Friday 28 June 2019

Trattoria Papa Re (Bologna): un'isola felice in mezzo al globalismo selvaggio



Bologna, piazza dell'Unità. Zona lunare.  Un altro mondo. E' Italia mi chiedo? Per queste vacanze in Italia già me lo sono chiesto altre volte, a Siena a Empoli a Firenze, a Castiglion della Pescaia. Ma qui, nel regno di quelli che hanno sempre sostenuto l'immigrazione ad oltranza, la fantasia sbianca davanti alla realtà. Qui diciamo ci sono alcuni italiani fra il resto del mondo, che non sembra avere nessun rispetto per quella piazza, per quelle architetture italiche. per il clima torrido dell'estate italiana. Non ho sentito aggressività fisica ma culturale. Totale mancanza di adesione alla società in cui vivono, perché portatori di un virus globale che li rende resistenti, pari ad anticorpi.
Poi varchi la porta del limen, dell'ultimo avamposto di una cultura italiana vera, reale, l'ultimo limen di quella cultura che viene fagocitata dalla nuova. Varchi la porta della Trattoria Papa Re. Come dietro si te si chiude la porta della trattoria, dell'ultimo limen su quella piazza martoriata dalle razze aliogene si chiude anche il mondo alieno. E subito respiri la cultura della ristorazione alta, del piacere del servizio impeccabile. Dei piatti ben fatti. E' Italia, finalmente. E' un'isola felice di una cultura che resiste in un mondo che ha assunto altre linee di vita, senza relazioni con la sua storia. Di quella Italia che le facce multiculturali che rompono il panorama urbano italiano vogliono che dimentichi, presentandoti ripetutamente un tema di assurdi (e sudici) negozi alimentari asiatici, di kebabberie puzzolenti, di bar squallidi gestiti da personaggi dai colori mal definiti. Di sciattume e trasandatezza. Un mondo sordido, che non ci appartiene.

- La prima volta, che mangio bene in un ristorante, dopo dieci giorni di Italia, Di vacanze in Italia.
Finora ho mangiato da schifo. Questa sera mi sento riconciliato con il mio paese - dico al proprietario.
- E' cambiato tutto - mi risponde - una volta la gente veniva a cena in giacca. Ora in canottiera. Ma io non li faccio entrare.

In questa isola felice, Trattoria Papa Re, si serve ancora il vino come va servito. Si fa ancora un servizio di qualità, si accompagnano i piatti e li si spiegano. Si fa ancora una cultura che fuori è morta.
Fuori invece si beve birra. In cinquanta metri di piazza vi è di tutto, anche un incontro dei centri sociali,
Ma poi scopri un'isola felice, un'isola ancora italiana e ne rimani stupito. Rimani stupito che ancora esiste quella Italia, che vogliono estinta.

Sunday 16 June 2019

Ritorno alla Matrix - estratto da "Il giorno in cui l'Italia morì"




L’uomo non muore più per la strada, ma in casa sua, nella storia, nel pieno di un’attività consacrata a vincere la morte
(Boris Pasternak – Dottor Zivago)


Fabrizio capì che quella sarebbe stata l’ultima delle loro estati. Dopo quella, per loro su questa terra, non ce ne sarebbero state altre.
I segni si erano saldati in tanti insiemi sotto quel calore che coceva l’aria e chiedeva solo ai corpi sani di fargli resistenza. Erano segni che venivano dalla carne, dal mondo che era fuori infocato dal sole di luglio, dalle TV - ormai erano solo uno scorrere di immagini che non parlavano a nessuno. Dalla politica - una deriva che nemmeno Silvano capiva più (e sì che aveva lottato fino all’ultimo barlume di senno per riuscire a trovarvi un significato nuovo). Erano segni certi, quanto era certo che non potevano più essere ignorati. Un mondo, il loro mondo, che era alla fine. E le ultime derive di quel mondo erano loro due.
Quante volte aveva sentito suo padre dire “E’ morto Vitaliano”, “E’ morto il Bartalucci, l’hai saputo Sabatina”…ma erano frasi di quando stava bene e la morte era lontana. Apparteneva all’altro.
Gli venne in mente “La morte di Ivan Ilyich” di Tolstoy, uno dei libri più noiosi che avesse tentato di leggere. Si ricordò tuttavia di una frase che più o meno suonava così “"Il semplice fatto della morte di un conoscente vicino suscitò, come al solito, in tutti coloro che avevano sentito la notizia un sentimento compiacente - è lui che è morto, non io!”
E ora, non immaginava quanto ne avessero coscienza Silvano e Sabatina, ora, presto, si sarebbe detto “Hai visto? E’ morto Silvano”, “Hai saputo che Sabatina è morta l’altro giorno”.
Sarebbero morti in quella città affossata dal caldo, al centro della Toscana. Empoli. Una città senza qualità, retta da quei neocomunisti che Silvano, per tutta la vita, aveva tanto avuto inviso.

- Quando babbo è morto c’era una luce in un angolo della stanza, quello vicino alla porta. Come …una luce dorata…non come quella di una luce elettrica…ma una luce di candela…è rimasta per tutto il tempo che rantolava. Quando ha fatto l’ultimo grande respiro, ha indugiato ancora un po’. Si affievolita e poi è scomparsa.

Così gli aveva riferito Loris.
Che avrà voluto dire quella luce? Mamma era morta in silenzio. Sotto l’effetto della morfina, che sedava il dolore dell’ulcera che si era aperta un buco vasto nello stomaco.
Fabrizio l’aspettava. Sarebbe dovuta ritornare. Aveva lasciato qualcosa insoluto in questa parte dell’universo. Attendeva certo quel giorno. I morti non possono lasciare irrisolte le attese.
Quelle due morti, una dietro l’altra, l’avevavano gettato nella sensazione che evoca una partenza improvvisa di ospiti che si erano a lungo trattenuti.
Rimangono gli odori, i suoni muti ma chiari delle loro conversazioni, della loro lingua, del mondo che loro rappresentavano. Rimane tutto in sospeso, in attesa che la vita riprenda come prima. Non li pensi come morti, ma come partiti, diretti alle loro case, ai loro lavori, alle loro occupazioni. Alla loro vita di tutti i giorni.
Ecco, Fabrizio non li pensava morti, li immaginava esattamente così. Non aveva bisogno di prendere il telefono e chiamarli. Non aveva mai smesso di comunicare con loro.

Avrebbe proseguito tante cose che loro gli avevano insegnato. Avrebbe fatto il brodo di carne come facevano loro, avrebbe fatto la pasta e fagioli come facevano loro, avrebbe cotto il coniglio come gli avevano insegnato loro, avrebbe spazzato la cucina come facevano loro ogni volta che avevano finito il pranzo e la cena. Avrebbe lavato ogni sera i piatti come loro facevano, avrebbe messo gli avanzi della cena in piccoli tegami per conservarli meglio in frigo come facevano sempre loro…si sarebbe alzato da letto aiutandosi con le mani nello stesso modo che faceva suo padre, e se ne sarebbe sorpreso a ritrovarsi nella stessa postura. Avrebbe avuto il carattere burbero e ombroso di sua madre, avrebbe avuto le loro stesse idee sull’aiutare gli altri, né più né meno avrebbe sempre più assomigliato a loro ogni giorno di più…

Suo padre non era morto di cancro, era morto di consunzione, consunto, probabilmente, da quella stessa rabbia che lo aveva tenuto in vita.
Consunto come questa povera Italia, che oltre a tutte le ingerenze di tutti i servizi segreti, alla sottomissione della propria sovranità a tutte le forze estere possibili, era anche divorata da una sovrapposizione interna di poteri. Dal potere della magistratura che si era sostituito a quello politico, e da quello politico (almeno quella parte che del marxismo culturale aveva fatto il proprio cavallo di battaglia) che si era per convenienza sottomesso a quello della magistratura.
Ci si era mossi per teoremi per condannare. Si erano applicati teoremi a fenomeni politici per ottenere effetti mediatici. Il fenomeno mediatico era ormai l’effetto trainante dei due poteri.

- La legge non è uguale per tutti, ma è più severa con chi non la pensa come te. Si tratta di accanirsi su una persona, o di utilizzare con questa metodi che non useresti con altri, solo perché ciò ti fa sperare in un ritorno d’immagine. (…) A questo punto mi si chiederà inevitabilmente: il ragionamento vale anche per Berlusconi? Non entro nel merito dei processi, che non conosco, non ho titolo per farlo, ma mi sento di affermare senza paura di essere smentito che se Berlusconi non fosse entrato in politica non avrebbe ricevuto tutte le attenzioni giudiziarie che ha ricevuto[1].

Il primo grande teorema fu quello definito ‘Teorema Calogero”, dal nome del giudice Pietro Calogero della Procura della Repubblica di Padova, che collegò le responsabilità di alcuni docenti universitari predicanti l'eversione (cattivi maestri) con le azioni terroristiche. E fu in quegli anni che ci si cominciò a rerndere conto della forza di fuoco della magistratura che poteva supplire uno stato in evidente difficoltà.
Ma fu ai tempi di Tangentopoli che che l’ombra dell’ideologia della questione morale inaugurata da Berlinguer, nel tentativo di trovare un’alternativa allo scacco subito con la morte di Moro, convinse una parte della magistratura, quella più forte, di avere una funzione salvifica, di dover non solo combattere la corruzione ma anche di redimere l’Italia.
Berlusconi con la sua discesa in campo riaprì un clima da guerra fredda, e la sinistra che visse quella nuova guerra fredda trasformando la questione morale in antiberlusconismo e identificando tutto il male con Berlusconi rafforzò de facto il potere della magistratura, affidandosi ad essa per combattere l’ispiratore stesso della propria politica di quegli anni: Silvio Berlusconi.
Come sempre ci si concentrò da una parte sul proprio orticello da coltivare e dall’altra ci si fece proni a quei poteri che muovevano l’Europa (che poi erano gli stessi che ormai muovevano il globo tutto).
Ma Silvano e Sabatina erano scivolati via, passati silenziosamente attraverso queste nuove linee di realtà, come facendo uno specie di trans-surfing, che la vecchiaia gli aveva imposto.
Vissero attaccati a quel nuovo mezzo di trasporto, ma per loro fortuna (o sfortuna?) questa nuova realtà non li catturò più, e ne furono finalmente liberi.
Si liberarono da quella morte odiosa, il 1943, che aveva impresso la spinta deterministica della loro vita di silenziosa remissione alla quotidianità.
Ma loro non morirono con il fucile in braccio urlando il proprio credo come forse morì Rocco e i partigiani che combattevano Rocco – ma in nome di che? visto gli innumerevoli tradimenti perpetrati alla memoria del loro inutili sacrifici.
Morirono invece, mangiati dalla vecchiaia, in un letto di ospedale, incapaci di intendere e volere, incapaci di esprime anche la più frequente delle paure dell’uomo davanti alla morte: quella di morire soli, abbandonati dai propri amati.
Morirono inconsci di tutto, anche del loro corpo ridotto a una carcassa priva di senso. Morirono, e basta.

Ma Fabrizio sorrise, lungo il viale alberato su cui inondava luce quel cielo nuovo che lo accoglieva. Sorrise dentro alla voce del padre che gli parlava, dentro. Sorrise dentro a quella nuova quantità di coscienza che rinasceva, sotto altra forma. E che adesso percorreva altri mondi lontani, eppure vicini.

[1] Piero Tony, magistrato (ex magistratura democratica)



Sunday 9 June 2019

Love, šaltibarščiai and red tomatoes - text analysis and the nature of love





This book was written between 2016 and 2017, in six months. Published in 2018. One of the advantages (or disadvantages) of talking about a book that has been given to the press almost one year ago is that you forget (at least me) all of what you wrote. In this lapse of time you took a break from the tension that created you to write the book, because of reading the text ad infinitum to find errors, mistakes and things that did not work, which almost led to hate what you wrote; because of proofreading, which collapsed you into the stress you seemed to have forgotten - and which perhaps, in my case at least, causes you more stress than when you wrote it. Finally, this long pause brings you out of that excessive accumulation of energy and concentration that prevents you from any detached reading. But reading again this text one year later leads you to evaluate the text according to a range of possibilities that you didn't have before, brings you in a universe that you didn't belong to before, compared to the moment you wrote the book, in this universe you can now judge the book with another look. Very far from those (now) far initial universes you belonged to. You see now a new version of the facts you told previously in the book.
At this time I find it like a Proustian text, which I didn’t notice when I wrote it, although in those days I read some parts of Proust's Research. To be honest I discovered a nice text, in line with my thoughts and the way of writing that belongs to me as I understand it - writing to communicate, to make people think, to give a message, to make people aware of certain issues, without getting them bored, relying on contents that you find most surprising and supported by the rhythm. It is obviously the author’s opinion, who believes, though, in his reliability regarding his perceptions because - given the number of books (and shit) who reads in one year – he can dare to say that he has developed a critical sense for his own works.

"Love, šaltibarščiai and red tomatoes" has a double possibility of reading. It is a novel because it tells a love story. It is an essay because it investigates, in depth, the nature of love.
To be more precise, it speaks of the nature of love elicited by an analysis capable of robustly grasping and identifying thoughts, intentions, h/ History of the protagonist, Austėja Stašytė, in an entangled relationship with the male protagonist.

NATURE OF LOVE.

Love has value because we recognize it as a value, and only when/and because we recognize it as a value. Every act of love has the same quality, of Love, that corresponds to what Love is in itself - as each unit of measure has the quality corresponding to that which must measure. So the meter has the quality of length because it measures the length, but it is not only the measure of the length, it is also the length of the measurement because it is one meter long.
Thus, love corresponds to the act, but it is not solely that act, as each act is measured by the love that creates the act. And the acts take place within the structure of the lines of reality that have placed us in a different location completely distinct from the one previously  assigned  (History),
For this reason the book, which is a biography [read page 125 to understand the very intention of this biography] eventually becomes also a kind of contrastive grammar on the two mentalities that come to be located in the same space, following lines of different realities - History [read page 56 - final part - to understand the the very meaning of this correlation]. In their localization the two mentalities are exposed, they reveal themselves in their intimacy (let us not forget that love is the place par excellence where intimacy is shown). But intimacy is always and, in any case, caught through the lens of historical perspective that elicits confirmation about the way of loving (i.e. of love).

It is a book specially written for those who generously search for love, for those who love, for those with a vital interest in love. It is a book that if you allow yourself to be taken by the spirals of the analysis of the main characters thoughts, by the vivisection of their feelings, is almost similar to a thriller, and the rhythm catches you and transports you page after page.

The book is for sale on IBS

Friday 7 June 2019

Amore, šaltibarščiai e pomodori rossi - esame del testo e della natura dell'amore



STRUTTURA DEL ROMANZO.

Questo libro è stato scritto fra il 2016 e il 2017, in sei mesi. Pubblicato nel 2018. Uno dei vantaggi (o svantaggi) di parlare di un libro che hai consegnato alla stampa da un anno è che dimentichi (almeno io) tutto di quello che hai scritto. Ti prendi una pausa dalla tensione che ti ha creato lo scrivere, dal rileggerlo ad infinitum per trovarvi difetti e cose che non funzionano, che porta quasi a odiare quello che scrivi; dalla correzione delle bozze, che ti collassa in quello stress che parevi aver dimenticato – e che forse, nel mio caso perlomeno, ti causa più stress di quando lo scrivevi. Ma soprattutto questa lunga pausa ti fa uscire da quell'accumulo eccessivo di energia e concentrazione che ti impedisce una lettura distaccata. Soprattutto rileggerlo un anno dopo ti porta a valutare il testo secondo un trovarsi in una ampiezza di possibilità che prima non avevi, in un universo altro a cui prima non appartenevi, rispetto al momento in cui scrivevi il libro, e dunque riesci a giudicare il libro con un altro sguardo. Molto distante rispetto a quel prima. Crei una nuova versione dei fatti che narri nel libro.

A rileggerlo ora lo trovo un testo proustiano, cosa che al momento che lo scrivevo non sentivo, sebbene in quei giorno leggessi alcune parti della Ricerca di Proust. Lo trovo un bel testo, in linea con il mio pensiero e il modo di scrivere che mi appartiene per come lo intendo - scrivere per comunicare, per far pensare, per dare un messaggio, per far prendere coscienza di certi temi. Ma scrivere di queste cose senza annoiare, affidandosi ai contenuti che ritieni più sorprendenti e sostenuti dal ritmo. E' ovvio che è l'opinione di chi lo ha scritto, ma che ritiene anche - vista la quantità di libri (e di merda) che mi leggo in un anno - di aver sviluppato un senso critico rispetto alle sue stesse opere.
"Amore, šaltibarščiai e pomodori rossi" ha una doppia possibilità di lettura. E' un romanzo perché racconta una storia d'amore. E' un saggio perché indaga, in profondità, la natura dell'amore.
Per essere più precisi, parla della natura dell’amore colta attraverso l’analisi dei pensieri, delle intenzioni, della s/Storia della protagonista, Austėja Stašytė, nel rapporto di entaglement con il protagonista maschile.

NATURA DELL’AMORE.

L'amore ha valore per il fatto che lo riconosciamo come valore, e solo nel momento che lo riconosciamo come valore. Ogni atto d' amore ha la qualità corrispondente a quello che è l'Amore in sé - come ogni unità di misura ha la qualità corrispondente a quello che deve misurare. Per cui il metro ha la qualità della lunghezza perché misura la lunghezza, quindi non è solamente la misura della lunghezza, ma anche la lunghezza della misura, perché è lungo un metro.
Così l'amore corrisponde all'atto, ma non è solo atto, in quanto ciascun atto è misurato dall’ amore, che crea l'atto. E gli atti avvengono dentro la struttura delle linee di realtà che ci hanno collocato in una localizzazione rispetto ad un'altra (Storia) ,

Per questo il libro, che è una biografia [leggi pagina 125 per capire il senso della biografia] alla fine diviene anche una specie di grammatica contrastiva sulle due mentalità che vengono a localizzarsi nello stesso spazio, seguendo linee di realtà diverse – Storia [leggi pagina 56 – parte finale - per capire il senso di questa correlazione]. Nel loro localizzarsi le due mentalità si mettono a nudo, si rivelano nella loro intimità (non dimentichiamo che l’amore è il luogo per eccellenza dove l’intimità si mostra). Ma l’intimità è sempre e comunque colta nella prospettiva storica che produce la conferma del modo di amare (i.e. dell’amore).

E’ un libro per chi cerca l’amore, per chi ama l’amore, per chi ha interesse nell’amore. E’ un libro che se ti lasci prendere dalle spirali delle analisi dei pensieri, dal vivisezionamento dei sentimenti dei protagonisti è quasi simile a un thriller, e il ritmo ti trasporta pagina dopo pagina.


Amore, šaltibarščciai e pomodori rossi, Prospero editore, Milano 2018, in vendita su IBS

Tuesday 4 June 2019

Il ricordo dell'olio (da "Il giorno che l'italia morì")







Il 1993, già l’abbiamo detto fu un anno orribile. Non solo per la politica. Vi furono attentati da parte della Falange Armata (mafia arruolata?). E fu l’ anno del “Io non ci sto!” di Scalfaro. Fu l’anno in cui la politica italiana, i politici italiani, impararono a capire che il potere che viene concesso loro è l’orticello di casa, il campetto dell’oratorio. Che le decisioni non le avrebbero mai più prese loro, se mai le avevano prese, ma sarebbero state prese altrove. In centri di potere cammuffati da Istituti di ricerca, con sedi in paesi anglosassoni, da cui si sarebbero emanate direttive che sarebbero state applicate via Bruxelles.
Fu l’anno in cui Jean Claude Trichet divenne presidente della BCE, amico e frequentatore di François Mitterand che, secondo l’economista Alain Parguez, fu il promotore dell’idea dell’Europa unita dall’euro, che la impose prima di tutto alla Germania, con cui poi avrebbero costruito l’Europa a loro misura, devastandola.Fu l’anno in cui cominciò un declino veloce dell’economia italiana e della indipendenza italiana e degli stati sovrani d’Europa.
Fu un anno in sordina, ma un anno decisivo. Un anno la cui energia sarebbe stata in larga parte ceduta agli anni a venire, come informazione che si trasferisce a orizzonti lontani ma non va persa.
E’ vero che vi erano anche possibilità contrarie che ci avrebbero guidato verso altre linee di realtà.
“Nella migliore delle ipotesi l’Europa sarà un limbo, nella peggiore un inferno”, aveva avvertito Craxi. Inascoltato. Tra il Bivio A e il Bivio B la maggioranza degli interessi aveva guardato al Bivio B. E si era presa quella direzione, con il risultato che la decisione di prendere il Bivio B occultò la possibilità del Bivio A e tuttavia di quella decisione mancata (la scelta scartata) ne rimangono sparse le posizioni che hanno occupato e continuano ad occupare rispetto all’avverarsi della decisione opposta.
Uno scrittore russo, Vadim Zeland, sostiene una teoria per cui, se vi è una forza determinante che ci costringere a pensare in una direzione, crea delle strutture di energia invisibile, che ci spinge a pensare nella sua stessa direzione. Esattamente quello che è accaduto nel 1993.
Non è questo alla fine ciò di cui ci parla la Storia? Della volontà di determinati gruppi che impongono la loro volontà per determinare linee di realtà preferenziali rispetto ad altre?.
Non era questo alla fine, quello che certe forze avevano determinato nella storia d’Italia dal 1943 in poi?
Non era questo, quello che Silvano e Sabatina avevano fatto in modo inconsapevole seguendo le proprie linee di vita, credendo ogni volta che fossero scelte e conseguenze autonome?
Non era questo il senso del Tradimento di Badoglio e del re? Del ’68, della strategia del terrore, di Tangentopoli?
Silvano e Sabatina avevano cercato di passare nel corso degli anni da una realtà che mutava a un’altra, senza opporvisi di frequente, o credendo di opporvisi più raramente. Avevano seguito quello che loro avvertivano come loro “intenzioni”. E le avevano seguite con la speranza di cambiare il mondo attorno che li circondava, come avevano fatto le opposte fazioni impegnate nella guerra partigiana e repubblichina nel corso della fine della II Guerra Mondiale, come avevano fatto gli studenti del ’68, come avevano fatto tutti coloro che avevano cercato la verità dietro il silenzio delle stragi, come avevano fatto coloro che avevano creduto che mandare in galera i politici corrotti avrebbe risanato l’Italia e forse anche il mondo intero.
Ma la realtà esterna non sempre coincide con quella interna dell’individuo. La realtà interna finisce per lo più incistata in quella esterna senza mai conoscere le potenzialità che ha di incidere in essa. L’incistamento le toglie l’orizzonte, la visuale. Il poter distinguere.
E così continuarono a vivere Sabatina e Silvano, incistati, come sempre avevano vissuto. Come vive la maggioranza delle persone in questo mondo. Né più né meno.

Ma un posizionamento adattivo (una prerogativa) di quando invecchi è che crei un linguaggio nuovo. Semplice, scheletrico, fatto di pochi lemmi, che si ripetono, sermpre quelli, come una litania. Un linguaggio che serve a descrivere la realtà di passaggio imminente, di sofferenza, autocommiserazione e dolori fisici, fra un universo ed un altro. E i ricordi. Il linguaggio dei vecchi è fatto e ruota attorno ai ricordi. Serve all’ottanta (forse anche novanta) per cento ad esprimere ricordi.
La lingua è semplice, pari alla poca energia che sostiene l’uomo in questa fase della vita. Le sfumature sono limitate. Non vi è più il senso della meraviglia e manca l’energia per concepirla. Per quello è più facile indirizzarsi a ciò che è più presente al modo di osservare il mondo in questa parte della vita. Il passato. Il ricordo.
Silvano guardava all’aria. Seguiva con gli occhi strani segni che si spostavano davanti e che lui vedeva. Con una mano cercava di cacciarli via.
Aveva lo sguardo spaurito. Pazzo. La bocca contratta. Il corpo indurito. Inteccherito.

- Babbo, che fai? – gli chiese Fabrizio.

Silvano sembrò calmarsi.

- C’era un disegno. Non lo capisci?

Fabrizio anche quella domenica, come era ormai da più di due anni, era con loro. Il fine settimana lavorava più che gli altri cinque giorni. Certi fine settimana, aveva calcolato, poteva arrivare addirittura a trentasei ore. E poi, erano in due. Due persone quasi completamente incapaci di muoversi e di fare il minimo indispensabile, che lui doveva assistere.
Il lunedì, quando ritornava al lavoro, era felice. Non gli pesava. Non aveva più lavatrici da fare, pranzi e cene da preparare, piatti da lavare, culi da pulire. Genitori da alzare, vestire, svestire e mettere a letto. E finalmente era con vivi! Persone vive! Che appartenevano al mondo dei vivi, e non conducevano le loro esistenze sotto la tormentosa agenzia della morte. Facevano discorsi da vivi. Pensavano da vivi. Avevano problemi da vivi! E a lui pareva di tornare a vivere.
Ormai sentiva che era allo stremo. Stava perdendo la testa, quasi come suo padre. Un altro poco e sarebbe stato irrecuperabile.
Aveva cominciato a pensare che doveva mollare tutto e andarsene.
Loris aveva trovato una filippina disposta a stare con loro a tempo pieno. Ora sapeva che non sarebbero finiti in un ospizio, la ragione per cui aveva deciso di assisterli lui – io non vorrei mai finire in un ospizio e non posso permettermi che ci finiscano loro, aveva detto a Loris.
Ora o mai più. Ora lasciare tutto e andarsene, o mai più l’avrebbe fatto.
L’avrebbe fatto, perché ora non ne dubitava.

- Che disegno? Non vedo disegni.
- Volevano distruggere la piccola e media industria in quegli anni.
- Ma di che anni parli?
- Dal ’90 in poi. Io l’avevo capito. Andreatta, Prodi, Ciampi, Amato, anche lui traditore…Io l’avevo capito già allora. Lo hanno fatto. Ma io l’avevo capito. Ero da troppo tempo in politica. Ero nato in politica con la Repubblica. Mica ero scemo. Avevo capito quel piano scellerato a favore di Francia e Germania. Ma anche Bettino fece un grande errore sulla scala mobile…

Non poteva, Fabrizio, quando suo padre parlava così, che seguire un sentimento di ammirazione per quell’uomo. Per quella lucidità a pena ritrovata, anche se in verità gli pareva che quella lucidità gli giungesse inaspettata, come il sole che improvvisamente viene rilasciato splendere da uno squarcio improvviso delle nuvole.
E poi aveva imparato, che quell’uomo era capace di esprimere cose lucide. Era un visionario. O era stato un visionario (ma questo lo avrebbe capito meglio dopo, molto dopo – verso il 2019 quando si sarebbe impossessato dei meccanismi che avevano portato al disastro economico di un intero continente) – e allora avrebbe capito molte cose di suo padre che prima non vedeva o non capiva. Ma sarebbe stato troppo tardi.
Le cose che sono rimaste troppo lungo incomprese possono un giorno tornare a brillare ma mancheranno sempre di quella luce che le aveva emesse nel loro momento originario – questo gli fu incontrovertibilmente chiaro il giorno che la lingua di suo padre si risvegliò dentro di lui, come di incanto. E fu un giorno che era ormai lontano dall’Italia e, camminandolungo una strada piena di alberi verdi e di luce, avvertì quella voce, così dolce e carezzevole.

Fabrizio, Fabrizio…ti ho mai detto dell’olio? Fabrizio ascoltò. Il mondo è strano Fabrizio. Non c’è niente di vero. Sono tutte bugie. Tu eri piccolo, noi nella nostra casa avevamo la cantina piena di olio. Noi che avevamo sempre usato l’olio di oliva…ebbene riuscirono a convincerci che l’olio di oliva non faceva bene, era troppo pesante. Che era meglio usare quello di semi. Era più leggero, più digeribile…Saranno stati gli anni Sessanta. Radio, televisioni, giornali…anche i dottori tutti dicevano che l’olio di semi era meglio di quello di oliva. Anche noi abbandonammo l’olio di oliva e cominciammo a friggere con quello di semi. E poi a metà degli anni Ottanta, ci hanno detto che esisteva la dieta mediterranea, che noi italiani eravamo fortunati, che avevamo l’olio di oliva. Che bisognava usare quello di oliva, anche per friggere…quasi da non credere. Con i soldi si compra tutto Fabrizio, anche l’opinione pubblica…nemmeno Marx avrebbe mai potuto immaginare cosa può comperare il denaro…

Di che vita gli parlavano quelle parole? Qual era il senso loro? A quale lingua appartenevano? Alla sua o a quella del padre?
La lontananza mette a fuoco distanze che neppure sembrano colmabili. Assomigliano a scherzi di cui non afferri il limite. Ma che indubitabilmente è.

A proposito del ruolo dello scrittore e di un libro di Giorgio Colli.

  Molte volte mi sono chiesto quale sia il vero ruolo di uno scrittore. O perlomeno quale dovrebbe essere appunto il suo ruolo. Momentaneame...