Wednesday 21 February 2018

La lituania che non ti aspetti: "Amžinai kartu" (Per sempre insieme) un bellissimo film di Lina Lužytė




Il film e’ molto bello. Belle le musiche, bravi gli attori soprattutto la protagonista femminile, la moglie, impersonificata dalla bravissima attrice Gabija Jaraminaitė-Ryškuvienė, che sa esprimere con forza il dramma quotidiano interiore di una moglie che vuole il marito tutto per se’, che pretende una famiglia felice, che pero’ non lo e’. Una specie di Anna Magnani che rivela il dramma interno senza la violenza dei gesti esterni e della recitazione urlata della Magnani.
Bellissimo e drammatico il finale, degno del migliore film neorealista.
A volte l’analisi dei contrasti dentro alla famiglia ricorda i film di Moretti, senza pero’ l’ironia alla lunga noiosa e le battute (sempre quelle!) che Nanni Moretti si porta dietro da decenni.

Mi sono imbattuto in questo film del 2017 per puro caso. Per puro caso ho cominciato a guardarlo.
La prima cosa che mi ha colpito e’ il modo di fare il film. Uno stile da documentario. Uno stile scarno, asciutto, essenziale ma efficace per la rappresentazione del messaggio. Efficaci le riprese in auto all’inizio del film.
Le musiche di sottofondo mi hanno da subito incantato.
Non ho piu’ mollato la storia; che e’ molto semplice ma per questo non meno complessa nel suo articolarsi emotivo.

Una moglie sogna una famiglia ideale. Il marito (Dainius Gavenonis) fa lo stuntman e ama la sua professione a causa della quale non e’ mai a casa. Questo crea scompensi nel rapporto con la moglie e disturbi psicotici nella figlia.
Ma alla fine l’ossessivita’ della moglie otterra’ il suo scopo, sebbene pagato a prezzo di dolore.

Un film che riesce bene a esprimere il carattere lituano, per chi conosce i lituani. Silenzi, rancori, bugie, chiusure emotive. Mascolinita’ infantile esasperata e la forza della donna che finisce per essere il vero uomo della famiglia.

Un film non stupido, carico di contenuto, in un cinema senza piu’ contenuti e assolutamente stupido.

Complimenti a Lina Lužytė!


Monday 19 February 2018

Intervista alla scrittrice svedese Lena Andersson





Nei giorni ormai imminenti che precedono la Fiera internazionale del libro di Vilnius, sui giornali lituani si da' grande spazio alla scrittrice Lena Andersson di cui gia' abbiamo parlato in questo blog, che verra' a Vilnius a presentare due suoi romanzi tradotti in lituano.
Qui sotto riportiamo un breve stralcio di una sua intervista tratta da Lietuvos žinios per far conoscere questa scrittrice (non molto nota in Italia) che a nostro avviso - nel nulla al 90% che esprime il mondo letterario contemporaneo - merita. Merita perche' sa esprimere valori morali e interiori come una vera scrittrice e non la piattitudine globalizzata del restante 90%.

1) Ester Nilsson torna nel nuovo romanzo. E' rimasta sempre la stessa?
Sì. È sempre la stessa, vive di speranza, desiderio, euforia e si basa su conclusioni logiche che sono sia vere che false.

2) Ne sei ancora affascinata?

Ester è dura, come ha detto il protagonista Olof Sten, il suo amante. Sostiene che il suo metodo scomodo e chiuso è una caratteristica positiva. Sono d'accordo con lui. Caratterizza Esther bene. La amo molto. Non si arrende mai e mantiene il valore della moralità.

3) Si dice che la continuazione di un opera di successo è di solito la cosa peggiore che l'autore possa inventare. Come ci e' riuscita?
Era un rischio. E questa idea mi ha tormentato a lungo, ma poiche' ho iniziato a scrivere il libro nel 2010, quando questa storia è divenuta la mia occupazione principale, gia' un anno fa mi sono accorta che questo non aveva influenzato la mia scrittura. L'anno scorso ho messo a punto un romanzo da finire, che ho sistemato, rifinito, aggiustato, allungato, completato. Ma tutto era già in essere da prima. In un anno e mezzo, dal 2011 al 2012, ho scritto in parallelo Sottomissione volontaria e Acts of infidelity.

4) Molto e' stato scritto sul suo romanzo. Lei e il suo personaggio principale siete stati messi completamente a nudo in tutti i possibili aspetti. Come ne e' sopravvissuta?

L'interesse e l'ammirazione per il libro hanno costitutito un grande piacere per me. Meno, in effetti, quando si e' toccata la mia sfera privata. Ma non vi ho prestato molta attenzione, percio'non so quanto sia stato scritto a riguardo


5) Se chiedessi la stessa cosa che ho chiesto riguardo di Esther: E' rimasta la stessa persona? Cosa è cambiato nella Sua vita dal 2014 quando ha ricevuto il premio letterario di agosto?


Mi sento la stessa, ma non posso controllare come mi vedono gli altri. Ho viaggiato come una pazza per presentare il libro e ho partecipato a incontri in tutta la Svezia. Durante i viaggi in treno ho scritto un nuovo libro. Sono un po 'stanca ma felice di aver portato a termine questo progetto davvero impegnativo, che avevo deciso di realizzare da molto tempo. Poi ho aspettato di avere il coraggio, la forza e la capacità di presentare correttamente tutto il materiale. La preparazione è durata fino al 2010, anche se in verita' avevo ideato tutto già dal 2006 o anche prima.


6) Le disturba il Suo profilo pubblico?

Dipende da come lo si esprime. Ma sono sempre felice quando avvcina il lettore e lo rende favorevole. È fantastico quando un lavoro che ti ha fatto penare tanto entusiasma profondamente le persone. Considero la pubblicita' come un fatto temporaneo.








Tuesday 13 February 2018

"Isole di felicità - Laimės salos" - Il regalo



Foto di Živilė Abrutytė  (instagram)



Il testo fa parte del libro pubblicato da Edizioni La Rondine, Isole di Felicità - Laimės salos: https://www.ibs.it/isole-di-felicita-laimes-salos-libro-fabrizio-ulivieri/e/9788832268317

Les sentiments profonds signifient toujours plus qu'ils n'ont conscience de le dire[1]
(Albert Camus)


Liberarsi del passato non è facile.
I pensieri sulla felicità per Diego erano una conquista. Per Rūta un prendere posizione nel mondo. Rūta lo faceva sottraendosi a tutto e rinchiudendosi in una sfera ristretta rispetto all’universo più vasto in cui viveva. Si sapeva posizionare bene.
Diego invece lottava tra lo stare in un universo e passare in un altro e forse ritornare a quello di prima.
Cercava di eliminare i pensieri sul mantenere in vita in qualche modo i genitori e al tempo stesso li fortificava.
E quando gli parve di averli eliminati finalmente, di prepotenza loro si fecero di nuovo avanti come non volessero interrompere quel legame che li aveva uniti in vita.

- E’ un regalo di papà e mamma per il tuo compleanno

Diego non se l’aspettava.
Fu come un pugno in faccia, che impreparato ti prende in pieno volto svoltando l' angolo.
Credeva di aver staccato la spina e invece loro l’avevano riattaccata.
Quando i soldi cominciavano a diminuire e Diego si sentiva perso il fratello da Parma gli comunicò che aveva trovato un conto in banca del padre di cui nulla sapeva.
Gli inviò il cinquanta per cento come sempre.

Quelle parole che il fratello aveva scritto su whatsapp riattaccarono la spina.
Non la toglierò più non posso e non voglio. Mormorò fra sé, Diego.

Quando lo disse a Rūta, lei gli rispose:

- No, non puoi. Non vogliono lasciarti. Hanno ancora bisogno di te. Ho sbagliato io a consigliarti. Perdonami

Diego pianse davanti a lei. Piangeva e singhiozzava senza controllo.
Rūta lo abbracciò delicatamente e mise la sua faccia sui seni caldi per calmarlo.

- E’ il tuo compleanno oggi, volevo fare qualcosa a casa ma credo sarà meglio uscire fuori. Hai bisogno di uscire Diego. Andiamo da Jurgis ir Drakonas, in Pylimo gatvė. Mangeremo una pizza. Portiamo anche le principesse

Diego Sollevò la testa. Provò a smettere di piangere. Si asciugò gli occhi.

- Mi sembra ci siamo già stati un sabato pomeriggio
- Sì. Dopo poco che ci siamo conosciuti
- Mi ricordo che era carino
- Sì

Ma fu un po’ una delusione per entrambi. Evidentemente nel tempo la qualità si era abbassata.

Il servizio fu lento. Sbagliarono pure l’ordinazione. Rūta aveva chiesto una pizza al prosciutto e gliela portarono al pomodoro. Le pizze erano gommose e difficoltose a tagliare. Quella di Rebeka, con Ricotta, era veramente cattiva.
Per il dessert le principesse voleva il gelato, vaniglia e cioccolata ma la vaniglia era finita e dovettero accontentarsi di lamponi e cioccolata.
Quando la porta si apriva entrava un gelo che faceva rabbrividire.
Diego da parte sua era infastidito dal tavolo accanto, dove vi erano due americane che sempre ridevano insieme a due lituani che parlavano in inglese, ma un inglese artificiale, non vero. Spesso in Vilnius sentiva parlare quell’inglese surrettizio, che non capiva perché, ma lo infastidiva.
Forse avrebbe voluto che in Lituania tutti parlassero solo lituano.
Era una posizione infantile, la sua. Assurda e insostenibile.

Per le principesse però non esistevano tutti i problemi che invece infastidivano Rūta e Diego.
Da un apposito angolo giochi per bambini raccolsero delle matite e si misero a disegnare su carta.
Bevvero le coca che avevano ordinate in un attimo, in modo animalesco.
Erano felici. Risero tutta la sera. Felici di avere avuto un fine settimana diverso dalla noia di stare sempre sole in casa.

- Avremo un fine settimana interessante – aveva detto Goda a cena il venerdì – Sabato è il compleanno di Diego. Domenica pomeriggio al cinema e poi a Abrakademia per la preparazione della mostra fotografica. Avremo tante cose da fare mamyte

Con l’arrivo di Diego la vita nella casa era cambiata. Si vedeva da come si comportavano le principesse. Erano meno nervose. Facevano arrabbiare meno Rūta. E finalmente uscivano con Rūta e Diego.
Rebeka era divenuta quasi ossessiva. Temeva che ricominciasse per loro la solitudine di stare sole a casa come quando Diego non c’era.

- Uscite? Ci lascerete sole? – era la prima domanda che Rebeka faceva alla madre appena si svegliava

Uscire di sera per andare a cena fuori per loro era un evento quasi mai accaduto.

- Quando è stata l’ultima volta che Rebeka e Goda sono andate in un ristorante?
- Non lo so. Non me lo ricordo…ma dev’essere stato molto tempo fa – rispose Rūta con un sorriso fra l’ironia e la vergogna

Diego la guardò e disse in modo dolce:

- Rūta….
- Amore…

La sera a casa quando Rūta era in bagno e si preparava per la notte, Diego aprì la porta e senza entrare si mise a guardarla.

- Perché mi guardi? – chiese Rūta
- Sei bella

Rūta sorrise.

- Non mi sento Particolarmente bella. Solo ho cura di me stessa

E’ vero – pensò Diego. La sua bellezza era qualcosa che Rūta costruiva giorno dopo giorno. Con tanta cura per se stessa: dai capelli, al trucco degli occhi e della faccia.
Aveva due estetiste: una per le sopracciglia e una per le unghie delle mani e dei piedi.
La scelta dei vestiti, dettata dai pochi soldi, era rigida, severa e molto selettiva. Pochi colori erano ammessi nel suo guardaroba. E il taglio dei vestiti rispondeva alla linea che si era imposta.
La sera con meticolosità si struccava. Si dava la crema da notte. Si metteva la camicia da notte con la stessa attenzione come avrebbe messo un vestito per uscire.
La mattina faceva la doccia, si lavava ogni mattina i capelli. Faceva la maschera ai capelli. Poi si annodava un asciugamano in testa e dopo trenta minuti li risciacquava.
Si truccava con pazienza e attenzione ai particolari.
Poi dedicava gli ultimi dieci minuti, prima di vestirsi per e andare al lavoro, ad asciugarli, per non uscire al freddo con i capelli bagnati.

Diego pensò che la stessa cura infinita che Rūta metteva nel mantenere la sua bellezza era la stessa cura metodica con cui costruiva la sua isola di felicità. Né più né meno.
Rūta aveva un metodo e applicava quel metodo a ogni situazione di vita.
Se la vita deve avere un senso per essere interamente vissuta Rūta al contrario la viveva così fortemente perché non mancasse di senso.
La sua era una fatica pari a quella di Sisifo: solo nello svolgimento completo della sua pena poteva Sisifo essere Sisifo.
Così Rūta era Rūta se lo era fino in fondo, al pari di Sisifo.
Sisifo non era un condannato alla sofferenza, Sisifo era tale solo se riusciva a essere tale.
Diego non poteva dire che Rūta fosse felice a soffrire ma certamente la sua felicità talora sconfinava in una imposizione che collideva con la condanna.


Quella notte Diego Sognò Rūta.
Era a casa sua a Parma. Era estate. Un giugno di quelli che esplode in tutta la sua bellezza di colore azzurro e cielo senza nubi, e già la mattina alle sei cominci a sudare.
Rūta era alla finestra della camera da letto che dava sul giardino di casa. La finestra era completamente spalancata. Rūta vestiva al suo modo, abiti scuri e severi. Dava le spalle a Diego che osservava, come la sera prima, dalla porta. Oltre Rūta si stagliava un cielo impeccabilmente celeste e privo di cirri. Gli alberi del giardino in controluce apparivano di un verde cupo.
Rūta si truccava alla finestra.
Ma ora si muoveva leggera, in modo lieve. Nei gesti Diego non leggeva più alcun segno di condanna.

Appariva libera.

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[1] I sentimenti profondi significano sempre di più di quello di cui abbiamo coscienza per dire

Amazon:

Sunday 11 February 2018

"Isole di felicità - Laimės salos" - Pinigųᶙ [1]



   

 Diego gali duoti man siek tiel pinigᶙ ?[2]

Diego era sulla porta. Stava per uscire, già aveva messo il kuprinė[3] in spalla, aveva detto a Rebeka “Ciao!” quando lei gli si parò davanti e con l’aria furba che le illuminava la faccia aveva detto quella frase.
Diego non aveva capito tutta la frase ma pinigᶙ sì, l’aveva capito bene.
- Taip. Gerai. Atsiprašau. Neturiu labai pinigᶙ [3]  - il suo lituano era da ridere, ma rispose meglio che poteva – ecco Rebeka, ho solo questi

Si era frugato in tasca, aveva due euro e cinquanta. Guardò nel portafoglio. Vi era un biglietto da cinquanta euro, così le diede i due euro e cinquanta.

- Veliau Rebeka, veliau duosiu tau daugiu pinigᶙ. Vakare. Gerai[4]?
- Gerai. Ciau! [5]
- Ciao

Anche Diego cominciava ad accorgersi che le principesse stavano cambiando. Erano diverse.
Goda, per esempio, che in passato litigava sempre con sua madre, era pigra totale e senza maniere, ora invece era divenuta più rispettosa. Si sforzava di fare le cose che la madre le chiedeva.
Aveva cominciato a mettere in ordine la camera, per esempio. Un pomeriggio Barbora[6] aveva portato la spesa. In casa c’era solo Goda. Aveva ricevuto il commesso di Barbora, aveva preso in consegna i sacchetti della spesa e l’aveva ordinatamente messa a posto in frigo.
La sera prima di andare a letto dava un bacio a sua madre. Di quando in quando aveva anche iniziato a dire “Ciau” a Diego.
La mattina quando Diego puliva le scarpe per sé e Rūta, Goda con la coda dell’occhio lo osservava.
La più grande paura di Diego era di non essere accettato. Ma lentamente vedeva che qualcosa andava cambiando.
Anche nella loro alimentazione aveva apportato delle piccole modifiche. Aveva cominciato a fare le bulvės frie[7] in padella. Rebeka e soprattutto Goda ormai ne andavano pazze.
Quando andava a Maxima vicino casa o a Rimi[8] in centro prendeva loro le chips.
Goda e Rebeka mangiavano troppi dolci e Diego cercava di rimpiazzare i troppi dolci con qualcosa di diverso. Meglio le chips che tutti i dolci che mangiano. Pensava.

Diego uscì finalmente fuori.
Finalmente era sereno. Il cielo appariva sgombro, senza nemmeno una nube. Il sole splendeva forte e tuttavia non riusciva a riscaldare l’aria che rimaneva gelata.
Mentre camminava sentiva lo scricchiolio della neve che marciva sotto i suoi piedi.
Dai tetti colava acqua e cadevano di tanto in tanto blocchi di neve che si scioglieva. In certe piccole strade del centro l’acqua correva come se fossero il letto di un ruscello.
Quel suono dell’acqua, il frangersi della neve sotto gli scarponcelli, la luce nitida e pulita che illuminava Vilnius innevata misero di buon umore Diego che ricominciò a pensare a come erano cambiate Rebeka e Goda mentre con i piedi cercava di rimanere sul marciapiede per evitare il flusso dell’acqua o le pozzanghere che riempivano le strade strette dell’ex ghetto ebraico dove camminava quella mattina.

Anche con Goda forse il principio del cambiamento era stato un pomeriggio che rientrato prima del solito aveva trovato Goda sola e chiusa in camera a giocare con il telefono.
Non aveva nemmeno risposto al suo saluto.
Allora Diego, un po’ ruffianamente, aveva deciso di darle dieci euro.
Aveva preso i soldi e era andato fino alla camera.
Aveva bussato. Goda non aveva risposto. Diego molto delicatamente aveva aperto la porta.

- Goda…tau…mama tyla [9] – e aveva messo l’indice al naso e il pollice leggermente flesso verso la bocca in segno di non dire niente dal momento che immaginava insufficiente il suo lituano

Goda fu evidentemente sorpresa. Dapprima guardò Diego con aria sospettosa. Poi quando vide nella mano di Diego i dieci euro che lui offriva i suoi occhi si accesero e le sue labbra sorrisero.

- Ačiū [10] - disse

Da quel giorno non molto cambiò se non che Goda cominciò a guardarlo con una certa aria di interesse, che prima non aveva.

Dopo essere sceso dal filobus sette alla fermata di Gėliᶙ gatvė, aveva attraversato il semaforo dell’incrocio di Pylimo gatvė e preso per Rūdininkᶙ , poi tagliato per il giardino di Rūdininkᶙ fino a Mėsiniᶙ gatvė, dove, alla fine della strada, aveva incrociato Vokiečiᶙ gatvė e dì lì aveva girato in direzione di Rotušės aikštė per raggiungere Pilies gatvė passando attraverso Didžioji e raggiungere la libreria Vaga, il centro delle sue letture e riflessioni esistenziali.
Quel percorso, che attraversava gran parte del vecchio ghetto gli piaceva in modo particolare. Lo ispirava, si potrebbe quasi dire.
Fare quel percorso lo preparava all’arrivo alla Vaga, che lui riteneva il luogo meno lituano di Vilnius. Era una libreria a carattere internazionale. Si parlava non solo lituano, ma anche russo, inglese, francese, tedesco e persino spagnolo.
In particolar modo amava la musica di sottofondo. Mettevano spesso i Rolling Stones e quella musica lo elettrizzava. Gli dava un impulso a pensare e scrivere.

Di certo quei soldi hanno prodotto un effetto su Goda. Forse si sarà chiesta perché uno come me arrivato da un altro paese che nemmeno è suo padre gli abbia dato dei soldi. Forse l’ha detto anche a Rebeka. Visto che anche lei mi ha chiesto i soldi.
Se quello era stato il risultato era dunque felice di averglieli dati. I soldi che tanta infelicità generano in questo mondo, che spesso distruggono vite umane e provocano guerre, in piccola quantità avevano generato un po’ di gioia in un cuore smarrito come quello di Goda.
I soldi sono un tema fondamentale nella vita, come il gioco.
Saper giocare insegna una migliore vita. Chi sa giocare gioca bene nella lotta del quotidiano, nella realtà, nell’amore, nel lavoro, nello studio, nei sentimenti. Il gioco è gioia di vita, gioia di esistere.
Goda e Rebeka erano un esempio di come il gioco possa rendere felici. Passavano ore in casa, sempre giocavano, mai si annoiavano.
Anche con i soldi avevano giocato. Non prendevano i soldi come l’essenza della vita ma come un gioco al pari di tutto il resto.


Quando aprì la porta della Vaga sentì un gran bisogno di giocare, di strapparsi di dosso la gravità della propria condizione. Ridurla a un fenomeno da osservare magari distaccato, non sentirla come il fondamento stesso dell’ esistenza.
La gravità del vivere ti si attacca addosso e soffoca tutto il resto. Ti toglie l’ossigeno. Ti soffoca. Devia la mente.
Doveva giocare. Imparare a giocare e riacquistare una mente lucida e un cuore felice.
Tutte quelle morti, i pensieri di trattenere in vita i genitori, avevano avvelenato la felicità che Rūta gli aveva dato.
Rūta sì, lei sì sapeva giocare alla felicità.

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[1] Soldi
[2] Diego puoi darmi qualche soldo?
[3] Lo zaino
[4] Più tardi. Più tardi ti darò altro denaro. Stasera. Va bene?
[5] Va bene
[6] Un servizio di spesa online con consegna a domicilio
[7] Patate fritte
[8] Altro centro commerciale, presente soprattutto nel centro di Vilnius
[9] Goda...per te...mamma silenzio
[10] Grazie


Cultura italiana in Lituania: Nuostabieji Lūzeriai. Kita planeta "Meravigliosi perdenti. Un altro pianeta" un film del regista lituano Arūnas Matelis



C'e' un film in questi giorni nelle sale cinematografiche lituane che va alla grande: Nuostabieji Lūzeriai. Kita planeta "Meravigliosi perdenti. Un altro pianeta"del regista lituano Arūnas Matelis.
Un film documentario sul lavoro oscuro e spesso drammatico dei gregari al Giro d'Italia.
La storia del documentario e' molto semplice: non vi e' storia. Interviste a gregari durante degenze in ospedali o durante le terapie di riabilitazione, loro storie di vita, dialoghi quotidiani; un ciclista canadese filosofo che scala la montagna, si immerge nei torrenti ghiacciati, dorme all'aperto fra la neve ghiacciata; immagini drammatiche di ciclisti che scalano il Gavia fra la neve e il gelo. Il lavoro dei medici in macchina che curano i ciclisti caduti sporgendosi dal finestrino con il corridore a traino; immagini di cadute a terra con i atleti che soffrono (l'asfalto non è un luogo che accoglie - ti respinge, ti  è nemico: ti chiede subito di rialzarti, non e' come l'erba dei campi di calcio).
Alcuni hanno la fortuna di rimettersi in piedi e ripartire; altri rimangono a terra rotti e sporchi. Il loro destino sara' la barella e l'applauso del pubblico, come fosse un vincitore, mentre viene trasportato all'ambulanza. Caduta e gloria di una vita oscura.

Immagini di gregari che si sfilano dal gruppo per andare all'ammiraglia e prendere i rifornimenti e risalgono il gruppo carichi di borracce da portare al capitano e ai compagni.
Immagini della tensione immortalata negli occhi che cercano il gruppo e l'identificazione del gregario negli attimi prima del rifornimento a terra, del sacchetto passato dal bordo strada da un operatore al gregario nel gruppo che sfila a cinquanta all'ora. Immagini che mostrano tutta la pericolisita' dell'operazione.

E' un film non su chi vince, ma sulla pelle sudata, sul dolore, la sofferenza silenziosa di chi e' predestinato all'oscurita' del lavoro senza la luce della vittoria. E' un film sulla volonta' di chi cade ma si rialza e ha il coraggio di ricominciare...e' una meravigliosa metafora di noi tanti gregari della vita non fatti per essere primi ma votati al lavoro e al coraggio di affrontare la quotidianita' pur sapendo di non essere destinati al successo.
Una vita da mediani.

Otto anni ha avuto bisogno Arūnas Matelis per girare il film, di cui piu' della meta' passati in pratiche burocratiche e richieste di permessi dati, poi negati e infini ridati.
Un film che come dice Arūnas Matelis non si sarebbe potuto fare senza l'aiuto di Edita Pučinskaitė, ciclista lituana, vincitrice del Giro d'Italia, Tour de France e campionessa del mondo, che ora vive in Italia.
E' stata lei che ha aperto le porte a Matelis che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Un modo tutto italiano di concedere.
Il Giro d'Italia di solito non da' permessi a registi indipendenti di filmare il Giro, perche' coperto da diritti televisivi.
L'ultimo regista indipendente a filmare il Giro fu, Jörgen Leth, danese, con il film "Stars and Water Carriers" (1974).
Gli italiani sanno che non vengono concessi i diritti e per questo nemmeno ci provano. Un popolo rinunciatario e spesso velleitario. Un popolo vecchio senza voglia di rischiare e mettersi in gioco. Chi ha voglia di provarci se ne va all'estero.

Ci voleva allora un regista lituano (dopo quello danese) che avesse la voglia, la perseveranza e il coraggio di indebitarsi e vendere persino la sua casa per pagare i diritti che gli organizzatori gli hanno chiesto, per fare un film simile.
Io come italiano sono di nuovo deluso a vedere come ancora una volta la promozione della bellezza della nostra terra, cultura e lingua, faccia leva sempre e solo sul fascino che nonostante tutto il paese esercita all'estero, e sia affidata a persone che rimangono affascinati da quanto nonostante tutto l'Italia sa esprimere.
Deluso da uno Stato che nulla fa per esportare e incentivare questo fascino.

Il film e' bello, cerca il dramma e l'epos e vi riesce e fa di predestinati perdenti eroi omerici.
Girato alla Sergio Zavoli, con immagini sporche, cariche di di sudore, volonta' schopenhaueriana e non di vittorie. Una vita da gregari, ma una vita da eroi al pari di quelli che vincono.

Įamžinome ne triumfo skonį, bet prakaito kvapą,“abbiamo immortalato non il gusto della vittoria, ma l’odore della pelle sudata” (Arūnas Matelis)

Nuostabieji Lūzeriai. Kita planeta "Meravigliosi perdenti. Un altro pianeta",  71 minuti
Regista: Arūnas Matelis
Lingue: Inglese, italiano, olandese (sottotitoli in lituano)
Producers: Arūnas Matelis, Algimante Mateliene

Tuesday 6 February 2018

"Isole di felicità - Laimės salos" - Sliding doors




Uno dei personaggi de “La peste” di Albert Camus è Jean Tarrou che aiuteràil dottor Rieux nella lotta contro l’epidemia e morirà alla fine del romanzo. E’ un personaggio misterioso: non ha moglie né figli, non ha un passato evidente (solo un passato che si rivelerà poco a poco).

Camus ce lo descrive così “s’était fixé à Oran quelques semaines plus tôt et habitait, depuis ce temps, un grand hôtel du centre. Apparemment, il semblait assez aisé pour vivre de ses revenus. Mais, bien que la ville se fût peu à peu habituée à lui, personne ne pouvait dire d’où il venait, ni pourquoi il était là”[1].
Diego certe volte si sentiva come Tarrou. Non era ricco ma nel bene o nel male da alcuni mesi viveva senza lavorare.
Qualcosa, dopo la morte di entrambi i genitori, era rimasto sul conto e suo fratello gli aveva inviato il cinquanta percento del rimanente.
Rimaneva da decidere che fare con la casa. Venderla o affittarla.
Dentro di sé avrebbe voluto venderla, avere settantamila o centomila euro sul conto lo avrebbe salvato, perché qui a Vilnius non vedeva possibilità di lavoro. Almeno non immediato.
Tuttavia capiva anche le ragioni del fratello.

- Non vorrei svendere una casa che vale trecentomila euro. Se la vendessimo ora non prenderemmo più di centosessantamila euro…mi dispiacerebbe, visto tutti gli sforzi che sono stati fatti per averla e mantenerla. Non ultimo il fallimento della ditta di papà, il riscatto dell’ipoteca….

Non aveva torto suo fratello però…però Diego aveva cinquanta anni e suo fratello cinquantotto. Non sarebbero stati eterni.
Se moriva lui va bene, nessun problema avrebbe preso tutto suo fratello e sarebbe tutto finito. Ma se moriva prima suo fratello quanti problemi sarebbero stati per Diego?
Ritornare in Italia (che non voleva più), cercare di venderla. Sloggiare gli inquilini, pratiche burocratiche, conti bancari…mille problemi. E lui non aveva voglia di ritornare in quel mondo. Lo aveva lasciato e sperava per sempre.
Nonostante capisse le ragioni di suo fratello si convinceva ancor più che erano le ragioni di chi si crede eterno in questa vita.
Non erano mamma e papà, con le loro recenti morti, la testimonianza di come tutto passi e quello che hai non te lo porti dietro?
Tuttavia chi non lo conosceva non poteva immaginare quante domande si ponesse Diego e soprattutto vedeva solo questo uomo girare per Vilnius, frequentare i caffè delle librerie e scrivere e poteva forse fantasticare sulla realtà sconosciuta che questo uomo di bell’aspetto di mezza età, straniero e sconosciuto che a malapena sapeva usare la lingua lituanasi portava dietro e celava al mondo.

Tarrou ne “La peste” si poneva una domanda fondamentale (all’inizio del libro): “Comment faire pour ne pas perdre son temps?”[2].
Si rispondeva così: […] l’éprouver dans toute sa longueur […] passer des journées dans l’antichambre d’un dentiste, sur une chaise inconfortable ; vivre à son balcon le dimanche après-midi ; écouter des conférences dans une langue qu’on ne comprend pas, choisir les itinéraires de chemin de fer les plus longs et les moins commodes et voyager debout naturellement ; faire la queue aux guichets des spectacles et ne pas prendre sa place, etc.“[3]

Anche Diego aveva una domanda fondamentale: “Quanto sono cambiato in questo mese di permanenza in una città straniera?”

Risposta: “Sono dimagrito, lo vedo dalla faccia. Rūta dice che la mia faccia ora è meno sofferta, più luminosa e distesa. Ho anche perso un po’ della pancetta che mi assillava. I capelli…i capelli sembrano di più e crescono più velocemente che in Italia. Sarà possibile? E la barba è più ispida e dura. Anche Rūta mi ha detto che ora le fa male e che all’inizio, appena arrivato dall’Italia, non la sentiva così urtante. Forse effetto del clima? Del freddo che indurisce la pelle? Mi lavo spesso i capelli cosa che non facevo in Italia. Massimo erano tre volte a settimana. Qui anche quattro o cinque. Forse l’inquinamento è aggressivo qui e a Parma non era così radicale…ma perché si dava quelle risposte? Non era felice qui?

Sì era felice ma nuotava in un elemento diverso. Era uscito da un mondo che lo disturbava ma ancora non si era adattato al nuovo universo e forse quando vi si sarebbe adattato non sarebbe stato così bello come ora che viveva avvolto in doppio sogno, Rūta e la vita nuova che imparava a Vilnius.

Gli ritornò in mente il film “Sliding doors”. Sì, davvero la vita era così. Tutto è legato alle scelte che fai. Scegliere cambia la vita. Ti trasporta in un universo in cui se avessi scelto diversamente non saresti entrato.
Ma si potrà ritornarne indietro, a quello di prima?
Forse, ma forse ancora non vi era pronto.

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[1] Si era stabilito ad Orano poche settimane prima e da allora viveva in un grande albergo nel centro. Apparentemente, sembrava abbastanza benestante da vivere con le sue entrate. Ma sebbene la città si stesse gradualmente abituando, nessuno riusciva a capire da dove venisse, o perché fosse lì
[2]Come evitare di perdere tempo?
[3][…] sperimentarlo in tutta la sua lunghezza […] trascorrere giorni nell'anticamera di un dentista, su una sedia scomoda; vivere sul proprio balcone la domenica pomeriggio; andare a conferenze in una lingua che non intendi, scegliere i percorsi ferroviari più lunghi e meno comodi e viaggiare in piedi in modo naturale; fare la fila alla biglietteria e non prendere posto in sala, ecc.



Thursday 1 February 2018

Lena Andersson, la scrittrice svedese che scrive di amore in modo razionale, arriva alla Fiera del libro di Vilnius





"Nella vita di ogni donna, c'è almeno un amore ingiusto e assolutamente irragionevole o una fervida passione che crea il limite e fa dimenticare loro non solo se stesse, ma anche i suoi principi e la propria autostima”

I visitatori della XIX Fiera Internazionale del Libro di Vilnius (22-25 febbraio) avranno l'opportunità di incontrare uno dei più importanti scrittori svedesi contemporanei, Lena Andersson.

Lena Andersson, famosa per essere una delle giornaliste più talentuose ed entusiasmanti nel suo paese d'origine, è spesso descritta in virtù dei suoi romanzi come la migliore esperta di psicologia femminile svedese, e di storie d'amore. La sua opera più famosa è il romanzo su Esther Nilson, una donna che ama in modo forte, che l'ha resa famosa in Europa.
Alla Fiera del libro di Vilnius presenterà due romanzi pubblicati in lituano: "Estera. Romanas apie meilę[1] e  "Be įsipareigojimų[2]

Scrittrice, conduttrice di programmi radiofonici e giornalista, collabora con le principali testate svedesi (critico letterario per "Svenska Dagbladet" e columnist per "Dagens Nyheter") e con la rivista Fokus.  Nel 2013 le è stato assegnato il prestigioso Premio August nella categoria narrativa per il suo romanzo Egenmäktigt förfarande (Sottomissione volontaria).

In tema di amore viene definita come un’esperta capace di dissezionare in modo chirurgico i sentimenti più contraddittori.
Le storie d'amore di Lena Andersson sull'amore non hanno niente a che fare con i romanzi rosa. Al contrario, scrive testi estremamente realistici e spesso dolorosi che coinvolgono i lettori, rifacendosi a esperienze personali. 

L’incontro con la scrittrice Lena Andersson si terrà sabato pomeriggio (24 febbraio) alla Fiera del libro di Vilnius. 
Il critico letterario Jūratė Čerškutė presenterà l'autrice. L'evento sarà tradotto in lituano.








[1] Sottomissione volontaria (romanzo del 2013) è la sua prima opera tradotta in Italia e pubblicata da e/o nel 2016
[2] Tradotto in inglese con “Acts of infidelity”

Creatures

  His countenance likes me not. Such a deal of man Is he? a true God's creature?