcos'altro, infine.
E ora mi ricordo quando eravamo liberi, liberi insieme. Erano quei giorni di estate bella come oggi. Ingenui entrambi della vita, che credevamo  un giorno sarebbe il risultato delle promesse che pareva ci avesse fatto.

Vivevamo di ingenuità e di poesia. La poesia non è solo quella scritta su un foglio di carta. E' anche la vita, certi momenti della vita si fanno poesia. Come quelle ore cha passavamo in bicicletta sotto il sole, felici di essere vivi in quel tripudio di luce che benediva di ebbra bellezza le nostre pedalate e i dialoghi infiniti fra me e lei.

Perché questa barriera fra noi Silvia, ora? Perché non siamo come allora, una sola ed unica cosa?
Perché questa parete che ha interrotto la nostra transustanziazione? Il nostro farsi corpo nel corpo dell'altro.
Ma non vi era risposta. Non poteva esservi.
Troppo dolore gli anni avevano gettato. Troppi dubbi e troppa diffidenza ora caricavano i nostri sguardi, le nostre parole.
E quel peso aveva un nome: coscienza.
In quell'incontro l'anima ci univa ma la coscienza ci separava.
Gli idoli e le ombre di questo secolo vivono e nutrono la coscienza. L'anima invece sta in alto, guarda oltre l'orizzone della propria coscienza. Sta nella luce di una città che non è questa, o quella, o tutte le altre in cui agiamo e realizziamo i drammi del nostro esistere, e di cui viviamo come se i drammi fossero veri e reali, e lo sono infatti perché siamo persi in essi e siamo le loro voci, siamo i personaggi che i drammi ci chiedono di essere. Recitiamo a soggetto i nostri drammi.

Che recitavamo, Silvia, quel giorno che per caso vorrei dire, se il caso esistesse, ci siamo incontrati nella città dove i comuni atti della nostra vita ci avevano concesso lo stesso spazio, insieme, sullo stesso palcoscenisco, finché io, attore principale, non avevo abbandonato la scena, impaurito dal peso del ruolo e avevo lasciato il teatro della nostra vita comune - e ti avevo abbandonata lasciandoti sola sul palcoscenisco, muta, sotto le luci impietose dei riflettori che mostravano ogni piega e ogni ruga della tua coscienza impaurita?





Monday 9 October 2023

The damned mass




The mass exists and is shapeless and is damned until the individual distinguishes himself from the mass and emerges from it (universa ista massa merito damnata est – Sant'Agostino epistula 194). It is useless to sanctify the mass as if it is a custodian of who-knows-what- morality of perfection. The mass is made up of individuals. The individuals are faced with choices. Based on their choices they can obtain the path to truth and salvation or condemn themselves to live indistinctly among the dark matter of the mass. In the im-becill-ity of the mass. That is, they walk in the saeculum without (in-) the support (baculum) of the light of truth, of the grace that leads to the truth.

About anxiety and dreaming spirits

Only dreaming spirits are anxious because they are full of Spirit. Are animals full of spirit? Are stupid people full of spirit? Children a...