Wednesday 27 September 2017

Editoria italiana: un muro di gomma




Ho pubblicato "Rugíle" a aprile 2017. Questo libro cosí atipico per questa terra di vecchi (mentalmente) mi ha dato tanta sofferenza.
Ma anche gioia. Gioia quando una donna di settanta anni, ex democristiana, tutta casa e chiesa legge il libro e mi dice entusiasta che le piace.
Gioia quando baristi insegnanti portieri di palazzi parrucchieri, muratori....leggono il libro e mi dicono che gli piace.
Gioia quando tanti ragazzi giovanissimi giovani e millennials leggono il libro e mi dicono che gli piace. Gioia quando lettori accaniti di Don Winslow leggono il libro e gli piace...
Gioia quando vedo gente viva ormonale che gli piace il libro perché è un libro vivo che ha qualcosa da dire!

Tristezza e depressione quando parrucconi con la puzza sotto il naso sentenziano. Rabbia quando editor di case editrici importanti che osannano libri che equivalgono al valore di una scoreggia perché abituati a un trend di pubblicazioni anodine senza contenuti forti ti evitano come la merda che la scoreggia preannuncia.
Quando hai a che fare con questa gente è come cozzare contro un muro di gomma che ti rimbalza indietro in modo ottuso (perché meccanico) ogni volta che ti ci scontri .

Mi viene in mente il titolo di un film di qualche anno fa: Il muro di gomma.
Il film del 1991 di Marco Risi parlava dell'omertà che seguì per dieci anni l'evoluzione delle indagini sull'incidente che vide coinvolto il volo civile IH870 della compagnia Itavia, nel quale morirono 81 persone. Ma a distanza di anni il muro si è deteriorato usurato crepato e la verità si intravede.
Si è squarciato però solo grazie alla fede incrollabile di chi cercava e voleva la verità.

Una scoreggia alla fine rimane una scoreggia anche se ben vestita.


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Thursday 21 September 2017

Rugìle di Fabrizio Ulivieri (L'Erudita Editore) - La forza dell'istinto nel sesso!




Recensione di Anna Ciampolini Foschi

Un intellettuale sulla sessantina, ancora sofferente per gli strascichi di una misteriosa e debilitante malattia, cerca conforto in una serie di incontri erotici con ragazze molto più giovani. In parole semplici, questo non è un tema nuovo per un romanzo, ma l’ autore Fabrizio Ulivieri riesce a decostruire il concetto tradizionale di amore e sessualità e ad aggiungere livelli di profondità psicologica e emotiva al tormentato protagonista e alle donne che incontra. Nonostante le descrizioni esplicite di rapporti sessuali spesso di natura estrema abbiano già attirato molta attenzione su Rugíle, che è il più recente romanzo di Ulivieri, sono piuttosto le oscure, primordiali inquietudini che esprime ad emergere come il tema più profondo della narrazione.

Rugíle è davvero una odissea dei sensi, un tentativo di trascendere i confini della normalità, ma soprattutto è una dolente, cerebrale elegia, un esorcismo contro la impermanenza, l’ inquietudine, il declino dell’ invecchiamento, la morte. Il protagonista, il cui nome non viene mai rivelato, e le sue amanti sono tutte esistenze condannate. Lui è un uomo italiano, maturo, colto, con una buona posizione sociale, che insegue incontri con amanti giovani ed esotiche con un’ansia quasi vampiresca, in parte per recuperare la giovinezza perduta e in parte perché affascinato dalla diversità. Non ama le donne italiane, che considera volgari e sboccate. Trova repellenti le donne mature perché nelle loro rughe avverte il disfacimento della carne nella morte. Invece, cerca di abbeverarsi al vigore della gioventù. Le sue donne vengono dall’ Asia, dall’ America, dall’ Europa dell’ Est. Ognuna nasconde un passato tragico, una storia famigliare tormentata o una dipendenza da ossessioni sessuali inconfessabili. Ognuna, però, offre una prospettiva su altre culture e altri stili di vita che lo attraggono. Esse rappresentano dei possibili portali su altri possibili universi multipli e sono in fondo l’ ultima possibilità rimastagli di provare un sentimento di amore. Il protagonista, che all’ inizio del romanzo afferma di aver perduto ogni rispetto per le donne, si coinvolge in una serie di incontri sessuali che lo portano a sperimentare “cinquanta sfumature di sentimento” e lo conducono anche attraverso varie sfumature di tragedia: tre amanti muoiono tragicamente. Ipazia, una ninfomane bi-sessuale con la quale egli vive una intensa relazione, concepisce con lui un figlio e lo perde a causa di un aborto spontaneo. Infine, muore consumata da un cancro inesorabile. Un’ amica incontrata su Skype, l’ inquieta Ingrid, muore suicida.  Un incidente d’auto spezza la vita di lui e quella della donna che forse avrebbe potuto amare veramente.
 Rugíle, al cui nome si ispira il titolo del romanzo, vien dalla Lituania. È ossessionata dal sesso orale al punto di offrire i propri servizi dietro compenso a uomini sconosciuti, in incontri frettolosi in macchina o nei gabinetti di luoghi pubblici. Rugíle avvia il protagonista verso un insolito percorso che comprende una complessa esplorazione di co-dipendenza, entanglement, somme trasgressioni, accettazione, complicità e il tentativo di ridefinire il concetto stesso di amore.
Due città, Firenze, dove il protagonista vive, e Vilnius in Lituania, costituiscono lo sfondo dove avvengono gli incontri del protagonista. Mentre la geografia di Firenze viene rappresentata soprattutto attraverso la descrizione dei vari locali alla moda come librerie, caffè letterari e ristoranti esclusivi dove il protagonista incontra le sue amanti, i segmenti della narrazione che si svolgono a Vilnius mettono in risalto la vitalità e la bellezza struggente della città e  offrono anche una prospettiva su una società post-totalitaria e post-moderna che cerca di ricostruire la propria nuova identità e riappropriarsene.

Altre culture e paesi che svolgono un ruolo importante nelle vite dei personaggi, come la Corea, il Giappone, gli Stati Uniti e, in misura minore, Milano, sono elementi di rilievo nella tormentata esistenza dei personaggi del romanzo. Kami, una ragazza giapponese, si sente prigioniera delle rigide regole della società nipponica. Ipazia, coreana, si porta dietro una tremenda eredità famigliare legata alle divisioni politiche e territoriali della sua patria.
L’ americana Camille vive in una dualità, in bilico fra la sua cultura di origine basata sull’ ossessione per l’ efficienza, il consumismo e la sessualità senza coinvolgimento emotivo e lo stile di vita che in Italia le appare molto più rilassato.

Ulivieri scrive con scorrevolezza, con una narrazione fluida. Il libro inizia con una scena esplicita di masturbazione, che viene descritta, come del resto tutte le altre scene di sesso, in maniera distaccata e quasi asettica. Dato che non viene lasciato spazio all’immaginazione del lettore e ciò neutralizza la carica erotica della narrazione, sembra giusto supporre che Ulivieri abbia scelto questo genre narrativo per ricordarci che il romanzo si basa più su una ricerca incessante della conoscenza e dell’ immortalità e che il sesso è soltanto uno dei tanti percorsi che si possono tentare. La tragica conclusione del romanzo rappresenta anche la liberazione, lo spalancarsi dell’ingresso verso la dimensione cosmica che il protagonista ha tanto a lungo cercato di comprendere.

Al termine di ogni capitolo, un sommario guida il lettore ad addentrarsi nei collegamenti e le conseguenze delle nostre azioni e su come esse si riflettono su una scala più ampia, a livello cosmico. Cita inoltre le leggi della fisica dei Quanti e altre teorie scientifiche. Non tutti i lettori sono competenti nella fisica dei Quanti o nella teoria delle stringhe. Alcuni lettori potrebbero pensare che l’uso di questa tecnica letteraria rallenta un poco la narrazione e può apparire un pò didattico.

Ulivieri afferma che Rugíle sta incontrando un grande successo fra i giovani e i Millennials. È infatti un romanzo contemporaneo, nel quale convergono moltissimi echi della realtà odierna: intimità virtuale, social media, migrazioni di massa, guerre per procura, stagnazione, incertezza e il malessere generalizzato che permea la nostra esistenza, l’ impermanenza, appunto, sulla quale si basa la vita dei suoi personaggi.

Fabrizio Ulivieri vive a Firenze. È professore di lingua e letteratura italiana presso l’ Istituto Europeo. Ha pubblicato numerosi romanzi, fra i quali: Il ritorno che non volevo, L’ eterno ritorno, Il sorriso della meretrice (2013), Cecilia,storia di un’aliena a Firenze (2014),  Amore Šaltibarščiai e pomodori rossi: Biografia di un amore dall'interno, e Rugíle. È inoltre l’ autore dei saggi, Il Culo e la riduzione fenomenologica, e Albert Richter: un’aquila fra le svastiche. Il ciclismo tedesco fra nazismo e esoterismo, 1919-1939, pubblicato nel 2007.

(Traduzione dall’inglese di Anna Ciampolini Foschi)


Anna Ciampolini Foschi vive a Vancouver, British Columbia, Canada. Scrittrice bilingue di racconti, curatrice di antologie, traduttrice  e giornalista, pubblica in Canada, Stati Uniti, Italia e Costa Rica. Membro fondatore della Association of Italian Canadian Writers, co-fondatrice e co-presidente del F.G. Bressani Literary Prize, sponsorizzato dal Centro Culturale Italiano di Vancouver. Ha detto di Rugíle: “ Il genre del romanzo era piuttosto nuovo per me. Scrivere una recensione dal mio punto di vista è stata una esperienza interessante.”



Tuesday 19 September 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno (quattordicesima puntata)

Foto Živile Abrutytė

Le ragioni dell’amore e dell’essere


L’avevo mai idealizzata Austėja?
Idealizzare suppone un non vedere (o non voler vedere) attraverso una persona, e comunque anche vedendo sorgono un paio di problematiche

1) È ciò che vedo ciò che realmente vedo o è il mio occhio che proietta sul sistema che vedo il mio sistema?
2) Se anche ammettessi che ciò che vedo è realmente quello che vedo a che porterebbe? Viene sempre un momento che si deve scegliere e fare un salto. O A o B. Un terzo non si dà

Secondo la fisica quantistica poi le due cose non si escludono ma rimangono collegate. Nel primo caso è certamente l’occhio dell’osservatore che causa (collassa) l’osservato. Nel secondo caso A e B potrebbero rimanere in collegamento (entangled) e continuare a influenzarsi a distanza.
Se l’avevo idealizzata il motivo poteva essere uno solo: per sfuggire il cinismo che mi teneva prigioniero. Quel cinismo per cui vedevo il mondo come lo vedevo: un mondo di animali, di maschere di carne, carne senza spirito, esseri umani come risultati di programmi quantici che costituivano l’andamento del mondo…non un Dio, non una religione che sono credenze devianti, o come li definisce Richard Dawkins “parassiti della mente”.
Se dunque l’avevo idealizzata in che consisteva quella idealizzazione?
Non avevo dubbi: in lei vedevo la pace. In lei cercavo la pace che non trovavo in nessun luogo. Quel confronto a Belgai, in Rūdninkų gatvė, mi aveva fatto capire che se pace vi era, stava sopra un fuoco che covava, un fuoco in perenne ebollizione, un magma sempre attivo.
Eppure quel magma stava sotto e sopra si vedeva solo la pacifica cupola di un vulcano inattivo.

- Ar galiu paprašyti vienos paslaugos?
- Sì, certo
- Ma come si dice in italiano?
- Che cosa?
- La mia domanda
- “Posso chiederti un favore?”
- Bene..posso chiederti un favore?
- Dimmi
- Potrai avere sempre pazienza con me e sopportarmi nelle mie lune?
- Ci proverò – risposi

Ci si innamora senza nemmeno conoscere perché ci si è innamorati. E questo è sempre effetto del desiderio di chi vuole innamorarsi. Eppure un’interazione deve pur esserci fra il soggetto intenzionato a innamorarsi e l’oggetto disposto all’innamoramento.
Il sistema in cui oggetto e soggetto si muovono in relazione potrebbe chiamarsi “seduzione”.
Io credo che la seduzione sia quello spazio in cui due persone vengono a contatto e possono in un certo senso predire i loro movimenti: capire che alla mossa A ne corrisponderà in correlazione B, o a C corrisponderà D. La predizione costituisce così l’ambito della seduzione. Sì è sedotti perché nascono correlazioni di comportamento per cui l’uno non sarà più in grado di concepire (predire) i suoi sentimenti senza l’altro.

Inizialmente la predizione era orientata da alcuni punti di partenza:

io) Desiderio di pace in me
Austėja) Voglia di pace in lei
io) Desiderio di comunicare il mio desiderio in quella lingua
Austėja) Voglia di imparare una lingua (italiano) in lei
io) Desiderio di fuggire da un amore che mi aveva rovinato la vita
Austėja) Voglia di rompere una relazione con un marito inadatto al suo stile di vita
io) Salvarmi dal cinismo che mi rendeva la vita senza gusto
Austėja) Voglia innata di offrirsi, offrire e soffrire
io) Bisogno di una via di uscita
Austėja) Bisogno di una via di uscita

Questa riflessione sull’entanglement (come si direbbe in fisica quantistica) fu generato da una frase che Austėja mi recitò in lituano in quel confronto a Belgai: kartais nepasitikėjimą kitu skatina nepasitikėjimas pačiu savimi (a volte la sfiducia nell’altro genera la sfiducia in se stessi).
Mi fece capire come ci fosse sempre una correlazione fra due che si seducono o si separano. Mi fece capire che nella base dell’uno già ci deve essere possibilità di correlazione per l’altro.
Credo che nessuna di queste riflessioni sarebbe venuta fuori se a Vilnius non avessi passato i miei pomeriggi a leggere in una libreria di Gedimino prospektas, alle cui finestre stava una frase che esprimeva bene l’essenza di quella libreria

Meilė knygoms ir kavai[1]

In effetti riflettevo sull’amore fra me e Austėja leggendo libri e bevendo caffè.
Mi resi conto che in Italia la mia produttività era dimezzata rispetto alla Lituania. L’amore per Austėja mi aveva trasformato in un instancabile cacciatore di ragioni su perché un amore divenga tale. E in quella caccia che avveniva in un territorio ignoto e straniero, Gedimino prospektas, sembrava che la mia capacità di individuare la preda fosse aumentata per non dire triplicata.
Avevo imparato un’arte sconosciuta: saper amministrare e dosare più attentamente i miei pensieri.
Nell’atmosfera natalizia che illuminava Gedimino prospektas anche i miei pensieri si illuminavano. Il mio cinismo anche si decolorava.
Non ero più chi ero stato ma qualcun altro con il mio nome che stava fuggendo da se stesso oltre che dalla sua terra e che forse un giorno avrebbe definitivamente ucciso quel se stesso da cui fuggiva.

Quanti sé possono esserci in un sé?

In me ne avevo ora individuati almeno due. In Austėja una miriade, almeno la miriade che era pari allo spezzettamento a cui riduceva i suoi sentimenti. 
I suoi baci erano dolci e avvolgenti come la sua lingua e le labbra calde. Erano un modo per entrare in contatto con il calore della febbre che alimentava l’instancabile lavorio di sensazioni che si componevano e decomponevano, coerivano e decoerivano in lei.
Un contatto diretto e profondo, in cui percepivi il sapore del suo essere.
Quel sé inafferrabile e indisponente fino ad un attimo prima lo afferravi ora, nei baci, come docile e ubbidiente.
Eravamo sul filobus numero Sette, di ritorno dal Belgai. Lo avevamo preso alla stotelė, fermata, vicino alla stazione. Il filobus era gelido e quasi privo di passeggeri.
Forse spinta dal freddo e dai piedi infreddoliti per la neve che copriva le strade ed i marciapiedi si avvicinò a me e mi strinse le braccia al collo baciandomi.
Quell’essere (sé) che fino a pochi attimi prima aveva abitato un’area privata e a me estranea decise di aprirsi in quel bacio.
Sentii la sproporzione fra quell’essere muto che aveva abitato nel confronto al ristorante e quello che mi invece si apriva ora, la diseguaglianza fra l’essere che avevo percepito nella distanza e l’essere che percepivo nella vicinanza del contatto fisico. Assumeva la forma di un punto di unione che pareva invitarci alla conciliazione, alla comprensione e alla reciprocità (correlazione).

- Palauk (aspetta)! – mormorò Austėja – quell’uomo ci guarda. Non mi piace essere guardata mentre ti bacio

Ma nonostante Austėja interrompesse il bacio e si distanziasse di poco, quel sé nato dal bacio non se ne andava. Permaneva, stabile.
Aveva aumentato il desiderio per i nostri corpi che sfociava ora in una sospensione apparente che ci faceva sentire l’inconciliabile contrasto di due corpi e di due menti che pur legati entravano in dissidio e si adattavano a quel dissidio.
Ora il corpo predominava, come prima - durante il pranzo - aveva goduto della supremazia un sentimento di sfiducia dell’uno nell’altra che si era insinuato per tutto il tempo come scivolassimo da un universo all’altro.
Ma ora il corpo parlava e nella semplicità di quella gimtoji kalba, lingua originaria, vernacolare, si era operato il riavvicinamento.

Kalba gimtoji – kasdieninė

Tu- duona mums esi,
Kai tariam: motina, gimtinė,
Dangus – ir mes visi[2]


Lingua e madre - lingua di ogni giorno
tu - il pane nostro sei
madre, terra nativa,
cielo - in ciascuno di noi viva
                                                                                                                                                                     



[1] Amore per i libri e il caffè

[2] Justinas Marcinkevičius



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Presentazione di "Rugìle" alla Libreria Todo Modo di Firenze - "La migliore delle librerie indipendenti d'Italia"



Libreria Todo Modo di Firenze - "La migliore delle librerie indipendenti d'Italia" - Via dei Fossi, 15/R, 50123 Firenze
Sabato 21 ottobre, 2017, ore 10,30

Presentazione di "Rugìle" L' erudita editore, Roma, 2017
di Fabrizio Ulivieri


Il romanzo è stato definito come la sfida italiana a "Cinquanta sfumature di grigio" di E. L. James (pseudonimo della scrittrice Erika Leonard).
Una presentazione sicuramente da non perdere.

"Rugìle" si legge tutto d'un fiato. La storia è veloce e concentrata sui rapporti tra un italiano di mezza età, che vive a Firenze, e diverse donne straniere. Una di queste amanti è quella che darà il titolo al libro per la forza tragica con cui affronta la vita e il sesso: Rugile.
Molto singolarmente il personaggio maschile, che non è mai nominato in tutto il romanzo, è fortemente attratto da donne giovanissime e odia le rughe e le donne della sua età, come se rifiutandole lo facesse rimanere giovane per sempre. La sua vita è scandita da donne asiatiche, americane e lituane che gli insegnano l'arte del sesso e dell'amore. C'è un capitolo molto toccante, quello su Ipazia, che racconta la storia d'amore con una bella ragazza coreana, di Seoul, che lavorerà come prostituta a Firenze per superare un complesso edipico con il padre. Nel libro ci sono spesso dialoghi in inglese tra il protagonista e le sue amanti, che sono tradotti in italiano alla fine dei capitoli, trasformando il libro in una eccellente combinazione di italiano e inglese.
"Rugìle" è sicuramente la risposta italiana a "Cinquanta sfumature di grigio" di Erika Leonard.

"Rugìle" è stato recentemente recensito in inglese su "Il Marco Polo" giornale della comunità italiana in Canada, da Anna Ciampolini Foschi, scrittrice e giornalista italo canadese: https://ilmarcopolo.com/2017/09/05/rugile-di-fabrizio-ulivieri/
Uscirà presto una recensione anche in Costa Rica in lingua italiana.
"Rugìle" il libro che ha sorpreso la comunità italo canadese.


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Monday 18 September 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno tredicesima puntata)



Un pranzo, il silenzio, il rock e la rabbia


“Mi sembra che tu costantemente hai dubbi su tutto, soprattutto di te stessa…Talora mi sembra che sono io ad averti creato; che mai sei esistita. Che ti ho creato dall’aria, dall’acqua, dalle alghe, dalle scintille e dal rombo quieto oltre le colline di Vilnius” (Jurgis Kunčinas Tūla)
Era difficile a quale dei due lati dovessi guardare, se al suo perenne dubitare di se stessa e di esistere o alla sensazione che osservandola e descrivendola non fossi io a crearla?
Sedevamo a Belgai, un ristorante in Rūdninkų gatvė che faceva cucina belga nel cuore della senamiestis, centro storico di Vilnius.
Non avrebbe potuto esserci luogo migliore in cui Austėja potesse guardare al suo modo di creare capolavori.
Era il luogo dove veniva ogni giorno a pranzo nella pausa. Era un luogo che la rassicurava e dove poteva nutrirsi del cibo che preferiva e la rilassava.
Il suo senso di inferiorità (non mi sento mai bella per te) pareva dileguarsi sedendo al tavolo coperto da un panno bianco sopra una tovaglia rossa.
Il suo modo di soffrire e fare della sofferenza un capolavoro della sua vita, consisteva anche di pause. Questa era una delle migliori pause che io le offrivo, invitandola a pranzo.

Io avevo preso naminiai makaronai su midijomis, pasta fatta in casa con cozze, e Austėja salotos su vyne marinuotomis šiarės jūros krevetėmis, insalata con gamberi del mare del nord marinati nel vino.
Sebbene nel mio piatto vi fosse un’abbondante quantità di formaggio (cosa un po’ strana il formaggio sulle cozze) era una composizione di sapori e gusto di ottima fattura. Assaggiai anche il piatto di Austėja ed era altrettanto buono (elessi poi quel ristorante ad uno dei miei preferiti di Vilnius).
Davanti a quei piatti della cucina belga si fronteggiavano due Sé autentici, questa volta, nudi e presenti alla loro coscienza, sinceri e senza sovrastrutture. Privi di categorie.
Le chiesi del suo passato.

- Dove hai studiato? Dove hai fatto le scuole obbligatorie? a Klaipeda?
- Sì
- E quando ti sei trasferita a Vilnius?
- Quando ho cominciato a fare l’università. Ho affittato una stanza con il mio compagno di allora

Sembrava reticente a fornire risposte. E non ne capivo la ragione. Pensai che avesse qualche emozione da nascondere che non voleva porre su quel tavolo dove sedevamo l’uno di fronte all’altro.

Essere l’uno di fronte all’altro per noi due significava indagarsi, scrutarsi, capirsi, confrontarsi…anche nei momenti migliori dell’amore più intenso.
Forse quel momento non era uno di più intensi. Mi parve neutro. Uno di quei momenti che appartengono a una sospensione, a una pausa: un fermarsi per saggiare la forza dell’avversario e decidere che fare.
Decisi di non insistere. Feci una pausa. Non domandai più niente del suo passato.
Il passato porta ad indulgere, a fare oggetto di compassione chi vive di disistima a causa di un passato che perpetua quella sfiducia. Non volevo divenire compassionevole verso di lei e lei non mi sembrava che me lo chiedesse. Anzi mi pareva che si fosse chiusa in un silenzio dignitoso quanto impenetrabile.
Di una cosa ero grato ad Austėja: non era mai banale. Fin dall’inizio non era mai stata banale. Domande del tipo: che libri ti piacciono? Che musica preferisci? Vai al cinema? Che film ti piacciono?...
Solo una volta che indossava una maglietta con su scritto Foje le chiesi che significasse. Mi spiegò che era il nome di un gruppo rock lituano a cui apparteneva Andrius Mamontovas, il vocalista del gruppo, che lei aveva da sempre amato. Quando il gruppo si era sciolto lei aveva continuato a seguirlo.
A causa di quella maglietta si aprì una parentesi sui nostri gusti musicali. Quasi incidentale. Feci anche io una piccola immersione nella musica rock lituana e scoprii Marijonas Mikutavičius. La sua voce era particolare, aveva un impasto di melodica rabbia e tristezza che cantava con forza la sofferenza che si portava dentro.
Una sua canzone, Balintos sienos (muri bianchi), mi innamorò per la forza della voce e per il dolore che estrapolava

Pasaulis tas kuri tu palikai
Tik balintos sienos, tik balintos sienos
Kai tu iškėlus galvą išėjai
Aš vėl likau vienas, aš vėl likau vienas
Aš vėl likau vienas
Šį kartą amžinai


Il mondo che ti sei lasciata dietro
Muri bianchi, solo muri bianchi
Quando te ne sei andata a testa alta
E io di nuovo solo, di nuovo solo
Di nuovo solo
E per sempre questa volta

Lui come me e come Austėja, lo percepivo dal nostro confronto silenzioso, doveva aver sofferto molto per amore, in un’altra terra diversa da quella da cui venivo, in un’altra lingua, in un’altra mentalità ma che come diceva Saba in La capra

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore […] il dolore è eterno,
ha una voce e non varia

Cominciai a riconoscermi in quella voce e in quella melodia. Odiavo troppo il genere umano per non sentire la forza del dolore in quella voce, la disperazione di non poter convertire la rabbia in ottimismo, la delusione in illusione, la sfiducia in fiducia.
Davanti ai nostri piatti, in quel ristorante, in un muto confronto si aprirono universi vasti al pensiero, che quasi vi annegava.


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Friday 15 September 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (dodicesima puntata)



Mestruazioni e domande filosofiche sulla felicità e altre cose



Forse Austėja non poteva procurare la felicità a molti ma a me sì poteva. Mi induceva alla felicità rimanendo lei depressa.
Condenserei tutto in una parola: passione.
Austėja era febbre e passione. Dalla febbre la passione? In onestà non vedo perché dovrei scollegare le due cose. Non credo che l’una potesse sussistere senza l’altra.
Entrambe mi raggiungevano e mi procuravano felicità.

Faceva dolci nell’orkaitė (forno della cucina) e tagliava fette di torte per me. Mi preparava il caffè la mattina. Mi accoglieva dentro di sé la notte e la mattina. Mi tormentava con le sue domande e la sua gelosia ma alla fine imparavo le sue ragioni e gliene rendevo grazie. E imparavo, ancora.
Non mi soffocavano le sue attenzioni eccessive, le sue domande insistenti e continuative.
Stavo chiuso in un’arca al buio e mi godevo il mondo meglio di prima. Le paure iniziali si dileguavano, lente ma si dileguavano.
L’amore aveva preso una direzione. Andava nel senso che gli avevamo impresso. Speravo solo che la routine non l’avrebbe scalfito.

Come si dice oggi, il nostro amore conosceva la sua propria narrativa.

Era una narrativa che volevo tenere lontano da idee come sposarsi, preoccuparsi per i soldi, avere bambini, tradimenti e bugie, noia e giorni passati in silenzio senza parlare o comunicare per monosillabi.
Questo per me non era amore, era la morte dell’amore.
Per fortuna le sue esagerazioni tenevano in vita l’amore che volevo e non quello che ripudiavo.

Nella gelosia era eccessiva, come in tutto ciò che era emozione e sentimento del resto. Non le bastava che io fossi fedele pretendeva che anche il lato morale e ogni pensiero fossero a lei votati.
Se cucinava, cucinava in eccesso. Per due persone coceva quindici patate. Se faceva il plovas lo faceva per almeno una settimana.
Se piangeva non si limitava ad un’ora ma il pianto perdurava oltre un fine settimana (il suo tempo di maggior depressione).
Amava la musica e in ogni stanza aveva una radio accesa, per cui c’erano in contemporanea quattro radio in attività e due televisioni perennemente accese dalla mattina alla sera. Nel volume era rigorosa però, i decibel erano ridotti al minimo della percezione auricolare.

Il suo luogo preferito della casa era la cucina. In cucina leggeva, preparava la cena, in cucina telefonava scriveva al computer, lavorava piangeva, rideva e pensava.
In cucina facevamo all’amore, spesso.
La cucina era piena del suo sé a differenza di ogni altra parte della casa.
Lì (nella cucina) aveva eretto il suo santuario interiore. Fortificato il suo sé, imparato a stimarsi e avere fiducia in se stessa o a torturare se stessa su domande a cui non sapeva trovare risposta.
E non amava cedere quello spazio nemmeno a me.
Mi ospitava, sì, in quello spazio ma rimaneva esclusivamente suo.

Da ogni spazio mi escludeva nei giorni neri delle mestruazioni. Chi era in quei giorni il demiurgo nascosto che rompeva il mondo e lo spazio circostante a lei? Decideva per lei e parlava per lei?
In quei giorni pareva che ogni pensiero della mente fosse già deciso indipendentemente da lei. I suoi pensieri non guardavano più me ma miravano diretti all’interiorità del suo proprio io e non vedeva niente.
Erano i giorni in cui assaporava di nuovo un’infanzia in cui mai aveva deciso alcunché.

Era nata a Klaipeda.

- La mia infanzia è stata poverissima, vivevo in una casa senza riscaldamento. La temperatura che era fuori era dentro. C’era poco da mangiare. Il piatto migliore era lo šaltibarščiai. Per questo forse lo amo ancora. E’il sapore della mia infanzia

Sembrava un sapore-amore di quella infanzia. I suoi occhi ne conservavano traccia. Mi pareva come un’infanzia che mai passasse ogni volta che mangiava lo šaltibarščiai.
Mi chiedevo che davvero vedessi in lei in quei giorni che le mestruazioni alteravano il suo stato percettivo.
Non vedevo perfezione, ne ero innamorato folle ma non vedevo perfezione in lei. Vedevo la vita come un preludio a una ricerca fatta di fatica che cerca la direzione. Ma era vita, voglia di vivere che vedevo e non negazione di essa, nonostante affermasse di essere disperata.

Come dice Ričardas Gavelis in Vilniaus Pokeris “In giorni come quelli le cose più leggere pesano più che le pesanti e […] mostrano direzioni per le quali non esiste un nome”.

Credo che il suo fascino risiedesse tutto nei suoi occhi azzurri e nelle sue labbra carnose ben contornate. Nella pelle che mi ricordava il burro e nel calore del corpo che produceva la sua febbre intermittente.
E quei tratti così evidenti in lei sembravano salvare la mia vita dal nulla di una visione animale del mondo.

Certo le sue non-direzioni di quei giorni di mestruo incidevano sulla fiducia di una vita insieme con lei e tuttavia sapevo che la sua resistenza ad essere la persona ordinaria che era sempre prima di quei dannati giorni sarebbe presto terminata e le cose leggere avrebbero riacquistato il loro giusto peso e quelle pesanti si sarebbero alleggerite.
Eppure in quell’apparente solipsismo una costante manteneva aperto il filo fra la Austėja pre-mestruazioni e inter-mestruazioni: la generosità. Mai veniva meno la sua generosità. Anche nel momento più nero di quei giorni sapeva sacrificarsi per chi amava, nonostante la frase a bella vista nella sua camera da letto neturi aukotisavo gyvenimo kitiems.

Penso e credo che la generosità fosse la sua essenza. E forse quella generosità era legata al sapore dello šaltibarščiai.
Solo chi ha veramente vissuto in miseria può in onestà conoscere la generosità. La sua generosità era un ricordo, che condizionava il modo di guardare alla vita, talmente impresso nella sua coscienza da determinare la qualità della vita.

Saprò mai se il cielo blu, che io vedo blu, sia in essenza blu o sia in realtà un modo che appartiene programmaticamente alla mia coscienza per cui il cielo è blu e non rosso?
Qualcosa di simile doveva essere per lei. Era possibile programmaticamente che la sua coscienza vedesse il mondo meno generosamente di come lo vedeva?
Perché io coglievo quell’aspetto in modo costante e le altre modalità passeggere rispetto al suo essere Austėja Stašytė e quella qualità come permanente?
Erano domande fondamentali che io mi ponevo in quei giorni di mestruo.




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